De Sanctis, Francesco
Critico letterario, filosofo e uomo politico italiano (Morra Irpino, od. Morra De Sanctis, Avellino, 1817 - Napoli 1883). Imprigionato (1850) per aver partecipato ai moti del 1848, tradusse la Scienza della logica di Hegel; fu esiliato e, nel 1855, ottenne la cattedra di letteratura italiana a Zurigo. Deputato e, varie volte, ministro della Pubblica istruzione, dal 1872 fu prof. di letteratura comparata nell’univ. di Napoli. De S. mise a fuoco molti dei tratti essenziali delle sue teorie a partire da un confronto con il pensiero di Hegel, innanzi tutto muovendo dal concetto hegeliano dell’identità di forma e contenuto e poi, avvicinatosi ai temi del realismo, elaborando il superamento della tesi hegeliana della dipendenza della poesia dal pensiero (e del suo possibile dissolvimento in esso), per evidenziarne l’autonomia. De S. concepì la critica come «coscienza della poesia», ossia quale riproduzione, opera riflessa del critico, che penetra le condizioni spirituali e storiche dell’opera spontanea del poeta, per rilevarne il significato nella storia dell’arte e dell’umanità. Nell’analisi della poesia è impossibile separare la ‘forma’ dal contenuto; la ‘fantasia’, facoltà creatrice intuitiva e spontanea, che fonde contenuto e forma in unità inseparabile, è distinta dall’‘immaginazione’, che organizza materiali descrittivi, come anche il ‘poeta’, capace di esprimere il profondo sentimento della vita, è distinto dall’‘artista’, abile a fermare l’ornato e il colore. Riguardo al linguaggio, De S. ritiene che esso risponda innanzitutto all’esigenza della ‘proprietà’, ossia l’aderenza alla cosa espressa, ammettendo come lecito anche il linguaggio dialettale. Quanto all’autonomia dell’arte, negando o moderando il legame, talvolta soffocante, posto da filosofi (Vico, Hegel) o da sociologi (Schlegel, A.-F. Villemain) o da letterati dell’epoca risorgimentale tra l’arte e le esperienze filosofiche, sociali e politiche, in contrapposizione alla tesi dell’«arte per l’arte», De S. giunse a una posizione temperata, elaborando la Storia della letteratura italiana (1870-71) come storia della coscienza nazionale, quasi sempre salvando l’autonomia delle singole opere.