Fondazionalismo e antifondazionalismo
Lungo linee direttrici che attraversano tanto la filosofia analitica e postanalitica, quanto quella di ispirazione ermeneutica (o filosofia continentale, come viene definita oltreoceano), la cultura filosofica contemporanea della fine del 20° sec. manifesta un'imponente tendenza antifondazionale e antimetafisica. Tendenza che, sul fronte della seconda scuola di pensiero, si compie a partire da F. Nietzsche fino a M. Heidegger, agli esiti di J. Derrida - che con la nozione relazionale di differenza porta a dissoluzione quella metafisica della presenza, del dato, che costituiva l'ancoraggio di ogni fondazionalismo - e di J.-F. Lyotard, che dissolve i metadiscorsi fondativi della tradizione, anche se non è mancato chi ha ravvisato nella nozione di differenza la riproposizione di uno schema trascendentale e dunque fondante (Gasché 1986). In questa area culturale, l'antifondazionalismo trova la sua lontana matrice d'ispirazione nella celebre tesi di Nietzsche secondo cui "la verità è un mobile esercito di metafore" e con la quale si attacca la radice platonica dell'intera tradizione filosofica occidentale. Introducendo la nozione di differenza ontologica, tra essere ed ente, Heidegger investiva criticamente la metafisica della presenza, riformulando la nozione di verità non più in termini denotativi e referenziali, ma in quelli ermeneutici di alétheia, ossia di un rivelarsi della verità che è al tempo stesso un velarsi nuovamente da parte della verità, che si situa pertanto in una regione a mezza luce, tra rivelazione e nascondimento. La verità non consiste più nell'adeguazione tra idea, rappresentazione, parola da un lato, e realtà dall'altro, ma nella risposta all'appello dell'essere. Derrida si è assunto il compito di una revisione della nozione heideggeriana di differenza ontologica, impugnando il suo impiego di metafore auditive e riconducendola a una relazione di tracce, di differenze che si ripercuotono indefinitamente a partire dal luogo del testo lungo i margini senza confine del discorso filosofico.
Revisione critica della categoria ontologica di presenza, di dato, realtà, e riformulazione delle categorie semantiche di senso, referenza, significato e verità costituiscono gli assi di orientamento lungo i quali la filosofia analitica e postanalitica ha condotto il suo lavoro di demolizione nei confronti degli assunti fondazionali della tradizione sia passata sia recente. Seppure non sono mancati alcuni tentativi di restaurazione di programmi filosofici ed epistemologici fondazionali anche nell'ambito della filosofia anglosassone, non si può dire che, dopo la semantica realista dei mondi possibili di S. Kripke, i recenti programmi del realismo metafisico, della semantica e dell'epistemologia fondazionali avanzati da J. Searle, M. Devitt, T. Haskell, H. Field, G. Evans, P. Kitcher, A.I. Goldman avanzino proposte originali e feconde, laddove un ruolo a sé assume la teoria di J. McDowell (1994; trad. it. 1999), che giustifica il suo fondazionalismo sulla base di una normatività immanente alla ricerca filosofica e scientifica.Tuttavia nel suo complesso la filosofia analitica e postanalitica conduce, di contro, un'operazione di revisione critica radicale delle ortodossie dominanti che esprime una costellazione culturale complessa e sofisticata in cui convergono le analisi critiche dei vocabolari filosofici, la svolta linguistica,vale a dire la presa di consapevolezza che i problemi filosofici sono filtrati linguisticamente, la grammaticalizzazione dell'esperienza, la revisione del concetto di verità messo variamente in discussione dalle alternative teoriche recenti del minimalismo, del deflazionismo e del decitazionismo, in base alle quali viene declinato il concetto di verità, senza tralasciare il riconoscimento degli elementi convenzionali e storici propri delle teorie fisico-matematiche che emergono a partire dalle opere di A. Einstein e di J.H. Poincaré.
