FOTOPERIODISMO
. Insieme dei fenomeni e manifestazioni che insorgono negli organismi vegetali per reazione al fattore "lunghezza del giorno" o "fotoperiodo" (dal gr. ϕῶς "luce" e περίοδος "periodo"). Tale fattore rientra nel quadro degli agenti fisici cui è subordinata la vita della pianta, per quanto riguarda sia il suo accrescimento, sia il suo ciclo di sviluppo. Non tuttavia come "fattore luce" per sé stesso, ma come l'avvicendarsi di periodi giornalieri luminosi ed oscuri (corrispondenti al giorno e alla notte), aventi entrambi importanza come sede di processi particolari, il cui complesso - o meglio - la cui interazione porta (a seconda della lunghezza relativa del giorno e della notte) a determinate e talvolta distintamente opposte situazioni funzionali concludentisi con manifestazioni quantitativamente e qualitativamente diverse. I primi studî in merito si devono agli americani Garner e Allard (1920 e segg.), ai quali appunto va attribuita la scoperta del fotoperiodismo. Le osservazioni si riferiscono specialmente alle piante erbacee.
Le manifestazioni del fattore fotoperiodico sono molte e di vario genere, tanto che si può dire a ragione che nessuna delle attività vitali dell'organismo può sottrarsi completamente alla sua influenza. Tuttavia la più caratteristica delle reazioni - anche perché può assumere carattere qualitativo - è quella che interessa il passaggio dalla fase di attività puramente vegetativa a quella riproduttiva, che, come fase visibile, s'identifica colla formazione delle strutture fiorali sui punti vegetativi. In riferimento a tale manifestazione, cioè alla fioritura (o almeno alla formazione degli abbozzi fiorali), alcune piante si dimostrano molto sensibili al fattore fotoperiodico, essendo in esse il passaggio alla fioritura condizionato anche in modo assoluto alla lunghezza del giorno e della notte (mancanza di fioritura per determinate lunghezze); altre piante si dimostrano praticamente insensibili - per quel che riguarda il loro ciclo di sviluppo - alle variazioni del fotoperiodo. Il primo gruppo di piante comprende alcune categorie che si distinguono per il diverso modo di reazione; le due più importanti sono quella delle brevidiurne e quella delle longidiurne.
Alla categoria delle longidiurne, praticamente riconosciute prima ancora degli studî di Garner e Allard da Klebs (1918), appartengono piante che fioriscono solo quando la lunghezza della fase luminosa oltrepassi un dato limite (punto critico) e fioriscono tanto più rapidamente quanto più la fase diurna cresce (rispetto a quella notturna) allontanandosi dal punto critico. In tal modo questo tipo di piante trova le condizioni ottimali per il passaggio alla fioritura in assenza di periodiche fasi di oscurità, cioè ad illuminazione continua (ottenuta, ad es., illuminando le piante artificialmente durante la notte). Per contro, coltivate in condizioni di giorno breve (cioè di lunghezza inferiore a quella critica, che è caratteristica per ogni specie o razza e, peraltro, variabile da specie a specie) le longidiurne non raggiungono mai le condizioni necessarie per l'avviamento dell'attività riproduttiva e rimangono indefinitamente allo stato vegetativo. Le condizioni di giorno breve possono verificarsi sia naturalmente (vicende stagionali della lunghezza del giorno e relative alla latitudine), sia artificialmente allungando la notte mediante oscuramento delle piante nelle ultime ore della sera e nelle prime della mattina. Le longidiurne trovano le condizioni migliori di fioritura nella stagione primaverile-estiva alle latitudini elevate.
Le piante appartenenti alla categoria delle brevidiurne, invece, fioriscono quando il giorno sia relativamente breve e precisamente di lunghezza inferiore ad un determinato punto critico (caratteristico per ogni razza). Fioriscono tanto più rapidamente quanto più breve è il giorno: però, fino all'approssimarsi di un certo valore "minimum" (punto critico inferiore). Le brevidiurne trovano le migliori condizioni di fioritura nelle circostanze opposte a quelle citate per le longidiurne; alle latitudini medie fioriscono spesso solo in autunno coll'accorciarsi del giorno. Un caratteristico esempio è rappresentato dal crisantemo che fiorisce in ottobre-novembre e non in estate, a meno che, appunto, non si provveda a mantenere le piante in giorno corto artificiale. In tal modo si può facilmente anticipare la loro fioritura di parecchie settimane.
