fóro [plur. anche fora, in rima]
Nel senso proprio di " buco ", più o meno vasto, in If XIX 14, nella descrizione della bolgia dei simoniaci, caratterizzata dal fondo foracchiato (v. 42): Io vidi... / piena la pietra livida di fóri, / d'un largo tutti, da ciascuno dei quali soperchiava / d'un peccator li piedi (vv. 22-23). In XXXIV 85 lo fóro d'un sasso, donde escono Virgilio e D., aggrappati al pelo di Lucifero (il vermo reo che 'l mondo fóra, v. 108) è quello che fu prodotto appunto dalla caduta di lui.
In altri due casi f. indica la piaga prodotta da un'arma appuntita: profondi fóri [" foramina et vulnera ", Benvenuto] / ond'uscì 'l sangue in sul quale io sedea (Pg V 73), definisce Iacopo del Cassero le ferite che lo condussero a morte; le fóra / ond'uscì 'l sangue per Giuda venduto (XXI 83: si noti l'identità dell'espressione, ond'uscì 'l sangue) sono le piaghe di Cristo, che fu, appunto, forato da la lancia (Pd XIII 40).
Ancora " ferita ", ma in senso traslato, è quella prodotta nel volgibile cor... / ove stecco d'Amor mai non fé foro (Rime CXIII 4). V. anche FORAME; e, per la forma fora, Parodi, Lingua 247.