ONORIO, Flavio
Imperatore romano d'Occidente, secondogenito di Teodosio e Elia Flaccilla, nato a Costantinopoli il 9 settembre 384, proclamato nobilissimus puer ed elevato al consolato in età di due anni e nel 393 proclamato augusto e associato nell'impero, con il primogenito Arcadio, dal padre, che alla sua morte (17 gennaio 395) lo lasciava, undicenne, erede dell'Impero d'Occidente, governato da Stilicone (v.), magister utriusque militiae. E il primo periodo del tormentatissimo, storicamente tragico regno di O. è dominato infatti per intero dalla figura del grande generale barbaro cui rimase affidata la difesa dell'impero. Sono dapprima i contrasti con l'Oriente a proposito dell'Illirico, che Stilicone cercava di sottrarre al dominio di Arcadio: contrasti complicati e aggravati dall'invasione dei Visigoti di Alarico (v.) in Grecia: una prima campagna interrotta allorché Arcadio impose al generale dell'Occidente di congedare truppe orientali che aveva seco e ritirarsi in Italia; una seconda incominciata vittoriosamente in Arcadia, ma terminata pur essa bruscamente per la soppravvenuta necessità di reprimere la rivolta di Gildone in quell'Africa, dalla quale dipendeva il vettovagliamento dell'Italia e il cui possesso, fin dall'inizio del secolo IV, era considerato come essenziale al mantenimento delle provincie occidentali. Poi, mentre il dissidio con l'Oriente continua, manifesto nel negato riconoscimento in Occidente del consolato di Eutropio (399), come poi di Aureliano (400) e di Antemio (405), Stilicone - già imparentato con la famiglia imperiale per il proprio matrimonio con Serena, nipote di Teodosio - dà in sposa al giovinetto imperatore la propria figlia maggiore, Maria (398). Seguono le campagne contro Vandali e Alani, e la prima invasione in Italia di Alarico, sconfitto a Pollenza (402) e accordatosi con Stilicone in un progetto di conquista dell'Illirico. Ma nel 404 O. poteva celebrare in Roma il suo sesto consolato e il trionfo, durante il quale il monaco Telemaco, predicando contro le lotte dei gladiatori, ottenne che fossero vietate dal pio imperatnre. Questi già nel 399 aveva ribadito la proibizione dei sacrifici e permesso almeno di fatto la distruzinne dei templi pagani, contentandosi di esigere che fossero rispettate le statue, anche di dei, poste a ornamento di edifici pubblici; in quello stesso anno scriveva ad Arcadio in favore di S. Giovanni Crisostomo; e dava il rescritto, confermato da una costituzione del 12 febbraio 405, il quale permetteva di applicare agli scismatici donatisti dell'Africa le severe sanzioni contro gli eretici. Ma, pur vinto e ucciso Radagaiso (405), Stilicone non riusciva a impedire che Alani e Vandali penetrassero nclla Gallia, mentre pareva sicura la conquista dell'Illirico. Ma dalla Gallia giungeva notizia della proclamazione d'un nuovo imperatore, Costantino III, e di nuove rivolte, mentre l'usurpatore tentava d'impadronirsi della Spagna, ove attraverso i mal guardati passi dei Pirenei i barbari riuscivano a penetrare. E Stilicone, fatta spnsare a O., in luogo della morta Maria, la secondogenita Termanzia, doveva indurre il senato romano, che in questi anni vediamo di nuovo interpellato nelle questioni di grande importanza, a cedere, pur riluttante, alle nuove richieste di Alarico, irritato dal non essere stati mantenuti i patti; e si opponeva ai progetti di O., desideroso di recarsi in persona a Costantinopoli, per regolarvi, morto Arcadio (1 maggio 408), la successione del nipote Teodosio II, ancora hambino. Sono questi i primi semi del disaccordo tra il capo dell'esercito, e di fatto del governo, e l'imperatore ormai adulto, influenzato da cortigiani che mal tollerano il predominio del barbaro, e forse anche spinto da un certo desiderio di fare da sé. Tragico esito di tale discordia, il massacro dei partigiani di Stilicone da parte dell'esercito, sotto gli occhi dell'imperatore, a Pavia, e l'uccisione del generale stesso, a Ravenna. Con la persecuzione di tutte le creature di Stilicone, l'uccisione del figlio di lui Eucherio, il ripudio di Termanzia e il predominio esercitato sulla corte dal magister officiorum, Olimpio, termina il primo periodo e comincia il secondo.