Ciò che è entrato in discussione è in effetti la nozione aristotelico-scolastica di verità come corrispondenza tra idea, rappresentazione, concetto da un lato e realtà, mondo, fatti dall'altro, ossia - secondo l'espressione di Tommaso d'Aquino - veritas ut adequatio intellectus et rei. Nella cultura analitica anglosassone la tradizione empirista faceva valere i fondamenti inconcussi e indiscutibili dei dati sensoriali, dei sense-data che B.A.W. Russell introdusse nella terminologia filosofica in The problems of philosophy (1912) e che, combinati alla teoria degli elementi di E. Mach, dovevano costituire i fondamenti della metodologia del Circolo di Vienna e del neopositivismo logico. Nel 1932, nel suo volume Perception, H.H. Price esponeva in maniera esemplare il modello fondazionale di carattere empirista della ricerca filosofica e scientifica: il dato empirico, l'elemento percettivo, appare come la pietra angolare, il fondamento certo su cui si ergono filosofia e scienza. Nella varietà delle sue versioni, la prima fase del neopositivismo logico assunse il flusso dei dati sensoriali, l'Erlebnisstrom, come il fondamento di una visione scientifica del mondo, di cui si trova la migliore testimonianza in Der logische Aufbau der Welt (1928) di R. Carnap. Tuttavia è immanente all'evoluzione del neopositivismo una tendenza logico-linguistica in direzione formalista che, attraverso il dibattito sui protocolli (Protokollsätzestreit), avrebbe condotto O. Neurath e Carnap ad abbandonare la concezione della verità come corrispondenza per abbracciare la nozione della verità come coerenza, ossia come relazione di consistenza logica tra gli enunciati del corpo scientifico. È impossibile comprendere il dibattito contemporaneo sulla nozione di verità, in campo semantico, epistemologico nonché filosofico, senza richiamarsi all'antefatto storico e metodologico dell'alternativa fra verità come corrispondenza e verità come coerenza.Come notava K.R. Popper in Logik der Forschung (1935), fu merito precipuo di Neurath scoprire la natura linguistica degli enunciati protocollari, ossia degli enunciati basici che si riferiscono al dato percettivo immediato. È da queste vicende che occorre partire per comprendere la natura del dibattito sulle teorie fondazionaliste e le correnti antifondazionaliste e antimetafisiche in corso, senza però trascurare la rivalutazione della storicità che ha fatto il suo ingresso nell'epistemologia contemporanea e che in Italia ha trovato le sue premesse nell'elaborazione della filosofia come sapere storico a opera di E. Garin e di T. Gregory.
Il dibattito antifondazionalista mette in discussione uno per uno i cardini dell'apparato concettuale tradizionale, sia sul versante della metafisica tradizionale sia su quello della teoria semantica ed epistemologica. In discussione è entrato il concetto stesso di sense datum, di immediately given, dato immediato. Il filosofo americano W. Sellars (1963) ha posto definitivamente in discussione tale nozione, mostrando come la conoscenza non sia identificabile in un dato cui essa corrisponderebbe né in una relazione causale, bensì in un processo inferenziale, in una credenza giustificata (justified belief) o asseribilità garantita (warranted assertibility) che si produce all'interno di un processo inferenziale. Il fisico ed epistemologo N.R. Hanson (1958; trad. it. 1978) aveva d'altra parte validamente messo in luce che i dati sensoriali, assunti da una vasta tradizione filosofica e scientifica come i fondamenti del sapere, in realtà risultano essere theory laden, carichi di teoria. Sulla scorta del secondo L. Wittgenstein e delle scuole filosofiche di Oxford e Cambridge, Hanson mostra come ai dati immediati della percezione sia immanente un'elaborazione linguistica e concettuale che varia sulla base dei vocabolari adottati: secondo un suo celebre esempio, scrutando il cielo all'alba dall'alto di una collina, Tolomeo direbbe che il sole si alza, Kepler invece che l'orizzonte terrestre si abbassa. Una percezione è un processo che somiglia molto meno al ricevere uno stimolo sulla retina e assai più al leggere l'ora sul quadrante dell'orologio.
