GUALTEROTTI, Francesco
Nacque a Firenze nel 1456 da Lorenzo di Bartolomeo e da Lena di Tommaso Alberti. Il padre, morto prima del 1480, era stato titolare, in società con la famiglia della moglie, di un laboratorio specializzato nella tintura dei panni di lana, attività che alla sua morte fu proseguita per qualche tempo dal figlio maggiore, Filippozzo. Il G. invece preferì dedicarsi agli studi giuridici, presso lo Studio di Pisa, dove è attestata la sua presenza dal 1476 (Verde, pp. 292 s.). Il 7 nov. 1482, sempre a Pisa, conseguì il dottorato in diritto civile e presumibilmente continuò a studiare per potersi laureare anche in diritto canonico, perché in atti notarili del 1484-85 è definito studente. Dal 17 ott. 1482 era stato assunto come professore di diritto civile presso lo Studio pisano, dove insegnò fino al 1485. Nel 1486 si iscrisse all'arte fiorentina dei giudici e notai e subito dopo acquistò notorietà e prestigio con l'esercizio dell'avvocatura.
Nel Catasto del 1480 la sua famiglia risultava costituita, oltre che da lui stesso, dalla madre vedova, dai due fratelli maggiori - di cui il primo, Filippozzo, già sposato e con figli -, da un fratello minore e da una sorella. La situazione economica dei Gualterotti appare di livello medio, avendo al proprio attivo vari possedimenti rurali e un valsente (il reddito imponibile) di 1600 fiorini. Non ebbero invece un ruolo importante nella vita politica della Repubblica, almeno fino alla caduta dei Medici, nel novembre 1494. Questo fatto va indubbiamente collegato all'origine magnatizia della famiglia, consorte dei Bardi e perciò esclusa dalle cariche maggiori del Comune di Firenze a partire dalla promulgazione degli ordinamenti di giustizia del 1292. Separatasi dai Bardi nel 1394, acquisito lo status popolare ed effettuato il cambiamento del cognome, cominciò a godere delle cariche pubbliche, ma non acquisì un ruolo importante nella vita politica fiorentina fino alla fine del Quattrocento.
Le cose cambiarono improvvisamente con la fuga dei Medici da Firenze e il rivolgimento istituzionale del 9 nov. 1494, cui il G. prese parte attiva: quel giorno stesso scoppiarono dei tumulti popolari presto sfociati in episodi di vandalismo e nel saccheggio delle case dei Medici e di alcuni loro stretti collaboratori. La situazione sarebbe potuta ulteriormente degenerare se il G., che non rivestiva alcun ruolo pubblico ma agì con l'assenso della Signoria in carica, non fosse salito sulla ringhiera del palazzo dei Signori per arringare il popolo tumultuante invitandolo alla calma e promettendo "l'abolizione delle monete bianche", cioè un provvedimento monetario a beneficio soprattutto dei ceti meno abbienti. Nel periodo della dittatura morale di Girolamo Savonarola il G. aderì alle idee del frate, almeno nel primo periodo completamente ed entusiasticamente, tanto che faceva partecipare i suoi figli alle riunioni e alle pratiche devozionali della Compagnia dei fanciulli, uno dei sodalizi voluti dal frate per plasmare la coscienza dei seguaci fin dalla più tenera età. In quel periodo il G. fu spesso chiamato come consulente del governo per dare pareri legali su controversie di confini e altri problemi di natura giuridica; fu inoltre eletto alle più importanti cariche pubbliche: dal dicembre 1494 fu per sei mesi membro degli Otto di guardia e balia, la magistratura cui era affidato l'ordine pubblico; dal gennaio 1497 fu membro dei Dieci di balia, la magistratura che presiedeva alla politica estera e alla guerra, di cui fece nuovamente parte a partire dal settembre 1500 e nel gennaio 1503. Nel 1498 fu membro del Consiglio degli ottanta, che con il Consiglio maggiore costituiva la novità più rilevante nell'apparato istituzionale della Repubblica fiorentina restaurata nel 1494. Il G. fu anche scelto per importanti incarichi diplomatici: dal 1495 al 1497 fu ambasciatore residente a Milano, in un periodo di stretta alleanza tra il governo fiorentino e il Ducato milanese. Cominciava a Firenze la fase discendente della parabola del Savonarola, abbandonato dal ceto dirigente fiorentino, sotto la minaccia dell'interdetto papale. Il G., che ancora all'inizio del 1497 aveva firmato la petizione al papa in favore del frate, prontamente si adeguò.
