FIONDA, Fromba, Frombola (ebr. qela‛; gr. σϕενδονή; lat. funda; fr. fronde; sp. honda; ted. Schleuder; ing. sling)
Arma da tiro, di corda, crini, strisce di cuoio, minugia, giunco di Spagna (spartea), e di varie lunghezze secondo la varietà dell'uso, cioè da mano o da macchine nevrobalistiche, per scagliare proiettili di pietra, di terra cotta o di metallo. Qualunque ne sia la materia, la fionda a mano si compone, nella sua forma più comune, di due bracci di corda comunque fatta con nel mezzo una rete o un pezzo di cuoio concavo a foggia di navicella, o borsetta, in cui si pone il proiettile; uno dei bracci ha un cappio all'estremità, tenuto dal dito indice del fiondatore; l'altro braccio è un poco più lungo del precedente e va stretto fra il pollice e l'indice. Il tiratore deve tenere con la mano destra i due capi della fionda e con la sinistra porre il proiettile nella parte centrale; si mira sollevando la fionda orizzontalmente all'altezza dell'occhio, la si fa roteare da una a tre volte sopra la testa e, lasciando uno dei due capi (il più lungo), si libera il proiettile che viene scagliato a grande distanza. Questo il tipo più comune di fionda: naturalmente presso i varî popoli e durante i varî tempi se ne sono adoperati tipi diversi ma tutti fondati sul principio di utilizzare per il lancio la forza centrifuga impressa a un proiettile da un movimento rotatorio e con direzione data dalla tangente al circolo di rotazione.
La fionda fu di uso antichissimo: ne abbiamo ricordo tra gli Ebrei e fin dalle prime età della civiltà cretese. Tra i Greci furono celebri frombolieri gli Acarnani, più tardi anche i guerrieri di Egio, di Patre, di Dine, di Milo e di Rodi. La fionda greca consisteva di tre strisce di cuoio ben unite fra loro per molte e fitte cuciture, ed era maneggiata con sicurezza tale da superare perfino quella dei frombolieri balearici rinomatissimi nell'antichità. Per i frombolieri nell'antichità classica, v. frombolieri.
I proiettili potevano essere sassi o pietre (lapides missiles) pesanti fino a 500 gr., ma frequentemente erano anche di piombo fuso a forme svariate (μολυβδίς, μολύβδαιυα, glans) pesanti da 30 a 100 gr. l'uno (in genere 40-50). Si lanciavano anche uova di terracotta alle volte infocate. Con i proiettili di piombo la gittata poteva superare i 150 metri e il tiro poteva avere una precisione notevole. Le ghiande di piombo portavano sovente segni o iscrizioni col nome del generale, o del corpo, o oltraggi al nemico.
La fionda fu molto usata dai popoli europei del Nord. Nel Medioevo anche i Franchi ebbero corpi di frombolieri, ma, evidentemente, di mano in mano che si rafforzavano le armature dei guerrieri, si diminuì l'opportunità d'impiego della fionda semplice, che lasciò luogo al fustibalo col quale si poterono poi lanciare piccole bombe. E ancora, la fionda di grandi proporzioni fu applicata a macchine a contrappeso, dette trabucchi, e con esse potevano essere lanciati numerosi sassi contemporaneamente, barili di fuoco e simili proiettili di notevole importanza tattica, in specie nell'assedio o nella difesa dei castelli e delle città.
La fionda è largamente usata, anche oggi, dai popoli meno civili: gl'indigeni delle isole Sandwich e della Patagonia sono noti per la particolare abilità nell'uso di quest'arma.
Gli Esquimesi si servono di pietre assicurate all'estremità con funicelle o tendini che essi lanciano (funicella compresa) con molta destrezza. Non è raro il caso di vedere usata la fionda, e con grande abilità, da pastori e montanari di varie regioni europee.
Con lo stesso nome di fionda, per quanto basato su principio totalmente diverso, è noto uno strumento usato per giuoco dai ragazzi e che sfrutta, per il lancio di piccoli proiettili, la forza di propulsione di due elastici fissati da un lato alle estremità di un pezzo di legno o di filo di ferro foggiato a guisa di forca, e dall'altro a un piccolo pezzo di cuoio che li unisce e in cui si pone il proiettile da lanciare. V. anche armi (IV, p. 462).
Bibl.: G. Fougères, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités gr. et rom., II, p. 1363; F. Lammert, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., 2ª serie, III, col. 1695; art. Schleuder, in M. Ebert, Lexicon d. Vergeschichte, XI, p. 283; C. Zangemeister, Glandes plumbeae latine inscriptae, in Ephemeris epigraphica, VI, 1885; W. Liebenam, in Pauly-Wissowa, VII, coll. 294 e 1377.