DEL BENE, Francesco
Figlio di Iacopo di Francesco e di Oretta di Borgognone Gianfigliazzi, nacque intorno al 1328, come si trae dal frammento di un atto notarile relativo alla sua emancipazione avvenuta il 19 marzo 1346. Ci è ignoto, per il silenzio delle fonti, il luogo della sua nascita: forse Firenze, in borgo Ss. Apostoli, oppure in villa, nei sobborghi della città - a Peretola o a Petriolo, - dove i Del Bene possedevano diverse proprietà.
La famiglia Del Bene era in quel tempo in fase di netta ascesa sociale. Arricchitasi notevolmente agli inizi del secolo grazie alle fortunate esperienze mercantili e finanziarie dell'avo Francesco, era riuscita con il figlio di questo, Francesco, ad imporsi decisamente anche nella vita pubblica e a stringere legami di parentela con potenti gruppi familiari.
Che il D. abbia trascorso gli anni della sua gioventù in un ambiente particolarmente agiato è provato dai suoi scritti: la sua grafia ed il suo periodare sicuro testimoniano che egli dovette studiare, sotto la guida di maestri privati od a scuola, abaco e grammatica, giungendo ad acquisire una cultura superiore alla media.
Nel momento in cui, ormai emancipato, poté disporre autonomamente della propria esistenza, il D. scelse una strada del tutto nuova rispetto alle tradizioni familiari. Non scelse infatti né di dedicarsi al commercio su lunga distanza, né all'esclusiva amministrazione del suo patrimonio fondiario. Decise invece di volgersi verso l'arte della lana e di inserirsi direttamente nel settore della produzione dei pannilani. Con ogni probabilità a questa determinazione non dovette essere rimasta estranea l'esperienza maturata nel corso della crisi del 1346. Dal 28 genn. 1349 fu dunque apprendista presso il lanaiuolo Pepo d'Antonio Albizzi in una bottega a San Martino fino al 1353, anno in cui egli venne immatricolato in quell'arte. I progetti del D. erano allora volti al campo nuovo e di grandi prospettive della produzione laniera di qualità pregiata, di imitazione francese: e difatti gli anni compresi fra il 1355 ed il 1370 lo videro impegnato, in società con Stoldo di Lapo Stoldi nella direzione di una compagnia che specializzata appunto in quel settore, gli consentì ingenti profitti soprattutto nel periodo 1355-1360. Nella compagnia trovarono una loro collocazione anche il padre del D., Iacopo, in qualità di socio passivo, ed il fratello del D., Borgognone, che si occupò della organizzazione, pur non partecipando alla divisione degli utili e delle perdite.
Nel 1356 il D. prese in moglie Dora di Domenico Guidalotti, che portò una dote di 950 fiorini d'oro. Se le spese da lui effettuate in questa occasione raggiunsero la somma di ben 480 fiorini, il parentado così concluso fornì tuttavia al D. una solida base per le sue iniziative economiche. Dal matrimonio nacquero sette figli: Borgognone, Ricciardo, Iacopo, Vieri, Giovanni, Antonio, Ghetta.
Anche nella fase di maggior fortuna come lanaiuolo, il D. non trascurò tuttavia altre forme di investimento. Oltre a far parte, come socio passivo, di diverse compagnie commerciali, si dedicò pure ad altre attività finanziarie e creditizie: come già suo padre ed il suo avo, esercitava abitualmente, infatti, il prestito di denaro ad interesse, concedendo crediti a vario titolo e di varia consistenza, ed operando nel settore immobiliare. Tra l'altro, nel periodo compreso tra il 1367 e il 1369, si interessò anche al commercio di schiave. Fu comunque nel corso del settimo decennio del Trecento che, pur non abbandonando i primitivi interessi nel settore laniero (la compagnia visse un momento particolarmente positivo nel 1364, quando fu istituita una filiale a Napoli, attiva fino al 1367 circa), il D. intraprese con sempre maggior insistenza forme di investimento tendenzialmente alternative: acquisti fondiari tanto in città quanto in contado, e titoli di debito pubblico.
