DANIELE, Francesco
Nacque a San Clemente, presso Caserta, l'11 apr. del 1740 da Domenico e Vittoria de Angelis. Gli fu maestro, ancora adolescente, Marco Mondo, ultimo dei professori di quell'antica scuola napoletana illustre per l'eleganza e la purezza dello stile. Questi, amico e frequentatore della casa paterna, colpito dal precoce ingegno e dalla singolare memoria del D., indusse il padre a condurlo a Napoli perché potesse perfezionarsi negli studi superiori. Qui il D. studiò filosofia, oratoria, giurisprudenza, strinse amicizia con i letterati della città e ne frequentò i circoli accademici. Gli furono amici, tra gli altri, Antonio Genovesi, Giuseppe Cirillo, Matteo Egizio, Giuseppe Di Gennaro. Incoraggiato da questi, curò l'edizione delle opere di A. Tilesio, cui premise una epistola dedicatoria ed una biografia dello stesso in latino (Antonii Thylesii Consentini Opera, Neapoli 1762). L'opera gli valse l'attenzione degli intellettuali - non solo napoletani - e dei giornali letterari del tempo; con eguale favore, l'anno successivo, fu accolta l'edizione, da lui promossa in ricordo del suo primo maestro, di una raccolta di opuscoli (Opuscoli di Marco Mondo, Napoli 1763). Continuò gli studi letterari e filologici e, ammiratore del Vico fin da quando seguiva i corsi di umanità ("Ioannis Baptisti Vici orationes - racconta egli medesimo - aliquot conquisiveram"), raccolse e ripubblicò sette orazioni latine già stampate separatamente e divenute rarissime: le due giovanili per il ritorno del Santostefano in Spagna e per i funerali di Caterina d'Aragona, il Panegyricus di Filippo V, il De studiorum ratione, il De mente eroica, più la senile orazione per le nozze di Carlo di Borbone, non senza però introdurvi arbitrari emendamenti di forma perpetuati, poi, nelle successive ristampe (Ioannis Baptistae Vici Latinae Orationes nunc primum collectae, Neapoli 1766).
Nel contempo, ed in omaggio ad una tradizione di quegli anni, intraprese, con qualche successo, la professione forense, ma costretto dalla morte del padre e di uno zio alla cura degli affari familiari, dovette abbandonare Napoli e far ritorno a San Clemente. Qui si dedicò interamente alla lettura dei classici e alla ricerca di fonti letterarie e documentarie interessanti la storia del suo paese, raccogliendo nella sua casa una ricca collezione di iscrizioni, vasi, pitture e medaglie provenienti dai vicini luoghi della Campania. Progettò un'opera erudita sulla esatta ubicazione delle Forche Caudine e, in compagnia del generale inglese Melville, visitò più volte i luoghi della regione per condurre ricognizioni dirette sulle località descritte dai geografi classici individuando, infine, nella valle d'Arpaia, in contrasto con le localizzazioni precedentemente proposte da studiosi e geografi moderni tra i quali Ph. Clüver e L. Holstein, il sito più probabile per caratteristiche geografiche e possibilità militari.
Nel 1773 pubblicò, con il falso nome di Crescenzo Espersi, due lettere in cui esaminava alcune inesattezze contenute in un'opera, allora apparsa, sulle origini e la storia di Caserta (Crescenzo Espersi Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, Napoli 1773).
In questi anni trascorsi a San Clemente il D. mantenne stretti i contatti con i letterati napoletani e intrattenne continue relazioni epistolari con gli studiosi stranieri che spesso accompagnava nei loro viaggi in Campania.
Richiamato a Napoli, per volere del marchese Domenico Caracciolo, fu nominato ufficiale della regia segreteria di Stato. Per primo ideò un'organica raccolta delle leggi e dei diplomi di Federico II di Svevia, il cui prospetto, esaminato per ordine del sovrano dalla Camera di S. Chiara, gli valse, nell'agosto del 1778, la nomina a regio istoriografo, carica prima di lui conseguita da G. B. Vico e da monsignor Assemani, ed un sussidio mensile di 50 ducati con l'obbligo di presentare ogni anno alla Real Camera un volume dell'opera. Nello stesso anno il D. grazie al generoso aiuto del conte di Wilzeck, ambasciatore di Vienna alla corte napoletana, pubblicò la dissertazione sulle Forche Caudine (Le Forche Caudine illustrate, Napoli 1778).
