BORGIA, Francesco
Nacque a Játiva, nel regno di Valenza; la data di nascita è incerta: sulla base di una notizia del Panvinio, secondo la quale il B. sarebbe morto settuagenario, i biografi oscillano tra il 1432 e il 1441.
Anche sul padre del B. corrono versioni diverse: secondo una voce contemporanea raccolta da alcuni storici, il B. sarebbe stato figlio del cardinale Alfonso Borgia, eletto poi al pontificato col nome di Callisto III; altri preferiscono invece crederlo figlio di un Juan de Borja, personaggio peraltro non esaurientemente identificato. Comunque il B. era sicuramente cugino carnale di Rodrigo Borgia, il secondo papa della famiglia col nome di Alessandro VI.
Ben poco si sa sulle prime vicende del B.: certo è che il pontificato di Callisto III non fu per lui così ricco di titoli e di prebende come per il cugino Rodrigo. La prima notizia che lo riguardi lo dice infatti titolare soltanto di un canonicato nella chiesa metropolitana di Valenza. Dovette comunque trasferirsi assai per tempo a Roma, sulla scia di quella cospicua immigrazione di "catalani" che fu caratteristica del primo pontificato borgiano e che si arrestò soltanto con la morte di Alessandro VI. Pare che appunto al cugino divenuto papa il B. dovesse in ogni caso le sue prime cariche curiali: quella di cubiculario, concessagli il 25 marzo del 1493, e quella ben più prestigiosa e redditizia di tesoriere generale della Chiesa, ottenuta in quello stesso anno in sostituzione del cardinale Alessandro Farnese. Altri importanti benefici il B. ottenne negli anni seguenti: il vescovato di Teano, il 19 ag. 1495, le abbazie commendatarie dei monasteri di S. Vincenzo al Volturno e di S. Stefano di Sermoneta, e l'arcivescovato di Cosenza, il 6 nov. 1499, che il papa gli concesse con uno speciale privilegio per il quale egli rimaneva contemporaneamente titolare anche della diocesi di Teano. Finalmente, il 28 sett. 1500, il B. ottenne dal papa la porpora cardinalizia, in cambio contribuendo, secondo le pressanti richieste di Alessandro VI, all'impresa di Romagna di Cesare Borgia nella cospicua misura di 12.000 ducati. Gli fu assegnato il titolo di S. Cecilia che l'11 ag. 1506 cambiò in quello dei Ss. Nereo e Achilleo.
Anche nel caso del B. come in quello degli altri numerosi congiunti del pontefice saliti alle massime cariche della gerarchia ecclesiastica e dello Stato, il nepotismo di Alessandro VI aveva, oltre che un significato dinastico, una chiara motivazione politica. Nel suo programma di lotta contro il baronaggio romano il papa era naturalmente costretto a prescindere dal tradizionale contributo di questo nel governo della Chiesa e dello Stato pontificio, sostituendolo con coloro sulla cui fedeltà egli poteva soprattutto contare: i suoi familiari, appunto, ai quali pertanto furono largamente riservati compiti politici, diplomatici, amministrativi. Al B. in particolare, con la carica di tesoriere generale pontificio, toccò di provvedere alle urgenti necessità finanziarie del pontificato, impegnato senza soste in un enorme sforzo specialmente per quanto atteneva al programma di unificazione politica dello Stato pontificio. Data la natura delle sue mansioni, era naturale che la collaborazione del B. con Alessandro VI fosse pubblicamente meno evidente che non quella degli altri membri della famiglia impegnati in responsabilità diplomatiche e militari: e per questo le cronache del pontificato non fanno altrettantospesso il suo nome. Ma la sua assiduità presso il papa è certamente significativa dell'entità del suo contributo. E la parte personale eminente tenuta dal B. dopo la morte di Alessandro VI, quando ormai tutti i Borgia erano rapidamente spariti dalla scena politica, dimostra che egli era tutt'altro che quel personaggio incolore che alcuni storici hanno supposto.
Comunque anche il B. appare in alcune importanti occasioni del pontificato: così nel giugno del 1501, quando prese possesso in nome del pontefice dei feudi dei Colonna, costretti a capitolare dopo che quei baroni, già protetti dalla dinastia aragonese di Napoli, ritennero vana ogni resistenza per il sopraggiunto accordo tra Francia e Spagna che di fatto esautorava i loro protettori. Il B. accompagnava quindi il papa a prendere possesso dei feudi degli altri maggiori baroni del basso Lazio, i Savelli e i Caetani. Nel gennaio successivo, in qualità di legato a latere, accompagnò Lucrezia Borgia a Ferrara, in occasione del suo matrimonio con Alfonso d'Este. E finalmente, nel settembre del 1502, quando Cesare Borgia ebbe strappato ai Varano la città di Camerino e questa fu attribuita con titolo ducale a un bastardo di Alessandro VI, il cosiddetto "infante romano" Giovanni Borgia, il papa affidò al B. la tutela del piccolo duca.
