BENCI (Bencio, Benzi, Bencius), Francesco
Nacque ad Acquapendente nel 1542, come dimostra il Tiraboschi, confutando i biografi precedenti sulla base di due lettere scritte dal B. a Pier Vettori e di una del Lipsio al Mureto, che a Roma lo ebbe per sette anni fra i suoi più promettenti allievi nello studio delle lettere classiche. Allargata poi la sua formazione culturale con quattro anni di filosofia e due di diritto civile, il 18 maggio 1570, al termine di una lunga crisi religiosa acuitasi con la morte della madre, entrò nella Compagnia di Gesù e cambiò nell'occasione il nome di Plauto in quello di Francesco, come si chiamava il padre, vivo ancora nel 1590.
Trascorso il normale periodo di noviziato, il B. abbracciò la carriera dell'insegnamento. Fu ammirato professore di retorica a Siena, a Perugia e specialmente a Roma, dove negli anni 1583-84 appare come docente negli elenchi ufficiali di quel Collegio - voluto da Ignazio di Loyola - che costituiva allora il centro più prestigioso della cultura gesuitica. Per i suoi scolari, e talvolta con essi, compose numerose orazioni, opere poetiche e drammi recitati nelle accadernie annuali. A Roma visse in continuità negli ultimi due decenni della sua esistenza ed ebbe modo di farsi conoscere e stimare dai maggiori dotti e umanisti del tempo, corrispondendo epistolarmente con taluni di loro come il Mureto, il Lipsio (che gli annunciò in una lettera poi pubblicata il ritorno alla fede cattolica: Iusti Lipsii epistola qua F. B. viro, ex S. I., reiectam a se falsam haereticorum doctrinam perscribit, Cracoviae 1596), il Vettori, il Baronio, il Bonciario, Paolo Sacrati, Luigi Lollino vescovo di Belluno. Morì il 6 maggio del 1594 e venne sepolto nella chiesa dell'Ordine.
La sua opera, interamente in latino, pur variata nei contenuti e nei generi, è costantemente fedele ai contegni severi e monotoni della produzione di stretta osservanza controriformística e non richiama su di sé una particolare attenzione critica. Il senso del decoro formale, il gusto dei periodo ben costruito e infiorato, di citazioni profittevoli, soprattutto la convinzione dell'indispensabilità di uno strenuo e minuto esercizio anche ripetitorio, che è caratteristica dell'insegnamento gesuitico atteggiato secondo il modus parisiensis, sono ben evidenti in alcune orazioni: De laudibus laboris, De laudibus poëticae, De vitac integritate coniungenda cum eloquentia, De officio docentis, e nella Disputatio de stylo et scriptione. Sono queste scritture, forse più dei convenzionali medaglioni déll'antico maestro (In funere M. A. Mureti, Romae 1575, recitata in Trinità dei Monti), di Alessandro Farnese (ibid. 1589) e del card. Antonio Carafa (ibid. 1591), che valgono a chiarire la sua personalità e il significato di quella scuola in cui si riflette da vicino la temperie culturale dell'epoca. Sotto questo aspetto, di una dialettica di rinascimento e di cattolicesimo, sono notevoli anche le tre orazioni - fatte recitare da altrettanti scolari - Pro Roma vetere adversus novam, Pro Roma nova, Iudicium priorum orationum, in cui si profila una querelle che avrà vita e pretesti fino ad Ottocento inoltrato. La risposta dei B. sfocia in una cauta non-belligeranza, in un moderato sincretismo che ricupera l'antico in quanto è visto come preparazione al novus saeculorum ordo.
L'ormai consunta maniera dei Coryciana, e una venatura di agognata "sublimità" (per influsso dei profeti e dell'ammiratissimo Longino), è nei Carminum libri quattuor (Romae 1590; I: heroica; II: odi e inni; III: elegie; IV: epigrammi), mentre una maggiore effusione e un solenne ritmo narrativo sono il connotato saliente dei Quinque martyres e Societate Iesu in India libri sex (Venetiis 1591), forse l'opera più riuscita del B.: sulla scorta delle notizie ancora recenti di quel fatto, e delle diverse opere latine e volgari che già vi s'erano ispirate mescolando al vero i consueti fregi miracolosi, è rappresentata ed esaltata la vicenda eroica di padre Rodolfo Acquaviva e dei suoi compagni, che di lì a settant'anni Daniello Bartoli rivestirà con la favolosa prosa della sua Missione al Gran Mogor. Il compassato ed aulico verseggiatore che è di solito il B. ha qui seguito il consiglio da lui dato ai giovani nel De stylo, fondato sul paragone degli arcieri prudenti: anch'egli, infiammato dal' soggetto, mirò in alto, a Virgilio, raggiungendo nel finale qualche buon risultato di concentrazione drammatica.
Meno conosciute le restanti opere. Due suoi drammi educativi e pesantemente allegorici (durante i cinque atti compaiono in scena le personificazioni delle virtù), Ergastus (Romae 1587) e Philotimus (ibid. 1590), furono recitati, rispettivamente nell'ottobre e nel dicembre di quegli anni, per solennizzare la premiazione degli allievi del Collegio Romano, e riflettono la natura retorica e l'immobilità dei teatro latino rinascimentale; un terzo dramma, ricavato però dalla storia sacra e normalmente indicato col titolo di Elisaeus, ma dal Sommervogel con quello di Hiaeus, rimase manoscritto, come pure le note e i commenti a diverse orazioni ciceroniane. Numerose lettere sono rintracciabili negli Epistolarum M. A. Bonciarii libri XII, Perusiae 1613, passim; quelle dirette al Lipsio, in Sylloges epistolarum a viris illustribus scriptarum, I, Leydae 1727, pp. 67-81. È infine da menzionare l'attività di compilatore e di editore di cinque voll. di Litterae annuae S.I, usciti a Roma fra il 1589 e il '94, che coprono in realtà lo spazio di sei anni, dall'86 al '91, e la prefazione al poema di Giulio Cesare Stella Columbeidos libri priores duo (Romae 1590), pure da lui pubblicato.
Le Orationes (Romae 1590, ma alcune già a stampa prima) ebbero più edizioni, unite al De stylo e ai Carmina, e talora anche ai drammi; le più curate sono: Ingolstadii 1592, 1599 e 1602, Coloniae Agr. 1617.
Bibl.: Bibliotheca Script. Soc. Iesu, Romae 1676, pp. 215 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II 2, Brescia 1760, pp. 783-87; G. Tiraboschi, Storia d. lett. it., VII, Venezia 1796, pp. 1398-1400; C. Sommervogel, Biblioth. de la Compagnie de Jésus, Bruxelles-Paris 1898, I, coll. 1285-1292; VIII, col. 1812 (fornisce l'elenco dei mss.); F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1903, p. 470; R. G. Villoslada S. I., Storia del Collegio Romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Comp. di Gesù, Roma 1954, passim; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VII, col. 1047.