L'opera, di cui i contemporanei lodarono la sicura erudizione insieme all'eleganza dell'edizione, fu considerata "come un modello, come un'opera classica, sia per il sapere, sia per lo stile, sia per l'esecuzione" e gli valse l'iscrizione, comunicatagli il 6 genn. 1779 dal segretario marchese Alemanni, all'Accademia della Crusca. Nello stesso anno fu nominato censore delle memorie presentate nella terza e quarta classe dell'Accademia di scienze e di belle lettere promossa da Ferdinando IV per raccogliervi i migliori ingegni della Napoli del tempo. E quando, l'anno successivo, si trattò di dar vita ad una pubblica biblioteca, il D. fu preposto ai lavori di sistemazione della "Raccolta Farnesiana" portata, nel 1734, da Parma a Napoli da Carlo di Borbone. Il riordinamento della biblioteca procedette assai lentamente e non fu esente da critiche, così come il sorgere dell'Accademia aveva provocato grandi discussioni per il criterio con il quale erano stati scelti i soci: ne restarono, infatti, esclusi tra gli altri il Galiani e il Filangieri. Le polemiche e gli intrighi che ne sorsero non risparmiarono il D., rendendo palese quella mancanza di armonia e mutua collaborazione tra i letterati napoletani che Ireneo Affò, di ritorno da un viaggio a Napoli, in una lettera al D. così sottolineava: "Veramente, s'io nel mio viaggio non avessi conosciuto voi, potrei dire d'aver speso male il mio tempo, perché in cotesta grande metropoli, comecché molti siano i letterati, pur questi non formano società, e vivendo tutti, per così dire, isolati, difficile è farne conoscenza".In questi anni, per incarico della Real Camera, il D. si dedicò ad illustrare i sepolcri dei re della monarchia siciliana scoperti durante lavori di riattazione del duomo di Palermo e nel 1783 si recò in questa città per visitare archivi e biblioteche. La pubblicazione apparve nel 1784 e fu la prima opera da lui dedicata a Federico II (I regali sepolcri del Duomo di Palermo riconosciuti ed illustrati, Napoli 1784). Due anni più tardi, per interessamento del marchese di Breme, ministro sabaudo a Napoli, curò, per i tipi bodoniani, la prefazione dell'edizione, in cinquantasei esemplari, degli amori di Dafni e Cloe nella versione italiana di Annibal Caro, il cui manoscritto, proveniente dalla Biblioteca Farnesiana, era da lui posseduto (Gli amori pastorali di Dafni e di Cloe, di Longo Sofista, Iradotti dal Commendator Annibal Caro, Parma 1786).
Il volumetto, prezioso contributo all'arte tipografica, fu ricordato nelle Memorie delconte Orloff come "le don le plus précieux qu'il fit à la république des lettres". Dopo la morte del padre P. M. Paciaudi (1785), succeduto a questo nella carica di storiografo dell'Ordine gerosolimitano, il D. iniziava una relazione epistolare con G. Bodoni al quale, nel 1787, invano, chiese di curare una seconda edizione delle Forche Caudine. Lo stesso anno, reputato ormai tra i più prestigiosi intellettuali del Regno, fu nominato socio dell'Accademia Ercolanese riorganizzata da Ferdinando IV.
Avrebbe dovuto curare la pubblicazione delle memorie sulle antichità di Ercolano e Pompei ma le vicende politiche del 1799 ne sospesero ogni attività. Alla stessa data si interruppe bruscamente la fortuna accademica del D. che, nonostante non avesse preso parte agli avvenimenti della Repubblica, pure era unito, per consuetudine di studio e vincoli d'amicizia, a quegli uomini di pensiero - tra i quali V. Cuoco - che della Repubblica seguirono le sorti. Così nell'atmosfera di denunce e di sospetti che fece seguito alla restaurazione borbonica fu privato delle cariche e degli onori conseguiti e tornò agli studi eruditi. Nel 1802 pubblicò ventidue monete antiche di Capua tra le quali sei, da lui rinvenute, inedite (Monete antiche di Capua, Napoli 1802).
Negli stessi anni, insieme con il marchese di Villarosa, pensò ad una seconda edizione della Autobiografia del Vico che era già stata pubblicata nel 1728nel primo volume della Raccolta di opuscoliscientifici e filologici di A. Calogerà con molte sviste tipografiche. Il D. si rivolse per nuovi materiali a Gennaro Vico, da cui ebbe la minuta autografa di una aggiunta all'Autobiografia che arrivava fino ai primi mesi del 1731,probabilmente stesa da G. B. Vico su richiesta del Muratori. Il D., giudicando quell'aggiunta assai infelice, l'avrebbe voluta utilizzare soltanto come materiale da rielaborare, ma il Villarosa che, infine, preparò l'edizione la pubblicò per intero, non senza illegittimi ritocchi di forma, insieme con il testo del Calogerà emendato dagli errori tipografici, con una continuazione della biografia del Vico sino alla data della morte e con sessantaquattro annotazioni due delle quali erano state scritte dal Daniele. Di G. B. Vico pare che oltre agli scritti latini - già pubblicati nel 1766 - il D. avesse l'intenzione di raccogliere anche quelli italiani. Nel 1804,infatti, ne ricercava e ritrovava qualcuno a Roma per mezzo del cardinale Stefano Borgia e di monsignor Domenico Coppola, vescovo titolare di Mira. Ma, ormai vecchio, addossò la cura dell'impresa al Villarosa divenuto suo attivo collaboratore.
