CERVELLI, Fortunato
Nacque a Ferrara col nome di Giuda Rieti (o Rietti) probabilmente nel 1683 da Zaccaria, un ebreo che nel 1690 si battezzò con tutta la famiglia, assumendo il cognome del padrino, il "commissario" estense Alessandro Cervelli. Fu avviato subito ai traffici e agli affari, in contatto sia con le autorità e i mercanti cristiani di Ferrara e Modena, sia con le comunità israelitiche, affermandosi per spirito di iniziativa e spregiudicato senso delle opportunità. Il primo incarico importante che ci risulti lo ricevette nel 1710-11 come amministratore e poi procuratore generale del principe Luigi Pio di Savoia, che possedeva un immenso patrimonio fondiario, con immobili e manifatture fra Reno e Po. Su queste terre, il giovane neofita decise investimenti, progettò migliorie (soprattutto di natura idraulica), riscosse gabelle e tangenti, di certo lucrando su di esse anche personalmente. E a questo servizio in nome del principe si aggiunse via via l'assunzione di pubblici appalti: cominciò nel 1715 col dazio sulla navigazione del Po di Primaro, seguitò con quelli sull'acquavite, sulla "mezza macina", sul "pan di fiore", e altri, fino ad ottenere, attraverso un prestanome cristiano e d'intesa con la potente ditta mantovana di Felice Coen, la gestione della stessa Tesoreria provinciale di Ferrara.
Ottenere appalti significava buoni guadagni e prestigio: il C. seguitò sempre a concorrervi e a lucrarvi. Ma un vantaggio ulteriore ricavò dall'inserimento, per quella via, nei gangli della vita amministrativa e in un eccellente osservatorio sui privati affari di altre case mercantili, senza contare il suo ricavato dai contrabbandi di frontiera. Fu più facile inoltre intensificare i contatti con personaggi non solo del governo pontificio, ma degli Stati confinanti: Modena, Mantova, Venezia, Toscana, Impero. Con le sue qualità d'intrapresa e, secondo i suoi nemici, di intrigo, già sul finire degli anni Venti il C. riuscì a entrare nella fiducia di notabili di vari Stati e ad averne incarichi e riconoscimenti.
A tali incarichi appartiene quello conferitogli nel 1725 da Vienna per incrementare i commerci del vicereame austriaco di Napoli, così come quello del 1728-29per vigilare sui lavori del porto di Goro. Intanto carteggiava e si vedeva con ministri austriaci e preparava progetti audaci sia per l'espansione commerciale di Napoli e Messina da un lato, sia per lo sviluppo di Trieste e della navigazione sul Po da un altro. In questi luoghi egli si recò a più riprese, come avvertivano preoccupati i consoli veneti al Senato, stabilendo legami commerciali o facendo maturare ambiziose decisioni nell'interesse di Vienna, di cui si proclamava agente plenipotenziario. Molto importante fu la sua opera per attivare, impegnandovi la locale Compagnia privilegiata di cui era membro, una fiera franca internazionale a Trieste: questa si aprì nell'agosto del 1730, con l'intento di convogliare merci dall'Oriente e dal centro Europa, dalla Lombardia e dall'Italia peninsulare, ma decise ben presto, per il prevalere del protezionismo austro-boemo.
Anche l'azione del C. nella Tesoreria provinciale fu concordata con l'imperatore e col suo ambasciatore Cienfuegos, che agli inizi del '29 gli diedero il compito di entrarvi per contrastare il candidato sostenuto, da Venezia. Acquistata quella posizione, il C. seguitò con più forza ad agire come agente cesareo a Ferrara, dove si era installato in un signorile palazzo, e fuori. Così nel 1731 si occupò soprattutto di una compagnia di trasporti e "del Litorale" (di Trieste), coinvolgente, come la fiera, capitalisti d'ogni parte d'Italia e d'Austria nella spedizione quindicinale di una barca fra l'Istria e Ferrara. Sul finire dello stesso anno, si parlò per la prima volta di erigere un sistema di tre grandi "fondachi" situati rispettivamente a Trieste, Ancona, Ferrara. Fra il '32 e il '33 va collocata una iniziativa del C. per l'approdo diretto dei sali di Sicilia a Goro e a Trieste senza toccare Venezia. E il capolavoro del neofita si ebbe con la firma di un trattato fra Roma e Vienna per il commercio sul Po, contenente speciali esenzioni a panni e merci di Germania, più tardi revocate in nome di una ripresa del protezionismo pontificio, ma tornate poi a base del noto trattato del 1757 fra S. Sede e Lombardia austriaca.
Il cursus honorum del C. segnava frattanto continui avanzamenti sia dal lato pontificio (con l'aggregazione al primo ordine del Consiglio municipale: 1734-35), sia, soprattutto, da quello austriaco. Già nel 1729 era stato nobilitato col titolo di cavaliere del Sacro Romano Impero, dopodiché gli fu conferito l'incarico di "consigliere attuale e agente generale per le provincie d'Italia". Dal 1º genn. 1735 divenne anche "cesareo residente in Ferrara". Nel 1737 fu fatto barone (Freiherr) "von" Cervelli: nella relativa patente si richiamavano i servigi resi negli ultimi anni a favore dei corpi di spedizione dei generali Kevenhüller e Königsegg nella regione. E infatti egli molto operò per superare le resistenze locali alla cessione di grani e vettovaglie alla truppa, fino a rendersi impopolare fra i cittadini e a sfidare le ire del cardinal legato A. Mosca.