Tornando indietro, Carnap, sulle orme di Wittgenstein, è stato l'artefice di una strategia filosofica che ha minato ogni fondazionalismo oggettuale, ontologico o percettivo, mettendo all'opera una conversione linguistica che riduce le alternative del dibattito filosofico a opzioni linguistiche. Enunciando il suo principio di tolleranza in logica, per cui "in logica tutto è permesso", Carnap asseriva che impiegare un modo contenutivo del discorso (eine inhaltliche Redeweise) è soltanto una modalità opzionale rispetto all'equipollente modo formale del discorso (formale Redeweise), che analizza gli enunciati percettivi in termini di entità puramente linguistiche. Con questa strategia sintattica Carnap metteva fuori gioco il problema metafisico-fondazionale della corrispondenza delle rappresentazioni e degli enunciati con le cose come esse sono in sé stesse. Analogamente, anziché dire "il numero è la classe delle classi equipotenti a una classe data" (modo contenutivo), si può dire "il numero è un sostantivo numerale". Lo scolaro di Carnap N. Goodman ha delineato un approccio antifondazionalista e antimetafisico attraverso la dottrina delle versioni del mondo (ways of worldmaking), che sono costruite a partire da altre precedenti versioni del mondo, senza poter risalire a un contatto o a una corrispondenza con il presunto mondo originario, il quale resta consegnato a un mito filosofico. La dottrina delle versioni del mondo, improntata a un'epistemologia costruttivista, sviluppa conseguentemente un ridimensionamento o addirittura una minimalizzazione del ruolo della verità nella filosofia e nel sapere scientifico. Goodman mette in discussione il regime retorico che ha enfatizzato il ruolo e l'importanza della verità nella costruzione dei discorsi scientifici e filosofici. La strategia antifondazionalista di Goodman da un lato riduce il ruolo della verità nell'impresa conoscitiva, dall'altro le imprime un carattere pragmatista che si connette agli interessi e ai valori che guidano la ricerca umana.
Il pragmatismo di Goodman è stato molto influente nella svolta antifondazionalista e antiessenzialista che H. Putnam ha impresso alla sua ricerca dopo aver ripudiato la professione di realismo che negli anni Settanta aveva condiviso con la semantica referenzialista di Kripke, K. Donnellan e H. Field. Tale svolta ha inizio con Reason, truth and history, in cui Putnam respinge la propensione filosofica a identificare la conoscenza con la consapevolezza o il contatto comunque diretto con gli oggetti e i fatti. Sviluppando un teorema della semantica logica, Putnam mostra come, entro una notazione logica canonica, un enunciato o una classe di enunciati continui a essere vero/vera mentre mutano i referenti dei suoi valori di verità. "Ne consegue che vi sono sempre interpretazioni infinitamente differenti dei predicati di un linguaggio che assegnano i 'corretti' valori di verità agli enunciati in tutti i mondi possibili, prescindendo dalla questione di come questi valori di verità 'corretti' siano stati selezionati" (1981; trad. it. 1985, p. 35). Sviluppando il tema dell'indeterminatezza della referenza elaborato da W.V.O. Quine (1960; trad. it. 1970), Putnam delinea la crisi della semantica logica, ossia l'impossibilità di determinare la referenza di un enunciato, ciò che quest'ultimo denota, sulla base del suo valore di verità.
La referenza viene ritrovata attraverso la via dell'intenzionalità, ossia attraverso costellazioni di simboli che generano un senso o significato mediante i quali risulta possibile catturare un referente, l'oggetto o il fatto denotato. Ma, a questo riguardo, non c'è fondamento reale e obiettivo sul quale la conoscenza possa incardinarsi, in quanto il fatto è un fatto solo attraverso la mediazione di una teoria, di un linguaggio: non sussiste alcun fatto se non sotto descrizione. Siamo noi, osserva Putnam, che ritagliamo il mobilio dell'universo. In The many faces of realism Putnam osserva che la varietà dei paradigmi di interpretazione e di categorizzazione della realtà da un lato, e la funzione indispensabile di convenzioni che disciplinino le tecniche grammaticali e l'applicazione di codici simbolici dall'altro mettono definitivamente in discussione l'assunto tradizionale che ravvisava il fondamento della conoscenza nell'esperienza percettiva e (sulle tracce dell'epistemologia cartesiana) nell'elaborazione concettuale personale del ricercatore. La verità degli enunciati, dichiara ora Putnam, è delegata a una comunità di ricercatori e di interlocutori. Il passaggio compiuto è quello da una soggettività privata e incorreggibile all'intersoggettività. Lungo una tradizione metafisica che risale a R. Descartes, si era formata la convinzione che tanto la conoscenza quanto la verità fossero insediate nei processi del singolo soggetto. "L'idea di un enunciato la cui garanzia completa e finale è completamente a disposizione dello stesso interlocutore non importa quello che accade - oppure di un interlocutore che non ha bisogno né può beneficiare dei dati degli altri - è precisamente