A questa categoria si avvicina (e forse con essa s'identifica, salvo variazioni quantitative) quella delle mediodiurne che annovera piante le quali trovano condizioni adatte alla fioritura soltanto quando il giorno sia più corto di un determinato punto critico (superiore) ma superi un certo punto critico inferiore che in tali piante è relativamente alto (a differenza di quanto succede nelle brevidiurne) e perciò compreso talvolta anch'esso nella gamma delle escursioni naturali della lunghezza del giorno.
Il secondo gruppo di piante, cioè quello che comprende specie o razze insensibili al fattore fotoperiodico e che vengono denominate neutrodiurne, è in verità piuttosto mal studiato e si può dire annoveri piante di tipo non sempre affine e certe volte appartenenti - a rigore - alle categorie già menzionate, ma con caratteri estremi, tanto da spostare i punti critici oltre i valori che comunemente sono oggetto della nostra considerazione.
Esempî di piante longidiurne: Hyoscyamus niger, Spinacia oleracea, Anethum graveolens, Centaurea solstitialis, Rudbekia ssp., Argemone ssp. sono piante che allo stato vegetativo (sotto condizioni di giorno breve) formano una rosetta di foglie essendo il fusto estremamente ridotto; il numero delle foglie aumenta col prolungarsi dello stato vegetativo e contemporaneamente si ha anche un cospicuo accrescimento delle parti ipogee. Gli internodi si allungano (levata) soltanto in condizioni di giorno lungo e si ha la formazione di uno stelo fiorifero (generalmente la fioritura coincide coll'allungamento del fusto). Vi sono, peraltro, alcune longidiurne che non hanno affatto portamento a rosetta in nessun momento della vita; così ad es. l'Urtica pilulifera e la Circea lutetiana.
Esempî di piante brevidiurne: Chrysanthemum ssp., Chenopodium amaranticolor, Soia Biloxi, Perilla ocymoides, Salvia splendens, Xanthium italicum. Sono piante che non hanno, di regola, portamento del tipo rosetta; in cultura prolungata a giorno lungo possono accrescersi enormemente senza fiorire ed esibire più facilmente il fenomeno del gigantismo; in condizioni opposte possono invece - come del resto altri tipi di piante - manifestare caratteri di pedanzia.
Esempî di piante mediodiurne: Parthemium argentatum.
Esempî di piante neutrodiurne: Zinnia sp., Ricinus communis.
La posizione del punto critico per le longidiurne si aggira in generale sulle 12-15 ore di luce, ma per molte di esse è ancor più bassa (per la Centaurea solstitialis è sulle 9 ore). Quindi talune longidiurne possono fiorire anche a giorno breve, salvo sempre a fiorire più rapidamente se il giorno è lungo. Per le brevidiurne il punto critico superiore, cioè quello che praticamente più interessa, s'aggira sulle 14-17 ore di luce, ma in molti casi è ben più alto, cioè sulle 18-20 e anche sulle 24 ore. Per alcune di esse non esiste quindi punto critico e gl'individui fioriscono anche a luce continua. Fioriscono comunque tanto più rapidamente quanto più il giorno è breve (fino all'approssimarsi del punto critico inferiore).
Caratteristica tanto delle longidiurne che delle brevidiurne è la circostanza che l'effetto fotoperiodico non deriva tanto dalla lunghezza della fase diurna quanto dalla durata della fase oscura. La sua azione si esplica solo se tale fase è ininterrotta; il punto critico della reazione è stabilito dunque dalla lunghezza del periodo oscuro. Ne deriva che le piante brevidiurne dovrebbero essere chiamate piuttosto longinotturne e le longidiurne, a loro volta, brevinotturne.