Nel 1498 il G. fu inviato a Roma per sostituire Domenico Bonsi: partì il 22 giugno. Obiettivo dell'ambasceria del G. era il conseguimento dell'alleanza pontificia per la riconquista di Pisa, che nel 1494 si era ribellata alla Dominante e, nonostante reiterati tentativi condotti su più fronti, fu recuperata solo nel 1509. Un altro scopo non secondario della missione era ottenere l'assenso del papa all'imposizione di una decima sui beni del clero. Il G. ebbe in questo campo più successo del suo predecessore: agì con molto tatto e prudenza e mise l'accento sul fatto che la nuova tassa sui beni del clero sarebbe servita alla nobile causa del potenziamento dell'Università, che da Pisa era stata trasferita a Prato. Le trattative furono lente e laboriose: da un lato egli rispondeva alle sollecitazioni della Signoria sostenendo che il suo era il modo normale di condurre gli affari alla Curia romana; dall'altra parte non mancava di ripetere agli esponenti della Curia che era preferibile per loro accordare il permesso, dato che la Repubblica fiorentina, al pari degli altri Stati sovrani, poteva decidere in qualsiasi momento di procedere comunque a quell'imposizione. Nel mese di ottobre il G. poté comunicare alla Signoria di essere ormai in procinto di ottenere l'assenso papale. A novembre il G., considerando ormai raggiunto uno dei due obiettivi fissati dal suo governo (in realtà per ottenere il breve pontificio occorsero altri tredici mesi), chiese il permesso di tornare in patria.
Nel frattempo si era impegnato in altre questioni minori, come un arbitrato tra i Colonna e gli Orsini, famiglie rivali del patriziato romano, e il conseguimento dell'assenso papale al ritorno in Firenze degli ebrei, fatti espellere da Savonarola, utili, secondo le mutate prospettive del governo fiorentino a "provvedere a tante necessità del popolo" (Polizzotto, p. 209). Il successore, Antonio Malegonnelli, partì per Roma nella seconda metà di maggio dell'anno successivo e occorse un altro mese per il passaggio delle consegne, cosicché il G. lasciò Roma il 3 luglio 1499.
A Firenze il G. si trattenne per poco più di due mesi: il 12 sett. 1499 ripartì infatti per Milano, insieme con Lorenzo Lenzi, come oratore designato a presentare le congratulazioni al re di Francia Luigi XII per l'occupazione del Ducato milanese.
Questa ambasceria si colloca nel mutato orientamento della politica estera fiorentina. Dopo anni di stretta alleanza con gli Sforza, e dopo la loro sconfitta da parte dei Veneziani e del re di Francia, Firenze si avvicinava a quest'ultimo, nella speranza di riceverne aiuto per la riconquista di Pisa. A Milano gli ambasciatori fiorentini dovettero anche negoziare un accordo con il re sul pagamento dei debiti contratti da Firenze con gli Sforza nel periodo della loro alleanza militare, che prevedeva anche la restituzione al dominio fiorentino di Pietrasanta, Sarzana e Sarzanello, occupate dai Genovesi. L'accordo che infine riuscirono a concludere fu da alcuni osservatori giudicato assai oneroso per Firenze (Buonaccorsi, p. 93). Da Milano gli ambasciatori si misero in viaggio per la Francia, al seguito del re, fino a Lione, dove furono raggiunti da due nuovi ambasciatori, uno dei quali era Niccolò Machiavelli. Il G., che aveva preceduto il collega nel viaggio di ritorno, giunse a Firenze il 13 apr. 1500 e riferì alla Signoria che il re di Francia non aveva mostrato interesse per i problemi di Firenze.
Il 19 sett. 1500 a Firenze si procedette all'elezione dei Dieci di balia, la magistratura che presiedeva alla guerra e alla politica estera, non più eletta dal maggio 1499, dopo la fine di una campagna militare contro Pisa dall'esito disastroso. Il G. ne fu uno dei membri per il quartiere di Santo Spirito. Parallelamente alla sua partecipazione alle cariche pubbliche e alle ambascerie era spesso chiamato, o in virtù dell'ufficio che si trovava a rivestire, o semplicemente in qualità di "arroto", a far da consulente al governo nell'ambito delle consulte e delle pratiche, consigli ristretti e a carattere riservato, riuniti per discutere delle principali questioni politiche: nella primavera del 1498 era stato chiamato a dare un parere di legittimità sulla prova del fuoco, cui alcuni seguaci di Savonarola si erano offerti di sottoporsi per provare l'innocenza del frate. Nell'agosto 1498 il sequestro di una lettera a Lamberto Dell'Antella, cognato del G., portò alla scoperta di un complotto filomediceo, portato avanti da alcuni ex collaboratori di Piero de' Medici, tra cui Bernardo Del Nero. Il G. fu chiamato, nell'ambito di una pratica riunita allo scopo, a pronunciarsi sulla possibilità di concedere agli imputati la facoltà di appellarsi al Consiglio maggiore contro la condanna a morte emessa dal tribunale speciale. Il G., da fiero antimediceo, si pronunciò contro la concessione di questa opportunità e la sua posizione prevalse. Nel maggio 1501 il G. fu inviato a Pescia, insieme con Clemente Sernigi, per incontrare due emissari di Pisa allo scopo di trattare le condizioni di un'eventuale resa della città, ma i colloqui si interruppero subito per l'eccessiva distanza delle posizioni. Nella primavera del 1502 la Repubblica fiorentina si trovava a fronteggiare la minaccia rappresentata da Vitellozzo Vitelli che si avvicinava con le sue truppe; questo fatto aveva indotto alcune città soggette, come Arezzo, a ribellarsi al dominio fiorentino, cacciando la guarnigione militare della dominante.