La medesima collocazione politica indusse il C. a occuparsi di problemi della Toscana, non appena questa cadde nella sfera lorenese-asburgica. Egli fu tra i consulenti del conte di Richecourt, appena giunto a Firenze, e lì tornò frequentemente a dare consigli di finanza e di proporre intese con gli Stati vicini, progettare o attivare linee regolari fino a Roma, a Modena, a Milano, al mare. Egualmente, ma con minor fortuna, egli cercò di inserirsi nei circoli milanesi e nelle loro vicende commerciali: colà si era affermato un robusto ceto di amministratori e di operatori economici e non si sentiva il bisogno di attingere suggerimenti da un trafficante abile ma mestatore e antiquato qual era il Cervelli. Il quale anche negli uffici e nella corte viennese aveva parecchi nemici, oltre ai protettori che lo portaronoalla nobilitazione e ne sostennero le fortune. I molti rapporti scritti mandati a Maria Teresa in tempo di guerra, ma anche dopo, con opinioni e suggerimenti sugli affari economici e politici d'Italia, danno conferma dell'udienza che egli sempre mantenne presso alcuni circoli di primo piano dell'Impero.
La crescita patrimoniale del barone C. seguitò fino alla fine. Una delle vie per assicurarla rimase sempre lo sfruttamento delle vie d'acqua interne del Ferrarese, scavate o adattate per la navigazione diretta fino al mare: malgrado ostacoli e sabotaggi, negli anni Trenta egli riuscì ad attivare un canale dal Reno fino all'approdo di Marrara. Quanto alle altre entrate, cessarono sì a un certo punto gli assegni dovutigli dal Regno di Napoli e parte di quelli mantovani, restandogli solo quelli di Vienna. Ma progrediva la sua attività di mercante e di banchiere prestatore, che secondo dispacci veneti si estendeva, talora sotto nomi di comodo, a mezza Italia. Per di più egli aprì una fornace di vetro a Ferrara, un fondaco di specchi e cristalli di Germania a Milano, un negozio di corrispondenza col socio Palm a Vienna, mentre percepiva cospicue rendite dai terreni acquistati tra il Ferrarese e la riva destra del Po.
Negli ultimi anni il C. poté confermare un vistoso treno di vita pubblica e privata. Nel palazzo di Ferrara, con le sue cinquantotto stanze, soprammobili di pregio, pitture raffaellesche e ornamenti barocchi, ricevette principi e regnanti e diede feste memorabili. Intanto a Francolino, lungo il fiume, aveva installato un bel casino di campagna, un allevamento di cavalli, orti e giardini. Morì a Ferrara nell'agosto del 1755, invidiato da molti, ma odiato da non pochi, dopo aver curato che l'unico giovane erede, il nipote Alessandro, si istruisse da nobile e si stabilisse definitivamente nella capitale di quell'Impero, che era ormai diventato la sua patria adottiva.
Fonti e Bibl.: Oltre alla biogr. di A. Caracciolo, F. C. ferrarese neofita e la politica commerc. dell'Impero, Milano 1962 (ricca di indicazioni di fonti), parecchie pagine e notizie nuove si trovano in W. Angelini, Gli ebrei di Ferrara nel Settecento, Urbino 1973, ad Indicem. Riferimenti frequenti, peraltro spesso già usati nelle opere di cui sopra, sono nelle cronache ferraresi edite e inedite, come quelle di A. Frizzi, Mem. per la storia di Ferrara, Ferrara 1848, V, p. 204; di G. Baruffaldi jr., Annali della città di Ferrara, nella Bibl. Ariostea di Ferrara, ms. Ant. 351;di G. F. Maffei, Libro delle memorie ferraresi, Ibid., ms. Ant. 484; di G. Muzzi, Giornale delle cose accadute in Ferrara, Ibid., ms. Cl. 1. 78; di O. Scalabrini, Annali della Chiesa di Ferrara, Ibid., ms. Cl. 1. 460, ecc., e in vari elenchi di uomini illustri ferraresi. Accenni all'attività del C. in: M.Foscarini, Storia arcana, in Arch. stor. ital., V (1943), pp. 96 ss.; I. Iacchia, Iprimordi di Trieste moderna all'epoca di Carlo VI, in Archeografo triestino, s. 3, VII (1919), pp. 61-180; G. Braun, Carlo VI e il commercio d'oltremare,ibid., s. 3, IX (1921), pp. 299-324; W. Angelini, Economia e governo a Ferrara nel secondo Settecento, in Studi urbinati, XLI(1967), 1-2, pp. 883-924; P. Gasser, Die Handelbeziehungen des Litorale zu den Ländern der Böhmischen Krone im 18. Jahrhundert, in Mitteilungen des Oesterreichischen Staatsarchivs, XIV (1961), pp. 88-99; A. Caracciolo, Contrasti sulla fiera e il regime doganale a Trieste nel 1730, in Arch. veneto, s. 5, LXX (1962), pp. 55-63. Si trovano riferimenti nei libri di R. Martini, La Sicilia sotto gli Austriaci,1719-1734, Palermo 1907, p. 170; di H. Benedikt, Das Königreich Neapel unter Kaiser Karl VI., Wien 1927, p. 368; di A. Caracciolo Le port-franc d'Ancône au XVIIIe siècle, Paris1965, pp. 51, 60, 63 s., 67 s., 126, 204, 280.