Infatti noi possiamo sperimentalmente far fiorire le brevidiume con giorno lungo (fase diurna più lunga di quella critica) purché le fasi notturne, che seguono ad ognuna di luce, siano di lunghezza superiore a quella critica per la fioritura (ciò che si può ottenere alterando sperimentalmente le caratteristiche del giorno normale); e così possiamo far fiorire una longidiurna in giorno breve, purché la fase notturna sia comunque più breve del valore critico caratteristico della specie in questione.
Molti aspetti del meccanismo della reazione fotoperiodica di fioritura sono noti attraverso un numero imponente di esperimenti. I fenomeni essenziali sono: la percezione dello stimolo fotoperiodico; l'induzione ed il post-effetto fotoperiodico; la localizzazione fotoperiodica. Le piante sensibili vengono influenzate attraverso un'azione sulla foglia (organo percettore), la quale dopo alcun tempo (spesso dopo pochissimi giorni: 1-6) di permanenza in fotoperiodo adatto alla fioritura, acquista nuove proprietà funzionali capaci di indirizzare gli apici caulinari vegetativi verso l'attività riproduttiva. Le foglie sono così fotoperiodicamente impressionate e godono di un carattere antotropo; l'individuo è indotto a fiorire. Il carattere antotropo (l'impressione fotoperiodica) si mantiene nelle foglie per molto tempo anche se, dopo il periodo d'induzione, le condizioni di lunghezza del giorno siano cambiate e siano, cioè, divenute inadatte alla fioritura. La pianta continua perciò la sua marcia nello sviluppo iniziando il processo visibile di fioritura per effetto (post-effetto) dei processi induttivi precorsi.
Così per es. una pianta brevidiurna può fiorire anche in condizioni di giorno lungo purché venga trattata per un certo periodo (periodo induttivo) con giorni brevi. Altra particolarità del fenomeno consiste nel fatto che non è necessario sottoporre tutta la pianta all'azione del fotoperiodo adatto (s'intende sempre con mezzi o dispositivi sperimentali); basta alle volte che solo alcune foglie vengano indotte. Si noti tuttavia che le foglie non indotte esercitano, in tal caso, un'azione antagonista a quella delle foglie antotrope e a seconda della proporzione tra le due azioni (florigena e antiflorigena) si stabilisce una reazione positiva (fioritura) o negativa. Nel caso di un individuo fornito di due rami, se uno solo di essi vien indotto alla fioritura, lasciando l'altro in fotoperiodo inadatto, si assiste generalmente ad un comportamento autonomo dei due rami perché la reazione fotoperiodica di fioritura resta localizzata al ramo trattato. Questa sembra appunto essere una conseguenza dell'attività antiflorigena delle foglie non indotte. Sullo stesso principio si basa un altro fenomeno a questi collegato: il ringiovanimento o inversione fotoperiodica che si ha quando una pianta, o parte di essa, dalla fase riproduttiva ritorna a quella vegetativa per la prevalenza di organi vegetotropi, verificantesi quando sia possibile la formazione di nuove foglie in condizioni inadatte alla fioritura.
La dimostrazione che una foglia indotta conserva per un certo tempo (a volte considerevolmente lungo: 15-30 giorni) le proprietà antogene, si è avuta mediante innesto delle foglie su individui vegetativi in condizioni non adatte alla fioritura. Si ottiene in tal modo la fioritura (se si ha cura di togliere al soggetto la maggior parte delle foglie proprie) soltanto innestando foglie debitamente indotte. L'esito di tali esperienze dimostra che le foglie indotte formano delle sostanze che sono responsabili della fioritura, mentre quelle non indotte non hanno questa facoltà.
Su questi reperti si basa la teoria ormonica della fioritura. Le presunte sostanze antogene (o sostanze florigene od ormone antogeno) finora non sono state isolate e sembra che la loro identificazione urti contro notevoli difficoltà. Attualmente, accanto alle ipotesi che prevedono l'importanza di sostanze ad azione specifica e positiva sulla fioritura, si va facendo strada l'idea che alla base della reazione fotoperiodica stiano anche dei fattori (se non addirittura delle sostanze) a carattere antiflorigeno e che su questa traccia si debba spiegare il meccanismo della fioritura in relazione ai fattori fotoperiodici o comunque esterni.