Nel 1806, fin dai primi mesi del governo di Giuseppe Bonaparte, egli fu reintegrato nelle sue cariche. Ottenne una pensione sul decanato di Capua e quando, nel marzo del 1807, fu istituita l'Accademia di storia e di antichità, ne fu nominato segretario perpetuo e direttore della Stamperia reale. Questa, non più considerata Stamperia di Stato (le cui funzioni vennero in quegli anni assolte dalla stamperia francese fondata da C. A. Beranger), era assai decaduta e, nonostante gli sforzi del D., poche furono le opere che uscirono dai suoi torchi.
Tra queste una bellissima riedizione della vita del Tilesio, alla quale il D. aggiunse lettere e versi inediti (Antonii Thylesii Consentini Carmina et Epistolae, Neapoli 1808).
Nel 1808, con Gioacchino Murat, la Stamperia reale, destinata ormai solo a tipografia d'arte, ricevette nuovo impulso: nel 1811 il D. curò, per i suoi tipi, la pubblicazione di una parte della Flora napolitana di M. Tenore, capolavoro tipografico, per Napoli, nel campo della stampa a colori. In quell'anno, usciva, a sue spese, la seconda edizione delle Forche Caudine dedicata a Murat (Le Forche Caudine illustrate, Napoli 1811). Vi siannunziava imminente la pubblicazione dell'attesissimo lavoro su Federico II ma, da tempo ammalato, il D. morì il 14 nov. 1812 a San Clemente. Il manoscritto dell'opera, nonostante le ricerche compiute da F. Giampietri, prefetto di polizia incaricato del ritrovamento di alcuni volumi della Biblioteca Borbonica presso gli eredi del D., non fu mai rinvenuto.
Il D. fu socio delle accademie Cosentina, Plautina, Etrusca di Cortona e delle società reali di Londra e di Pietroburgo.
Fonti e Bibl.: Le carte del D. tra le quali il carteggio inedito, importante per lo studio della cultura napoletana di quegli anni, sono possedute dalla Società napoletana di storia patria, ms. XXI. A. 11-12. Sul D. si veda: F. Soria, Mem. storico-critiche degli storici napoletani, I,Napoli 1781, pp. 209-212; P. D. Pompilio Pozzetti, Elogio di I. Affò, Parma 1802, p. 114; P. Napoli Signorelli, Vicende della cultura nelle Due Sicilie, VIII,Napoli 1811, pp. 19-22; G. Castaldi, Vita di F. D., Napoli 1812; Ultimi Uffici alla Memoria del Cavalier F. D., Napoli 1813; L. Giustiniani, Mem. storico-critiche della Real Biblioteca Borbonica di Napoli,Napoli 1818, pp. 81-88; G. Orloff, Mémoires historiques, politiques et littér. sur le Royaume de Naples, Paris 1812, pp. 53-55; C. A. Rosa marchese di Villarosa, Ritratti poetici di alcuni uomini di lettere antichi e moderni del Regno di Napoli, I, Napoli 1834, pp. 117-127; G. Beltrani, La Reale Accademia di scienze e belle lettere fondata in Napoli nel 1778, in Atti dell'Accademia Pontaniana, XXX (1900), pp. 66 s.; V. Cuoco, Scritti vari, a cura di N. Cortese - F. Nicolini, Bari 1924, pp. 255, 314 s., 321, 324; B. Croce, Bibliografia vichiana, accresciuta e rielaborata da F. Nicolini, Napoli 1947, ad Indicem; M. G. Castellano Lanzara, Napoli ed il Cavalier Giambattista Bodoni, in Archivi, XXI (1954), 1-3, pp. 48-156 (in append. sono pubblicate quarantatré lettere del periodo 1785-1809 del D. a G. Bodoni estratte dal carteggio bodoniano della Biblioteca Palatina di Parma); N. Cortese, Cultura e politica a Napoli dal Cinquecento al Settecento, Napoli 1965, passim.