Il quale ancora più grave e tempestoso del primo. Allontanato una prima volta da Roma col pagamento di una grossa somma, Alarico s'era irritato per il rifiuto opposto a nuove proposte c richieste dall'imperatore, che aveva preferito accondiscendere a riconoscere come collega Costantino IIl, sperandone aiuto, e aveva frattanto licenziato Olimpio. Non osando contrapporsi direttamente all'Augusto, Alarico fece proclamare un antimperatore, il praefectus urbi Attalo; ma, fallita e la spedizione contro Ravenna e quella inviata in Africa, Alarico lo depose, per iniziare nuove trattative, e poi attaccato da uno dei generali barbari al servizio dell'impero, Saro, muovere contro Roma, e prenderla il 24 agosto 410, e saccheggiarla. Memorabile avvenimento, che diede a tutto il mondo civile la sensazione della catastrofe sopravvenuta, e turbò profondamente anche gli spiriti di quei cristiani, dai superstiti adoratori dei vecchi dei rimproverati di aver provocato con l'abbandono della religione avita tutti i mali che affliggevano la romanità. Ma non meno oscillante, in questi tragici anni, fu la politica religiosa: all'aumento di favore per la giurisdizione vescovile e di severità contro gli eretici, che nel 408 accompagnò l'ascensione di Olimpio, succedette, all'inizio del 410, un provvedimento contrario, per cui nessuno poteva essere costretto ad abbracciare il cristianesimo e tanto meno l'ortodossia cattolica. Ma poco dopo i donatisti erano di nuovo privati del diritto di riunione e nell'ottobre dello stesso anno O. ordinava al tribuno Marcellino d'indire per l'anno seguente una conferenza tra vescovi cattolici e donatisti. Questa ebbe luogo nel giugno 411, seguita il 30 gennaio da una nuova legge che puniva i dissidenti con multe, confisca dei beni ed esilio. Intanto, in Spagna, Geronzio, un generale di Costantino III, aveva fatto proclamare un nuovo imperatore, Massimo, che già invadeva la Gallia.
Ma proprio il 411 si può considera l'anno con cui comincia un'apparente riscossa parziale, principio, in realtà, d'un più grave processo di dissoluzione. O. ha trovato un nuovo generale abile ed energico, romano o romanizzato, Costanzo. Questi riesce a vincere i due usurpatori di Gallia e Spagna; gli resta da combattere solo un terzo, Giovino, da poco eletto da Franchi, Alamanni e Burgundî; allorché s'affaccia ai passi delle Alpi Ataulfo, con i Visigoti di Alarico, reduci dal fallito tentativo di passare in Africa e privi del loro grande re. Ataulfo preferisce accordarsi con O., anziché con Giovino, che sconfigge. Ma la ribellione del conte d'Africa, Eracliano, pure sconfitto a Otricoli in Umbria, impedisce d'inviare ad Ataulfo il grano pattuito, di cui il suo popolo ha bisogno. Sicché Ataulfo ricorre alla forza, prende Narbona, Tolosa, Bordeaux, mentre Marsiglia resiste; e desideroso, come altri barbari prima e dopo di lui di "restaurare con la forza dei Goti il nome romano", fa rivestire per un momento ad Attalo la porpora, celebrando con gran pompa, nel gennaio 414, le proprie nozze con la sorella di O., Galla Placida, l'ostaggio prezioso che Alarico aveva saputo assicurarsi. Ma Costanzo, riprese le armi, riesce, soprattutto bloccando i porti, a costringere Ataulfo a ritirarsi in Spagna, dove a Barcellona ha da Placidia un figlio, Teodosio, ch'egli auspica futuro imperatorc, essendo O. senza eredi diretti. Ma il sogno svanisce, con la morte del figlio e del padre, mentre Costanzo resiste e riesce a concludere patti con il nuovo re, Wallia, cui è pure fallito il tentativo di passare in Africa. Sicché, per 600.000 misure di grano, questi diventa l'alleato dell'impero e inizia la riconquista della Spagna.
