CARONELLI (Caronello, de Caronelli, de Caronetis, de Coneclano, de Corneclano, de Corneclario, de Cornedano), Francesco
Nacque intorno alla metà del XIV sec. a "Coneclano" (probabilmente Conegliano in prov. di Treviso). Scarse sono le notizie rimasteci sulla sua vita: fece parte dell'Ordine francescano, ma s'ignora da quale data. Svolse attività nel Veneto nell'ultimo quarto del Trecento e nei primi anni del Quattrocento. Il 13 genn. 1373 papa Gregorio XI, dal suo esilio di Avignone, gli affidò l'incarico di conferire il titolo di "magister" in teologia a Nicola Muzio Veneto, appartenente anch'egli all'Ordine, il quale era stato proprio allora eletto inquisitore contro gli eretici per la provincia di S. Antonio nella Marca Trevigiana e per la città di Verona, in sostituzione del suo confratello (e compatriota del C.) frate Bonifacio da Coneclano (Wadding). Un analogo incarico venne attribuito al C., nel 1376: in quell'anno, egli concesse infatti il magisterio di teologia a frate Nicola Baldecor da Gubbio. Sempre nel 1376, mentre era "regens" nel convento di S. Antonio a Padova, compose il De Curru Carariensi, dedicato a Francesco da Carrara signore di Padova. Tra il 1381 ed il 1387, in qualità di "magister theologiae" il C. fu a Verona, dove compose un Liber deFato, dedicato ad Antonio Della Scala. Entro il 1388 il C. compose anche il trattato Proffismata secundum ordinem alphabeti, dedicato anch'esso ad Antonio Della Scala.
Il 29 marzo 1401 il C. entrò a far parte della commissione straordinaria incaricata di giudicare l'ebreo convertito Abramo di Nicolò, che esercitava la professione di medico a Venezia con titoli rilasciati a Damasco. La commissione conferì al candidato il dottorato. Nel 1405 ricoprì la carica di "praeceptor de Ordine minorum" e scrisse il Somnium pauperis.
L'ultima notizia riguardante l'attività del C. ci è ricordata nel prologo del suo Liber Proffismatum, terminato il 19 giugno dell'anno 1413. Ignota è la data della sua morte.
Gli incarichi affidati al C., i suoi rapporti amichevoli con i signori di Verona e di Padova testimoniano il rilievo che ebbe nell'Ordine francescano la sua figura; le sue relazioni con gli inquisitori veneti ed il contenuto dei suoi scritti ci mostrano come la sua attività, sia speculativa che pratica, avesse sempre un carattere apologetico e divulgativo, volto alla propaganda religiosa e all'insegnamento. Ciò è confermato dalla analisi delle sue opere: il De Curru Carariensi, trattato allegorico in 247 capitoli, è l'interpretazione in senso morale di una visione avuta in sogno dal C.: un carro, le cui quattro ruote rappresentano le quattro virtù cardinali e la cui struttura è formata dall'intreccio dei due assi della Fede e della Speranza su quello della lex Gratiae (formato a sua volta da altri tre assi: lex Naturae e la lex Moisi, unite dalla Etterna).L'estremità finale del carro rappresenta la Meditatio Gloriae, a cui fanno capo due semiassi (le pene eterne ed il purgatorio). L'estremità iniziale è rappresentata da un timone (la Carità), che unisce il carro ad un lungo giogo (il Bonum Honestum):conclusione materiale del carro e morale del comportamento umano. L'opera, inedita, è conservata in un codice della Biblioteca nazionale di Parigi, il ms. Lat.6468 (già 4994), del sec. XIV, splendidamente decorato. Il De Fato è un piccolo saggio sul problema del destino; si compone di 22 capitoli ed è diviso in tre parti. Nella prima sono ricordate tutte le opinioni erronee sul fato degli astrologi e dei poeti (cap. I), di Cicerone e di Crisippo (cap. II), che vengono contestate una ad una (capp. IV-VIII); nella seconda parte, sono menzionate alcune concezioni giuste sul fato "aliquorum antiquorum", quali quelle di Seneca e di Omero, e la posizione dei filosofi cattolici, in particolare quella di s. Tommaso, tratta dalla Summa contra Gentiles (capp. IX-X) e quella espressa da Boezio nella Consolatio Philosophiae (cap. XII). Nella terza parte il C. dà la sua definizione del fato ("Fatum est vis certa imposita rebus mobilibus ex aspectu et positione siderum secundum divine providencie ordinatam subiectionem": f. 11v) e risponde alle possibili obiezioni delucidando le implicazioni della sua concezione (capp. XIV-XXII). Tra le fonti del C. dobbiamo annoverare, oltre a quelle già ricordate, Empedocle, Democrito, Aristotele, Platone e Tolomeo. L'opera è inedita ed è contenuta in un manoscritto della Bibl. nazionale di Parigi, il Lat.6452 (già 5373) del sec. XIV, in una bella gotica italiana su due colonne, colle iniziali decorate. Il Somnium pauperis in sermone è nuovamente un'opera di carattere allegorico, in cui il C. narra una visione apocalittica da lui avuta, che viene interpretata in senso simbolico; anch'essa è inedita ed il codice, del sec. XV, si trova nella Biblioteca Antoniana di Padova, con la segnatura 437. Il Liber Proffismatum id est de rebus utilibus è un centone di pensieri, massime, citazioni, considerazioni su problemi di carattere teologico e morale, il cui scopo era eminentemente pratico: doveva servire infatti per la predicazione. L'opera, divisa in 779 capoversi ed inedita, è conservata in un codice della Biblioteca arcivescovile di Udine, il ms. n. 148 (già 42) del sec. XV. Un analogo repertorio di brani utili sono i Proffismata secundum ordinem alphabeti, che, come ci ricorda il sottotitolo, trattano "de qualibet materia indifferenter". L'opera, in forma di dialogo tra il C. e Antonio Della Scala, doveva fornire exempla ed argumenta, sillogismi, dimostrazioni e citazioni sui più importanti problemi metafisici, etici e logici che era dato incontrare in una disputa. Il codice che conserva questo testo, anch'esso tuttora inedito, è nella Biblioteca universitaria di Basilea, ove porta la segnatura A VI 6, e fu scritto nel 1432.
La cultura del C. appare molto vasta e non priva di originalità, nonostante le sue componenti di eclettismo e di pura erudizione. È soprattutto singolare la molteplicità di piani su cui il C. si muove, sia pure all'interno di un unico indirizzo. Questa varietà di interessi e di problematica dà alle sue opere una notevole portata e, certo, dovette garantire all'autore ancora vivo una indiscussa fama ed un rilevante prestigio, come possiamo, indirettamente, vedere dalla ricchezza, dalla bellezza e dalla accuratezza di alcuni codici delle sue opere, scritti a breve distanza dalla composizione di queste.
Bibl.: L. Wadding, Annales minorum seu trium ordinum a Sancto Francisco institutorum, VIII, Romae 1733, p. 277; G. Mazzatinti-A. Sorbelli, Inventario dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, III, Torino 1893, p. 228; G. Sbaralea, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum Sancti Francisci a Waddingo aliisve descriptos, I, Roma 1908, pp. 663-64; B. Nardi, Saggi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento, Padova 1971, ad Indicem.