BELTRAMINI, Francesco
Nato a Colle Val d'Elsa nel 1522, si addottorò in diritto civile e canonico, e, assunti gli ordini minori, entrò in prelatura.
In gioventù fu in Francia al servizio del cardinale Lorenzo Strozzi che abbandonò però in circostanze poco chiare, se non addirittura infamanti. Certo è che nel 1562 appare in un ruolo della famiglia pontificia come cameriere di Pio IV. Bene introdotto alla corte di Roma, con tutta probabilità ad opera del fratello Beltramino che già dal 1556 vi ricopriva l'ufficio di scrittore dei brevi segreti, il B. vi percorse una rapida e brillante carriera: referendario delle Due Segnature, il 21 giugno del 1564 venne nominato vescovo di Terracina, e l'anno dopo nunzio ordinario alla corte di Francia. Le ragioni che indussero Pio IV a scegliere per un incarico di tanta importanza proprio il B., uomo certo di non grande levatura intellettuale e morale, non sono note; va comunque ricordata la circostanza che il B., persona di fiducia del papa, era per giunta protetto da cardinali influenti come Marco Sittich d'Altemps e Guglielmo Sirleto. D'altra parte la nomina del nuovo nunzio alla corte di Francia era resa quanto mai impellente dalle proteste del nunzio ancora in carica, Prospero di Santacroce, elevato di fresco alla porpora, che dalla Francia tempestava la Curia con le sue richieste sempre più pressanti di ritornare in Italia.
La scelta, dettata probabilmente da ragioni di mero favoritismo, risultò quanto mai funesta agli interessi pontifici in Francia che richiedevano in quel momento ben altro tutore.
I rapporti tra la corte di Parigi e quella di Roma attraversavano infatti una fase delicatissima, resa particolarmente difficile dal grave problema dell'introduzione in Francia dei decreti del concilio di Trento non sempre compatibili con le antiche tradizioni gallicane della monarchia francese, che rischiavano per giunta di compromettere il già tanto precario equilibrio tra cattolici e ugonotti. Il Santacroce aveva lavorato lungamente e non senza abilità al conseguimento di un accordo con Caterina de' Medici, e nel convegno di Baiona del giugno 1565 riuscì, valendosi di un massiccio intervento spagnolo, a strapparle l'impegno di sottoporre a una assemblea di prelati e rappresentanti dei Parlamenti di Francia, da convocare entro il dicembre dello stesso 1565, i decreti del concilio per l'approvazione. Forte di tale successo che poteva sembrare definitivamente acquisito, il Santacroce si dispose a lasciare il posto al nuovo nunzio, impazientemente atteso. Il 28 ag. 1565 il cardinale Borromeo gli annunziò ufficialmente la nomina del B. e lo invitò ad attenderlo per le consegne e la presentazione a corte.
Il Santacroce aveva saputo in precedenza della nomina e si era affrettato a comunicare a Tolomeo Gallio, cardinale di Como, le prime reazioni della corte francese tutt'altro che favorevoli al B., del quale si ricordarono subito i passati trascorsi in Francia. A quel che pare, lo stesso cardinale Strozzi, fedelissimo sostenitore degli interessi francesi, rivelò a Caterina i peccati di gioventù del nuovo nunzio, che si sarebbe reso colpevole di falsificazione di documenti.