Costanzo, divenuto console e marito di Galla Placidia nel 417, può cominciare così l'attuazione di una nuova politica: Wallia riceve il suo compenso, non nella Spagna, rispettata forse come culla della dinastia teodosiana, forse per le sue miniere, e forse più per le stesse ragioni che fanno attribuire ai Visigoti, sotto il loro re, le fertili terre dell'Aquitania seconda, con Tolosa e altre città ma senza sbocco sul Mediterraneo. Comunque, è lo stabilimento di un popolo barbaro nell'interno dell'impero, e con abbastanza larga autonomia, forse preceduto da quello dei Burgundî nel 413. È sì, un atto che continua una ormai vecchia tradizione politica: ma i barbari ora non sono più collocati sui confini, con i caratteri d'uno stanziamento militare a difesa di questi. E la novità appare più evidente quando la si metta in rapporto con l'altra innovazione, del 418, pcr cui i rappresentanti delle città della Gallia devono riunirsi ogni anno in Arles. È l'inizio di una politica di decentramento, che allora potè forse sembrare saggia, e forse soltanto un meno peggio o una dolorosa necessità; che, alla luce della storia, significa l'inizio della nuova era, dei regni cosiddetti romano-barbarici.
Ma tanto era ormai l'ascendente di Costanzo e della moglie che O., l'8 febbraio 421, li proclamava ormai Augusto e Augusta, e a Valentiniano loro figlio dava il titolo di nobilissimus puer. Ottenuta forse per l'influenza esercitata su O. dalla sorella, questa proclamazione suscita le apprensioni di Teodosio II; un nuovo contrasto, anche più grave, tra le due parti dell'impero è impedito dalla morte, dopo pochi mesi, di Costanzo stesso, il 9 settembre. Galla Placidia conserva il suo ascendente su O., sì che corrono anche dicerie scandalose. Ma poco dopo, tra l'augusta e il fratello scoppiano gravi contrasti,forse per risorti sospetti dell'imperatore, se è vero che la ragione del contrasto sia nella successione a Costanzo come magister militiae. Sul conte Bonifacio, forse candidato dell'augusta, ebbe comunque il sopravvento Castino, cui fu affidato il comando della spedizione in Spagna, ove i Vandali s'erano rifatti minacciosi; ma il comandante romano, tradito anche dai Visigoti ch'erano con lui, riportò una grave sconfitta. Più aperto che mai scoppiò il dissidio a Ravenna; e Galla Placidia dovette, con i figli avuti da Costanzo, Onoria e Valentiniano, fuggire in Oriente, soccorsa appunto da Bonifacio. Ma il 15 agosto di quello stesso anno (423), Onorio moriva in Ravenna: debole e irresoluto imperatore, benché animato da buone intenzioni e autore di leggi non cattive, che contribuirono a facilitare il risollevamento economico dell'Italia e la rinascita di Roma dopo il sacco di Alarico; sovrano troppo inferiore al padre in tempi anche più difficili, eppure continuatore della politica di lui.
Bibl.: O. Seek, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, V, Berlino 1913; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VIII, Stoccarda 1913, col. 2277 segg.; G. Mancini, in De Ruggiero, Dizion. epigr. di ant. rom., III, Roma 1919, fasc. 30 e 31; J. B. Bury, A history of the Later Roman Empire, 2ª ed., Londra 1923; E. Stein, Geschichte des spätrömisch. Reiches, I, Vienna 1928.