Dopo la morte di papa Alessandro VI il B. partecipò come potè ai disperati tentativi di Cesare Borgia di salvare la famiglia dall'estrema rovina, sostenendo dapprima in conclave la soluzione dichiaratamente provvisoria dell'elezione del vecchio cardinale Piccolomini, Pio III, e poi partecipando agli accordi con Giuliano Della Rovere che portarono la fazione borgiana a sostenere l'antico antagonista di Alessandro VI nel secondo conclave del 1503, in cambio dell'impegno del cardinale savonese a conservare sostanzialmente i Borgia nella loro posizione eminente. Rottosi l'accordo, poco dopo l'elezione di Giulio II, soprattutto a causa delle intempestive iniziative del Valentino e della sua fuga a Napoli, mentre i superstiti della famiglia cercavano riparo nelle varie corti italiane, il B. si trattenne invece ancora a Roma, giovandosi delle buone disposizioni del pontefice che non era disposto a infierire contro i suoi antichi avversari a patto che essi non interferissero più con i suoi disegni. Ma a questa condizione non pare che il B. si rassegnasse mai: probabilmente egli non smise la speranza di recuperare alla famiglia l'antico prestigio e potenza, e forse pensava che egli stesso poteva essere il protagonista della grande rivincita. Qualche contemporaneo gli attribuisce anche il disegno di risalire su quel seggio che era stato dei suoi grandi congiunti Callisto III e Alessandro VI. Certo è che sin dal principio delpontificato di Giulio II egli cominciò a complottare con gli avversari del papa, che del resto la politica aggressiva del Della Rovere andava rapidamente moltiplicando. E questa animosità del B. verso il pontefice non tardò a divenire pubblica quando, nel 1507, Giulio II ebbe conoscenza di una lettera assai polemica nei suoi confronti inviata dal B. all'ambasciatore estense presso la corte imperiale. L'episodio peraltro era troppo modesto perché il risentimento del papa avesse gravi conseguenze: il B. fu imprigionato d'ordine del pontefice, ma liberato dopo pochi giorni. Tuttavia il B. dovette giudicare più prudente allontanarsi dalla corte romana e ritirarsi per qualche tempo nella sua diocesi di Cosenza. Verosimilmente è in rapporto con la sua disgrazia presso il papa la rinunzia fatta dal B., il 5 luglio 1508, al vescovato di Teano; ma il fatto che egli potesse fare tale rinunzia in favore del nipote Francesco Borgia dimostra che Giulio II non intendeva infierire contro di lui.
Il soggiorno presso la sua diocesi cosentina non fu peraltro più tranquillo per il B. di quello alla corte romana. Già negli anni precedenti si erano levate alla corte spagnola le proteste del clero e della popolazione per l'esclusione dei nativi dalle cariche ecclesiastiche della diocesi. Il capitolo del duomo cosentino era giunto a invocare qualche provvedimento radicale da parte di Ferdinando il Cattolico "atteso che al presente el card. de Cosenza conferisce li beneficij de la diocese alli servitori soi" (Borretti, p. 2). Naturalmente tali proteste non ottennero alcun risultato. Ma il B. dovette sperimentare di persona il risentimento dei suoi amministrati, quando tentò di dare esecuzione anche nella sua diocesi al provvedimento che istituiva nel Regno di Napoli la temutissima Inquisizione "a modo di Spagna". I Cosentini giunsero ad assediare il B. per tre giorni nel palazzo vescovile, e il B. fu costretto a richiedere in tutta fretta il consenso del governo napoletano all'esenzione di Cosenza da quel tribunale, e soltanto a quel patto poté essere liberato.
Ben presto però il B. doveva essere richiamato sulla grande scena politica. La rottura tra Giulio II e Luigi XII, a cagione delle pretese di entrambi alla preminenza politica nella valle del Po, non aveva tardato infatti a raggiungere da parte francese estreme punte polemiche che si rivolgevano contro la stessa autorità pastorale del papa. L'annosa rivendicazione di un concilio riformatore veniva così raccolta dal re di Francia e sostenuta dal poderoso esercito da lui inviato in Italia. A dare autorità a quella estrema misura fu tuttavia essenziale il contributo di un gruppo di cardinali antichi avversari del Della Rovere e della sua politica: tra questi il B., che già nell'ottobre del 1510 raggiungeva il campo francese assumendo subito il ruolo di un protagonista tra i maggiori dell'iniziativa. Evidentemente egli riteneva che fosse arrivata l'ora della grande rivincita contro papa Della Rovere e anche ai contemporanei non sfuggirono le personali ambizioni che il B. portava in quella battaglia: Gerolamo Morone, per esempio, parlava esplicitamente delle ambizioni del B. alla tiara. Per alcuni mesi il B., riunito a Milano con i maggiori e più audaci esponenti dell'opposizione cardinalizia - il Carvajal, il Sanseverino, il Briconnet, il Prie - annodò pazientemente le fila della rivolta contro il pontefice, fino a che il 16 maggio 1511 il concilio non fu pubblicamente annunziato a Pisa per il 1º settembre successivo, ricevendo subito l'adesione del re di Francia e dell'imperatore. Era l'iniziativa scismatica più consistente e clamorosa che la Chiesa doveva affrontare da molti decenni, resa tanto più temibile per Giulio II perché la convocazione del concilio ad opera di un nutrito gruppo di cardinali e di due potenti sovrani cattolici corrispondeva largamente alle norme canoniche, oltre che alle diffuse, seppur confuse, aspettative del popolo cristiano. Per alcuni mesi, fino all'apertura effettiva del Concilio pisano, avvenuta in realtà il 1º novembre, si svolse un concitato lavorio diplomatico per indurre i ribelli alla sottomissione. Il B. e i suoi compagni, a loro volta, furono impegnati a vincere le resistenze della Repubblica fiorentina alla scelta della sede toscana, durante lunghe trattative che furono largamente a carico del Machiavelli. E finalmente il pontefice ruppe gli indugi: dopo aver convocato a sua volta un concilio per la primavera successiva in Roma, Giulio II il 24 ottobre destituì della dignità cardinalizia e scomunicò il B. e i suoi compagni. I ribelli tuttavia non si sottomisero e il 1º novembre fu inaugurato il "conciliabulum Pisanum". Il B. peraltro non era presente: ammalatosi durante il viaggio alla volta di Pisa, morì a Reggio Emilia poco dopo l'apertura del concilio, il 4 novembre del 1511.
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