Quanto di vero fosse in queste accuse, del resto tutt'altro che disinteressate, non è dato accertare allo stato attuale della documentazione. Certo è che il papa Pio IV non volle bruciare il suo protetto, come scrisse al Santacroce il 29 ag. 1565 il Gallio: "Io fici il commento a Sua Santità sopra quel disgusto secondo che V. S. Ill.ma mi scrisse, ma l'espeditione era già tanto innanzi che non era più possibile ritenerla senza metter l'huomo sotto terra. Hora io spero che il tutto passerà bene..." (Barb. Lat. 5759, c. 222v). Il Santacroce, preoccupato di dover prolungare un soggiorno che ormai gli pesava sempre più, non mancò di insistere risolutamente, mettendo in guardia anche il Borromeo sulle resistenze opposte dalla regina (lettera del 16 sett. 1565: fondo Pio, 116, c. 333r). Ma a Roma si voleva salvare il B. a tutti i costi e si sperava che, messa davanti al fatto compiuto, Caterina avrebbe finito con l'accettare il nuovo nunzio. Il Gallio scrisse al Santacroce il 25 sett. 1565: "Terracina venne, et di quest'hora debbe esser molto innanzi, et bisognerà pure che lo ricevano velint nolint; né però questo sarà tanto ingiusto negletto, quanto fu il loro quando ci mandorno Lilla. Qui è stato interpretato che questo motivo non venga dalla regina, ma da qualche personaggio che ci vorrebbe un altro a modo suo; et che sia vero l'ambasciatore non solo non ha mai detto che Terracina sia per dispiacere, ma più presto ha accennato che se la regina havisse questo pensiero crederia che gli havisse ordinato di far sopra di ciò qualche officio con Sua Santità" (Barb. Lat. 5759, cc. 227v-228r). A Roma certo si coglieva bene nell'eccezione sollevata dai Francesi il tentativo di ottenere un nunzio meno legato alla Curia, se non proprio un prelato di fiducia della corte di Caterina. Anche l'ambasciatore toscano in Francia, il commendator Petrucci, ebbe la stessa impressione e scrisse a Cosimo che le difficoltà francesi non nascondevano il deliberato proposito di sabotare le relazioni diplomatiche fra le due corti. Il fatto era però che la scadenza del dicembre 1565 si avvicinava, e Caterina non aveva nessuna voglia di mantenere la promessa fatta a Baiona: la nomina di un nunzio con un passato francese poco pulito si presentò a un certo punto come un ottimo diversivo su cui deviare le trattative diplomatiche con Roma, in attesa che le precarie condizioni di salute del vecchio Pio IV procurassero a Caterina un nuovo papa (possibilmente il cardinale Ipppolito d'Este), più sensibile alle particolari esigenze della corte francese.
Quando il B. il 12 ott. 1565 arrivò alla corte francese, in quel momento a Nantes, Caterina si rifiutò di riceverlo. Il Santacroce irritatissimo scrisse al cardinale di Como il 15 ottobre: "la regina sta così mal animata contro monsignor di Terracina, che non solo non ha voluto vedere et accettare lettere da lui, et a me ha detto che ne vuol scrivere a Sua Santità; delle cause che la muovono me ne ha detta qualchuna, ma sono da dir a bocca. Vostra Signoria Illustrissima può ben esser sicura, et così lo potrà dir a Sua Santità, che io non so che di Roma sia stato fatto cattivo officio alcuno, e che ne sono stati fatti qui molti contro di lui, dicolo perché Sua Signoria attribuisce tutto a mali officii fatti da Roma, et io credo che s'inganni, et sono cose vecchie e di lunga mano. Da me è stato operato tutto quello che si è possuto in beneficio suo, havendone parlato et con Sua Maestà più volte, e con monsignor illustrissimo di Borbone, il quale signore si è portato benissimo, però non ha possuto far più che tanto (fondo Pio, 116, cc. 339v-240r).
Il B. seguì la corte da Nantes a Chateaubriand e Tours senza riuscire a presentare le lettere credenziali, finché la morte di Pio IV sopraggiunta il 9 dic. 1565 tolse d'impaccio l'astuta regina di Francia. Il nuovo papa, Pio V, il 25 marzo 1566 richiamò il B. e la questione dell'introduzione in Francia dei decreti del concilio di Trento ritornò completamente in alto mare.
Uomo di mediocre levatura (assai significativo il giudizio che ne dette il Petrucci, scrivendo a Cosimo de' Medici il 19 ott. 1556: "né sarebbe male se talora non si ricevesse [il B.], perché in questo regno ci bisognano uomini non deboli, ma di valore, acciò non seguino disordini"), il B., sbalzato improvvisamente e per circostanze del tutto occasionali in un posto di alta responsabilità, ritornò così nell'oscurità. Rimasto indisturbato dopo il suo rientro in Italia, forse in virtù dei potenti appoggi che ancora gli restavano in Curia, si insediò nella sua diocesi di Terracina e vi restò con qualche interruzione (nel 1572 fu governatore di Campagna nel basso Lazio) fino alla morte avvenuta nel 1575. Il vescovato di Terracina passò in conseguenza nelle mani del fratello Beltramino, che lo tenne fino all'8 maggio 1582 data della sua morte.