Non si può affermare che il nuovo indirizzo dato alla sua attività economica-imprenditoriale sia corrisposto ad una fase di ripiego, ad un progressivo disimpegno, dal momento che numerose ricordanze attestano proprio in quel torno di tempo un massiccio intervento del D. per la valorizzazione delle sue terre nel contado, con lavori di ordinaria amministrazione, con l'introduzione di nuove culture (lino), con la costruzione di case padronali e coloniche, con la stipulazione di contratti a mezzadria, e a sòccida. Per quello che riguarda gli investimenti in terreni, si deve ritenere che anche il D. considerasse i beni fondiari come una necessaria integrazione delle sue attività mercantili e manifatturiere. È probabile, tuttavia, che ad indurlo ad acquistare nuovi terreni ed a valorizzare quelli che già aveva dovettero intervenire anche considerazioni di prudenza elementare (una casa e gran parte dei titoli di Monte, infatti, furono acquistati a nome della moglie).
Già nel 1358, anno in cui fu ufficiale dello Studio, il D. aveva cominciato a intervenire nella vita pubblica cittadina, ricoprendo dapprima incarichi più o meno immediatamente connessi con i suoi interessi mercantili e finanziari - come nel 1359, quando fu dei Cinque di mercanzia, e nel 1360, quando fu dei consoli dell'arte della lana -, poi accettando uffici sempre più squisitamente politici. Capitano di Pistoia e camerlengo della Gabella delle porte nel 1361, fu nel 1362 dei Dodici Buonuomini; ambasciatore in Germania nel 1363, dei consoli dell'arte della lana nel 1365, nel 1366 fu dei Sedici e, l'anno successivo, dei Dodici. Nel 1368 fu tra i Priori e tra gli ufficiali della Grascia; di nuovo dei Sedici nel 1369, dei consoli dell'arte della lana e ambasciatore in Lombardia nel 1370, nel 1372 ricoprì la carica di capitano di Orsammichele. Dei Priori e vicario in Valdinievole nel 1373, podestà di San Gimignano nel 1375, per la terza volta tra i Priori nel 1377, nel 1378 fu ancora dei Sedici.
A quanto sembra, il D. militava politicamente nella fazione dei Ricci, avversaria di quella degli Albizzi, sostenitori della parte guelfa: insieme con il suo gruppo gentilizio all'interno del quartiere di S. Maria Novella, il D. era espressione di quelle famiglie di rango medio-alto ancora vulnerabili sia dal punto di vista politico sia dal lato economico per la loro scarsa consistenza numerica e per una affermazione economica non sufficientemente consolidata, che tendevano ad opporsi alla linea di chiusura sociale e politica portata avanti dalla parte guelfa. Nel 1378 il D. stesso venne "ammonito" come ghibellino; mentre un anonimo priorista lo addita come uno dei fautori dei Ciompi. Di un simile atteggiamento politico del D. non possediamo prove documentarie, anche se ci è ben noto che egli fu in rapporto con diverse personalità direttamente coinvolte in quel movimento: Silvestro de' Medici, Agnolo Pucci, lo stesso Michele di Lando.