la tradizionale nozione di conoscenza che è privata e incorreggibile. L'idea interessante è che Ch.S. Peirce e Wittgenstein hanno ragione, conoscenza privata e conoscenza incorreggibile sono idee vuote e fallaci; perciò non vi può essere alcunché come un enunciato che sia vero a meno che vi sia la possibilità di una comunità di sperimentatori o, a ogni buon conto, di critici" (Putnam 1987; trad. it. 1991, pp. 53-54). Putnam sposta e converte (come ha fatto R. Rorty) il fondamento dell'oggettività della conoscenza in una relazione di intersoggettività propria di una società umana. Questa comunità non è una costellazione sociologica rigida, bensì una struttura interpersonale e intersoggettiva dinamica, che ospita una varietà di schemi concettuali, di codici simbolici entro una cornice di coesione linguistica. Non è un insieme di interlocutori che esibiscono performances standardizzate, che esemplificano meramente regole; si tratta piuttosto di soggetti parlanti che applicano dinamicamente le regole dei propri codici. Putnam mette in discussione l'idea stessa di un fondamento teorico come il God's eye point of view, il punto di vista di Dio, come un punto archimedeo sul quale erigere l'edificio della conoscenza. "Ma l'idea che vi sia un punto archimedeo, o un uso del termine 'esistere' inerente al mondo stesso, a partire dal quale prenda senso la questione 'quanti oggetti effettivamente esistono?', è un'illusione" (p. 20). La questione se talune entità siano astratte oppure oggetti concreti è dichiarata da Putnam version-relative, dipendente dalla versione del mondo che adottiamo. La questione: "quali sono gli oggetti reali" non è una questione che abbia senso "indipendently of the choice of concepts" (p. 20). La flessibilità e la varietà delle versioni del mondo, come osserva Putnam sulle orme di Goodman, può rendere vere espressioni tra loro incompatibili in quanto impiegate in modo diverso seppure in riferimento a una medesima situazione. È questo crescente antifondazionalismo che ha portato Putnam da una forma di realismo metafisico alla convinzione, espressa in Words and life (1994), che occorre abbandonare l'idea di sistema filosofico, la pretesa stessa di avanzare tesi in filosofia per riconsegnarsi a un compito di analisi e di chiarificazione concettuale.
Una complessa strategia antifondazionalista che investe correnti tradizionali della filosofia classica come il trascendentalismo kantiano e al tempo stesso teorie passate e recenti nell'ambito del neopositivismo logico e della filosofia analitica - quali la distinzione tra giudizi analitici (veri in base al loro significato) e giudizi sintetici (veri in base al confronto con l'esperienza), la riduzione degli enunciati a dati osservativi - è rappresentata dall'opera influente di D. Davidson, centrata sulla nozione di interpretazione radicale. Indeterminatezza della traduzione e imperscrutabilità della referenza sono i titoli sotto cui quelle dicotomie erano state messe in discussione da Quine, ma esse non sono sufficienti a eliminare l'ultimo dogma dell'empirismo, quello relativo alla dicotomia schema concettuale-contenuto (flusso) empirico, che dalla matrice d'origine kantiana si è trasmesso al neopositivismo logico e poi all'epistemologia dei paradigmi di Th. Kuhn e P.K. Feyerabend fino alla dottrina degli schemi concettuali di accettabilità razionale di Putnam. Il dualismo schema-contenuto dovrebbe organizzare (organize) il flusso empirico, oppure conformarsi, adattarsi (fit) a esso. Ma in entrambi i casi il programma teorico non regge, in quanto nel primo caso (concernente predicati, termini singolari, variabili, quantificatori) manca un sistema di riferimento, e nel secondo (concernente non termini singolari, ma enunciati) si presuppone una dottrina della corrispondenza con l'esperienza sensoriale, la quale però non aggiungerebbe nulla di intelligibile al semplice concetto di essere vero. Fatti e dati sensoriali non costituiscono criteri del vero. Non più definita in termini di corrispondenza, la nozione di verità viene allora convertita in quella di traduzione, elaborata attraverso l'applicazione della convenzione di A. Tarski per un metalinguaggio. La verità non riflette e non rispecchia alcunché; è un termine semplice e indefinibile che media la relazione tra le espressioni di un linguaggio-oggetto e un meta-linguaggio corredato del calcolo dei predicati del primo ordine, del calcolo vero-funzionale, della gamma della quantificazione, di una batteria d'assiomi, di regole d'inferenza. Essa non è più un rapporto tra mente e realtà, linguaggio e mondo, ma tra enunciati. Ma il linguaggio stesso non ha un fondamento né logico, ossia una batteria di oggetti e regole logici, né ontologico, ossia un radicamento immanente alla realtà che lo trascende. Respingendo le idee correnti sulla padronanza del linguaggio, Davidson osserva che il linguaggio è suscettibile solo di teorie occasionali (passing theories) con cui gli interlocutori cercano di ottimizzare la comunicazione sulla base delle loro credenze e dei loro significati.