Sull'ultimo decennio di vita dei B. e sulle più che modeste vicende della sua attività di vescovo fanno luce alcune sue lettere al cardinale Guglielmo Sirleto (sei che vanno dal 26 giugno 1566 al 6 ag. 1571) conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. Lat. 6182, cc. 4, 137, 452; 6189, II, c. 318r; 6191, c. 199; 6946, cc. 51r-v), insieme con una lettera dell'Altemps al Sirleto, riguardante il B., del 27 sett. 1569 (Vat. Lat. 6181, c. 328r).
Due sue lettere del 1562, una indirizzata a Gaspard de Saulx-Tavannes luogotenente generale di Borgogna, si conservano nella Biblioteca Nazionale di Parigi (Fonds français, 4632, f. 2; 15877, f. 241).
Al B. sono attribuiti con buon fondamento dei Commentarii dell'attioni del regno di Francia concernenti la religione et altri accidenti, cominciando dall'anno MDLVI fino al MDLXXI di Monsignor di Terracina, conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana (fondo Chigi, Q. II. 33, ma anche in altro codice col titolo diverso di Commentari del regno di Francia, concernenti i progressi della setta ugonotta, et le cause della discordia fra i principi della lega et quelli del sangue, Urb. Lat. 813, ff. 139-454) e rimasti inediti.
Si tratta di una cronistoria delle guerre di religione condotta essenzialmente di seconda mano, ma non senza qualche richiamo a una diretta esperienza della situazione francese. Opera di natura scopertamente apologetica, tutta intesa a riportare "questo popolo corrotto alla riunione con la Santa Chiesa", subordina sempre alle esigenze della propaganda politico-religiosa della Curia ogni altro interesse anche solo puramente narrativo, e tradisce una modesta cultura chiesastica seppure non del tutto immune dalla consueta infarinatura di tacitismo. Tuttavia vale la pena di notare che qui la constatazione della radicale impossibilità di ogni convivenza tra diverse confessioni religiose non porta alla predicazione della guerra santa come solo possibile strumento di unificazione ("Gl'huomini buoni non doveriano mai venir a metter mani all'armi per conto della religione", Urb. Lat. 813, cc. 316r-v). L'autore dei Commentarii si contenta di un concilio di riunione: "la divisione della favella genera separatione de' reami, ma quella delle religioni o delle leggi di un reame ne fa dui, et impossibile pare che contener si possino gl'homini in tale divisione senza venire all'armi. Per questa caggione conviene levar via la radice del male, mediante un sacro concilio del quale non solo il papa ne da grande speranza, ma con grande instanza lo sollecita" (Urb. Lat. 813, cc. 317v-318r).
Fonti e Bibl.: Le vicende della nunziatura del B. possono ricostruirsi in base alla corrispondenza del Santacroce in Arch. Segreto Vaticano, fondo Pio 116, cc. 332r, 336r-v, 339r-340r, e in Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 5759, cc. 219v-220v, 222v, 227v-228r, e alle memorie, probabilmente autobiografiche, dello stesso Santacroce, Prosperi cardinalis Sanctacrucii de vita atque rebus gesti ab anno R. S. MDXIV ad annum usque MDLXVII, a cura di G. B. Adriani, in Miscellanea di storia italiana, V, Torino 1868, pp. 553, 985. Non è stato possibile invece reperire i dispacci del B. che vanno forse considerati perduti. Il dispaccio dell'ambasciatore Petrucci è pubblicato in Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini e A. Desjardin, III, Paris 1865, p. 516. Cfr. poi H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques perimanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 120, 253; V. Martin, Le Gallicanisme et la Réforme catholique, Paris 1919, pp. 86 s.; L. v. Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1928, p. 409. Per l'attribuzione dei Commentarii al B. cfr. Bibliothèque historique de la France, a cura di J. Lelong e F. de Fontenette, II, Paris 1769, n. 18203; Codices Urbinates Latini, a cura di C. Stornajolo, II, Roma 1912, p. 388. Per altre notizie biografiche cfr. D. A. Contatore, De historia Terracinensi..., Romae 1706, p. 419; L. Biadi, Storia della città di Colle in val d'Elsa, Firenze 1859, p. 238; R. v. Sickel, Ein Ruolo di fainiglia des Papstes Pius IVI in Mitteilungen des Instituts fúr oesterreichc Geschichtsforschung, XIV (1893), pp. 573. 580; C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, p. 310; B. Katterbach, Referendarii utriusque signaturae, Città del Vaticano 1931, p. 137; Dict. d'Hist. et de Géogr. ecclés., IX, coll. 641 s.