Durante il periodo in cui il popolo minuto fu al potere, nel 1381, il D. fu vicario in Valdinievole; alla fine di settembre di quello stesso anno fu inviato come ambasciatore a Roma, dove lo chiamavano anche interessi privati, dato che aveva in progetto di fondare una compagnia di merciai con sede a Firenze e a Roma, probabilmente con lo scopo di indirizzare i figli maggiori alla mercatura. Rientrato in patria, venne colpito da una condanna a due anni di esilio, da scontarsi a Bologna; quindi, nel 1387, fu definitivamente privato dei diritti politici e fu inviato a confino, insieme con il cugino Giovanni di Amerigo Del Bene. Costretto a rimanere lontano dalla patria, il D. soggiornò a Bologna, a Padova ed a Venezia, dove ebbe la sua residenza a Rialto. Tagliato fuori dalla politica attiva, tornò ad occuparsi prevalentemente dei suoi interessi finanziari, anche se in maniera indiretta: sorvegliando, cioè, le attività mercantili e bancarie dei figli Borgognone e Iacopo, e controllando l'amministrazione del patrimonio, che aveva nel territorio del Comune di Firenze, per il tramite dei rendiconti dei suoi procuratori e del figlio Ricciardo. Grazie alle pressioni esercitate da un nutrito gruppo di amici sulle autorità cittadine, il D. ottenne il 9 nov. 1391 la revoca del bando; pare tuttavia che solo nell'agosto del 1392 egli abbia lasciato Venezia per fare definitivamente ritorno in patria.
Dopo l'esperienza dell'esilio il D. ricoperse ancora una volta una carica pubblica, quando nel 1393 fu capitano della Montagna di Pistoia.
Morì a Firenze il 22 dic. 1394.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Del Bene, nn. 5-19, 29, 32, 42-53, 74, 75; Ibid., Acquisti e Doni, 301, n. 6; Ibid., Diplomatico, Acquisto Caprini; Ibid., Carte Dei, VIII, n. 42; Ibid., Carte dell'Ancisa, CC, cc. 811v: 814v; KK, c. 262v; Ibid., Carte Pucci, 593, n. 47; Ibid., Priorista di Palazzo, cc.113v, 118v, 122v; Ibid., Priorista Fiorentino Mariani, I, c. 66; Ibid., Tratte, nn. 341 (estrazioni di vicari, podestà e castellani ... 1375-1376), c. 23v (21 febbr. 1374); 300 (tratte di uffizi esterni 1379-1383), c. 23v; Ibid., Signori Carteggi Missive I Cancelleria, 23, c. 130 (7 luglio 1393); Ibid. Provvisioni, 80, cc. 168, 169v; Ibid., Prestanze, 334, c. 4v; Firenze, Biblioteca nazionale, Codici Magliabechiani, XXV, n. 44: V. Borghini, Estratti delle Provvisioni, c. 365; A. Pucci, Guerra tra Fiorentini e Pisani dal 1362 al 1365, in Delizie degli eruditi toscani, VI, Firenze 1775, p. 238; Mem. stor. cavate dal libro di ricordi scritto da Naddo di ser Nepo di ser Gallo, ibid., XVIII, Ibid. 1784, pp. 39, 54, 95; Diario d'anonimo fiorentino, a cura di A. Gherardi, in Cronache dei secoli XIII e XIV, Firenze 1876, pp. 430 s., 470, 533; Statuti dell'università e Studio fiorentino, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, p. 288; G. O. Corazzini, I Ciompi. Cronache e documenti, Firenze 1887, p. XXII n.; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, pp. 273, 307, 408; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, II, Roma 1893, 1. V, p. 3 n.; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, p. 260; A. Sapori, Una compagnia di Calimala ai primi del Trecento, Firenze 1932, pp. 258 s.; Id., Case e botteghe a Firenze nel Trecento, in Studi di storia econ., Firenze 1955, I, pp. 332 n., 347-352; V. J. Rutenburg, La compagnia di Uzzano (su docum. dell'Archivio di Leningrado), in Studi in onore di A. Sapori, Milano 1957, I, p. 700; G. Brucker, Florentine Politics and Society (1343-1378), Princeton, N. J., 1962, pp. 33, 81 n., 125, 341 n., 364, n.; H. Hoshino, F. di Iacopo D. cittadino fiorentino del Trecento. La famiglia e l'economia, in Annuario dell'Istituto giapponese di cultura, IV (1966-67), pp. 29-119 (notizie biografiche alle pp. 29-68); V (1967-68), pp. 111-190; G. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton, N. J., 1977, pp. 21, 26 ss., 41, 58, 59, 80, 87, 89 n.