Il rifiuto del fondazionalismo ha trovato la sua manifestazione più radicale nelle opere del filosofo neopragmatista americano Rorty. Richiamandosi alla naturalizzazione dell'epistemologia di Quine, alla dottrina dei paradigmi di Kuhn, alla teoria dell'interpretazione radicale di Davidson, alla prassiologia linguistica del secondo Wittgenstein, alla critica del dato di Sellars, e confrontandosi anche con esponenti della filosofia europea quali M. Foucault, Derrida, J. Habermas e H.G. Gadamer, il filosofo americano respinge le dottrine semantiche ed epistemologiche basate sulla corrispondenza, le quali risultano costruite su metafore visive, oculari, così come ravvisa in Descartes uno scambio illegittimo tra evidenza psicologica - secondo l'assunto per cui "niente è più vicino alla mente della mente stessa" - e razionalità, e infine mette in discussione il trascendentalismo kantiano in quanto pretesa di stabilire un ordine a priori metafisico e apodittico, scambiando una spiegazione causale per la razionalità conoscitiva. Alla base dell'antifondazionalismo di Rorty opera una riduzione del ruolo della nozione di verità, la quale viene pragmatisticamente assunta, sulle orme di W. James e J. Dewey, come what is good in the way of belief, come ciò che è buono dal punto di vista della credenza. Non vi è fondamento oggettivo alla base degli enunciati, ma soltanto la loro funzionalità pragmatica.
Centrali risultano pertanto nelle sue opere la critica alla nozione di rappresentazionalismo e il suo rigetto della conoscenza in termini di rappresentazioni accurate. L'oggettività è convertita da Rorty dal piano ontologico e metafisico a quello storico-culturale delle comunità umane. Vero e falso sono predicati i quali esprimono una costellazione di valori che sono condivisi dalla comunità sociale. Entro la dinamica socioculturale da un lato opera 'l'epistemologia del giorno', ossia la scienza normale di Kuhn, un insieme di valori protetti e condivisi; dall'altro si affaccia 'the edifying discorse', il discorso edificante che introduce nuovi valori, nuovi vocabolari decisivi dal punto di vista di un approccio ermeneutico. Il punto centrale dell'antifondazionalismo di Rorty sta nel ritradurre la dicotomia fondato-infondato, realtà-apparenza, in una nuova costellazione di concetti quali passato-futuro, tradizione-speranza, nel senso che le strategie metafisiche fondazionali in realtà esprimono una concettualizzazione al servizio del passato, ma anche della conservazione della tradizione, laddove le metodologie antifondazionaliste esprimono la speranza del futuro, che in Rorty si colora di un'intensa tonalità di solidarietà sociale; e in questi termini, cancellando la tradizionale distinzione tra fatto e valore, il discorso sulla speranza di Rorty è pragmatisticamente diretto non verso una società vera, bensì verso una società buona e bella da vivere.
Sul sentiero tracciato da Rorty nonché da Sellars si sono sviluppate le tesi oramai influenti di R.B. Brandom (1994), al quale si deve l'elaborazione di una strategia sia semantica sia epistemologica antifondazionale basata sulla centralità del concetto e delle procedure di inferenza. Le nozioni di oggetto e di fatto non designano una realtà trascendente il pensiero e il linguaggio umani, ma vengono ricondotte a un nesso, a un intreccio di inferenze. Il concetto di rosso non riflette un dato empirico o un'entità ontologica, ma piuttosto una rete di inferenze che specificano tale concetto. Così, Brandom dichiara la priorità dell'inferenza sulla referenza. Laddove il fondazionalismo platonizzante tradizionale presuppone una presa sulla realtà sulla base della quale spiegare successivamente l'inferenza, Brandom, inaugurando il suo pragmatismo razionalistico, rovescia i termini della questione e muove dalla distinzione prioritaria tra inferenza valida e inferenza non valida per delineare una rappresentazione della realtà. L'inferenza valida implica i requisiti del commitment, ossia dell'impegno investito su un enunciato, e della responsabilità, vale a dire della capacità di addurre ragioni giustificative della normatività dell'enunciato stesso. Making it explicit è il titolo dell'opera principale di Brandom, ma è anche l'espressione della sua metodologia, ossia quella di analizzare e portare alla luce le ragioni e le condizioni giustificative della prassi linguistica.