Le vicende dello sviluppo dei vegetali non sono sempre e solamente subordinate alle caratteristiche del fotoperiodo. Altri fattori possono avere talvolta un'importanza anche maggiore nel regolare il passaggio da una fase all'altra. Così è noto che la temperatura può condizionare il passaggio alla fioritura di certe piante, sia che esse abbiano particolari esigenze termiche - per tali processi - ancora nella fase pregerminativa o appena postgerminativa (termostadio di Lysenko) il cui appagamento rientra nel processo di vernalizzazione, sia che la temperatura entri a far parte delle condizioni per lo sviluppo richieste durante gli ulteriori stadî (nel senso ormai sorpassato di Lysenko) dell'individuo. In quest'ultimo caso è da tener presente che la temperatura esercita contemporaneamente tipi diversi di stimoli e fra questi uno che agisce direttamente sulle gemme (azione in tal caso assimilabile alla vernalizzazione dell'embrione o della plantula) ed uno che ha come organo di percezione, e di reazione primaria, la foglia. Sia nel primo, sia - e specialmente - nel secondo caso dobbiamo poi considerare il fattore temperatura anche nel senso di un periodico avvicendamento di fasi a temperatura diversa, coincidenti coll'alternarsi del giorno e della notte. Si tratta in altre parole di un fattore, termoperiodo, che consiste nell'azione esercitata da fasi diurne con una data temperatura e da successive fasi notturne con temperatura differente.
È importante mettere in rilievo che in questo fattore hanno importanza preminente le condizioni termiche della fase oscura; si rende evidente così come il meccanismo d'azione del termoperiodo si sovrapponga a quello dell'azione del fotoperiodo. Sono dunque di grande importanza, per queste manifestazioni, le reazioni proprie del periodo notturno. Si ricordi che le caratteristiche di lunghezza della fase notturna (quelle che stabiliscono il punto critico del fotoperiodo) sono subordinate, spesso in maniera sensibile, alle condizioni di temperatura, tanto che il tipo di reazione di una pianta non si può - a rigore - precisare se non si stabiliscono le condizioni di temperatura. Talvolta accade, ad es., che una pianta si dimostri neutrodiurna a determinate temperature (che possono esser normali per un dato paese) e si comporti invece quale una caratteristica brevidiurna o longidiurna in condizioni di temperatura differenti.
Oltre a tali fattori hanno influenza talvolta sullo sviluppo anche l'intensità luminosa e l'umidità (per es. sull'edera e su talune specie di Veronica) e le condizioni di nutrizione i cui casi più importanti sono dati dal ritardo che l'eccessiva nutrizione azotata causa in alcune piante.
Per quanto riguarda i numerosi fenomeni inerenti all'attività vegetativa della pianta presieduti o, quanto meno, influenzati dal fattore fotoperiodico, sono da ricordare i seguenti: l'allungamento degli internodi (più cospicuo, di regola, a giorno lungo), la forma delle foglie, l'attività dei meristemi cambiali, l'accrescimento delle parti ipogeee (maggiore, di regola, a giorno breve), la caduta delle foglie, la maturazione del legno e in genere il passaggio allo stato di quiescenza di organi diversi. Tutte le funzioni della cellula sono più o meno influenzate dalle condizioni fotoperiodiche; il metabolismo ne risente quindi a tutti gli effetti e un indice del complesso di questi fenomeni si ha nel comportamento, spesse volte molto sensibile, dell'attività degli enzimi. Concludendo si può dire che generalmente una pianta presenta aspetti (tipi) fisiologicamente diversi a seconda delle condizioni fotoperiodiche nelle quali vive. Il risultato è spesse volte anche praticamente importante in quanto sotto certe condizioni si possono avere, per es., individui particolarmente adatti a condizioni ambientali estreme (resistenza al freddo, ecc.), oppure resistenti all'attacco da parte di parassiti fungini o di batteri.