In questa situazione, a maggio il G. fu inviato a Siena in missione segreta presso Pandolfo Petrucci, signore della città, per tentare un'alleanza finalizzata alla riconquista di Arezzo, ma la risposta, destinata a suscitare lo sdegno del G. e del suo governo, era stata l'invito a riammettere i Medici in città. Il 30 giugno il G., in compagnia di Luigi Della Stufa, partì per una nuova missione diplomatica presso il re di Francia, che si trovava a Milano, anch'essa dettata dalla necessità di trovare aiuti e alleanze per riconquistare le città ribelli. Stavolta, dopo lunghe trattative, l'esito della missione fu positivo.
Intanto a Firenze era stato creato il gonfalonierato di Giustizia a vita (1502), affidato a Pier Soderini, di cui il G. fu in un primo periodo leale sostenitore e collaboratore; dalla fine del 1505 si manifestarono invece sue divergenze dalla linea politica del gonfaloniere, posizione condivisa da altri esponenti politici fiorentini di primo piano, tra cui i Salviati.
Le polemiche erano dirette soprattutto contro il personalismo, il nepotismo e la scarsa trasparenza del governo soderiniano, ma la loro opposizione rimase velleitaria e non riuscì a esprimere una linea politica alternativa. Nella primavera del 1506 fu riunita una pratica per decidere la risposta a papa Giulio II, che voleva a disposizione il condottiero Marcantonio Colonna, suddito pontificio al soldo della Repubblica fiorentina. Il Soderini aveva in segreto già accordato questa licenza, ma la netta opposizione del G. e di altri lo costrinse a inviare il Machiavelli in missione presso il pontefice per prendere tempo e non sfidare apertamente i suoi oppositori. Questi segnali di dissenso si erano già manifestati negli ultimi mesi del 1505, quando il Soderini, volendo nominare il capitano Miguel Corella alla carica di bargello per il contado fiorentino, aveva sondato informalmente l'opinione di alcuni eminenti cittadini, tra cui il G., i quali avevano espresso una netta opposizione poi aggirata dal gonfaloniere, che fece approvare la nomina dal Consiglio degli ottanta.
Il G. non espresse mai apertamente la sua opposizione al Soderini, né mai rifiutò gli incarichi pubblici. Il 25 genn. 1504, in seguito alla morte del duca Ercole d'Este, fu inviato a Ferrara per l'insediamento dell'erede Alfonso. Nel 1506 fu inviato ambasciatore a Napoli, insieme con Iacopo Salviati, presso il re Ferdinando d'Aragona. Lo scopo era sempre quello di acquisire alleanze per la riconquista di Pisa, ma le condizioni imposte dal re (contributo della Repubblica alla difesa militare di Napoli e accettazione di truppe spagnole sul territorio fiorentino) furono giudicate inaccettabili. Allo stesso scopo si discusse della possibilità di inviare un'ambasceria all'imperatore Massimiliano d'Asburgo, ma la proposta ingenerò divisioni, in quanto molti temevano che il gesto sarebbe stato interpretato dal re di Francia come una sfida. Su questa posizione il G. e lo stato maggiore del governo soderiniano si trovarono accomunati. Nel luglio 1508 il G. e altri tre eminenti cittadini furono incaricati di trattare con l'inviato del re di Francia, Michele Ricci, un aiuto militare contro Pisa in cambio di un esborso di denaro, ma egli si pronunciò per l'interruzione dei negoziati perché dubitava della lealtà dell'interlocutore. Il 13 nov. 1508 fu eletto per sei mesi capitano di Pistoia, la città storicamente teatro della contrapposizione tra le fazioni dei Cancellieri e dei Panciatichi. Secondo Guicciardini, il G. si distinse per la sua propensione per i Cancellieri.
Fu questo il suo ultimo incarico: morì infatti a Firenze l'8 genn. 1510.
Il G. aveva sposato Maddalena di Bartolomeo Bartolini Salimbeni e ne aveva avuto almeno quattro figli: Bartolomeo, Giovan Battista, Carlo e Roberto.
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