Se Wittgenstein aveva rimproverato a Russell la teoria degli oggetti logici, osservando che essi alla gradevole proprietà di essere semplici unirebbero l'utile proprietà di essere composti, J. Conant, respingendo il fondazionalismo logico-metafisico sotto forma di misticismo, rimprovera ora all'interpretazione standard del Tractatus (1921) l'assunto relativo all'esistenza di strani oggetti che alla proprietà utile di essere indispensabili unirebbero la spiacevole difficoltà di essere ineffabili. Sulla linea di questa revisione critica, C. Diamond procede a decostruire ogni residuo fondazionalistico spacchettando i concetti, le macrocategorie quali vero, giusto, bello e simili in contesti discorsivi; in altri termini, le macrocategorie della tradizione filosofica non riflettono oggetti o datità, non rispecchiano identità essenziali, ma sono speech organizers, ossia organizzatori di discorso.
Un particolare aspetto della disputa tra f. e a. si è manifestato all'interno della filosofia del linguaggio di impronta schiettamente oxoniense, ossia nella lunga polemica contro il realismo condotta da M. Dummett. Benché proposte teoriche e strategie nella direzione del realismo ontologico ed epistemologico siano state elaborate dalla semantica dei mondi possibili di Kripke e altri, Dummett ha messo in discussione la tradizionale dottrina del realismo che, al di là delle sue versioni storiche, riassume nella espressione di teoria vero-condizionale (truth-conditional theory) delle proposizioni, secondo cui le proposizioni sono vere o false sulla base dei fatti e dello stato del mondo. La teoria vero-condizionale trova la sua tradizionale versione formale nella convenzione di Tarski, anche se la teoria tarskiana in quanto tale tale non implica né impegni ontologici né epistemologici. In questo senso, la teoria vero-condizionale è una epistemically unconstrained notion, una nozione epistemologicamente non vincolata. La verità, pertanto, risulta essere una condizione che trascende la verificazione. Per il filosofo antirealista invece, dice Dummett, la verità non trascende la verificazione, il controllo, ma piuttosto è epistemologicamente vincolata e risulta pertanto definibile non in termini di corrispondenza con il mondo esterno, ma in quelli di asseribilità garantita e giustificata. Il punto decisivo del dibattito, sul quale fa perno la disamina critica di Dummett, è costituito dal problema degli enunciati indecidibili, per i quali non sussistono prove o verifiche e che sono pertanto sprovvisti di un valore di verità secondo gli antirealisti, mentre secondo i realisti continuano a detenerlo anche in assenza di verifica. Gli indecidibili sfuggono, per gli antirealisti, ai valori di verità in quanto si sottraggono al principio di bivalenza o polarità (secondo il quale una proposizione è vera o falsa). Per i realisti i connettivi, i quantificatori e il principio del terzo escluso non hanno applicazione nella classe degli indecidibili. I realisti sospendono il principio di bivalenza o bipolarità in concomitanza con gli enunciati indecidibili. Ma sulla base della teoria vero-condizionale il filosofo realista non può spiegare la sua stessa comprensione di un enunciato indecidibile (acquisition argument) e non c'è tratto o elemento del suo comportamento che possa rivelare tale comprensione (manifestation argument). Come si può vedere, il problema metafisico e ontologico viene trasposto dai suoi termini tradizionali in quelli di un dibattito interno alla filosofia del linguaggio; il nucleo semantico del concetto di significato diventa il punto centrale di tale dibattito, segnando ancora una volta l'impatto della svolta linguistica. E, come è stato osservato, "Dummett apprezza il fatto di essere accusato di cambiare argomento" (Loux 2003).
Il Nuovo scetticismo, come lo definisce M. Williams (1991), è uno dei più importanti movimenti della filosofia contemporanea. Se la certezza è la condizione naturale della vita ordinaria, lo scetticismo è il risultato della riflessione filosofica. E in tal modo siamo consegnati a due modi di vedere il mondo che non sono suscettibili di essere riconciliati, come peraltro hanno osservato Th. Nagel, B. Stroud e P.F. Strawson.
Nel dibattito su realismo e scetticismo, tra strategie fondazionali e antifondazionali assume una particolare fisionomia per originalità l'opera di S. Cavell fino al suo Cities of words (2004). Sia pure ammettendo che il moderno scetticismo possa anche dare voce alla tesi secondo cui lo sviluppo scientifico e culturale ha messo in discussione l'autenticità di qualunque pretesa di stabilire un contatto della nostra soggettività con una realtà esterna, esso però commette l'errore di inferire dal fatto che il mondo non è oggetto di una conoscenza dimostrabile, che esso non sia reale. Il mondo non è qualcosa da conoscere, bensì da riconoscere e da accettare da parte di un essere umano concepito heideggerianamente come uomo nel mondo, soggetto dell'esserci (Dasein). Per questo aspetto affine a Rorty e a Williams, Cavell ritiene che lo scetticismo sia una faccenda solo filosofica generata dall'epistemologia fondazionalista a partire da Descartes. Non è casuale che lo scetticismo filosofico del 17° sec. e di W. Shakespeare sia contemporaneo allo sviluppo delle teorie scientifiche di F. Bacon, G. Galilei, Descartes e Th. Hobbes. Lo scetticismo è la smentita di quella ricerca della certezza secondo cui possiamo salvare la nostra vita conoscendola, ossia sostituendo la conoscenza alla presenza della realtà. Richiamandosi alla priorità della grammatica, Cavell rinuncia al fondazionalismo in nome di una filosofia che non avanza più tesi, che non è esposta alla verità o all'errore, che indaga il proprio essere, ossia il testo filosofico, che è la propria autointerrogazione, scoprendo contenuti di pensiero diversi o inesistenti e comunque differenti da quelli che il soggetto filosofico tradizionale riteneva di aver pensato.
Bibliografia
N.R. Hanson, Patterns of discovery, Cambridge 1958 (trad. it. Milano 1978)
W.V.O. Quine, Word and object, Cambridge (Mass.) 1960 (trad. it. Milano 1970).
W. Sellars, Science, perception and reality, New York 1963.
W.V.O. Quine, Ontological relativity, and other essays, New York 1969 (trad. it. Roma 1986).
N. Goodman, Problems and projects, Indianapolis 1972.
A.G. Gargani, Il sapere senza fondamenti, Torino 1975.
N. Goodman, Ways of worldmaking, Indianapolis 1978 (trad. it. Vedere e costruire il mondo, Roma-Bari 1988).
S. Cavell, The claim of reason. Wittgenstein, skepticism, morality and tragedy, Oxford 1979 (trad. it. Roma 2001).
H. Putnam, Reason, truth and history, Cambridge 1981 (trad. it. Milano 1985).
R. Gasché, The tain of the mirror: Derrida and the philosophy of reflection, Cambridge (Mass.)-London 1986.
H. Putnam, The many faces of realism, La Salle (IL) 1987 (trad. it. Le sfide del realismo, Milano 1991).
H. Putnam, Representation and reality, Cambridge (Mass.) 1988 (trad. it. Milano 1993).
R. Rorty, Objectivity, relativism, and truth. Philosophical papers, 1° vol., Cambridge 1991 (trad. it. Roma-Bari 1994).
M. Williams, Unnatural doubts. Epistemological realism and the basis of skepticism, Oxford 1991.
R.B. Brandom, Making it explicit, Cambridge (Mass.) 1994; J. McDowell, Mind and world, Cambridge (Mass.) 1994 (trad. it. Torino 1999).
H. Putnam, Words and life, Cambridge (Mass.) 1994.
R. Rorty, Truth and progress: Philosophical papers, 3° vol., Cambridge 1998 (trad. it. Milano 2003).
P. Parrini, Sapere e interpretare. Per una filosofia e un'oggettività senza fondamenti, Milano 2002.
Philosophical skepticism, ed. Ch. Landesman, R. Meeks, Oxford 2002.
M.J. Loux, Realism and anti-realism, in Realism and anti-realism, ed. M.J. Loux, D.W. Zimmerman, Oxford 2003.
S. Cavell, Cities of words: pedagogical letters on a register of the moral life, Cambridge (Mass.) 2004.
M. Dummett, Truth and the past, New York 2004.