finanza islamica
finanza islàmica. – L’attività bancaria islamica ha inizio nei primi anni Sessanta del 20° sec. grazie ad alcune iniziative individuali. La successiva crescita del sistema bancario islamico negli anni Settanta, in seguito al boom petrolifero, è stata invece favorita e appoggiata dagli stati islamici, soprattutto quelli del Golfo, attraverso modifiche alla propria legislazione bancaria o l’emanazione di leggi ad hoc. Nel 1975 nasce a Gedda la Banca islamica per lo sviluppo (IDB, Islamic development bank). Oggi esistono oltre novanta banche e istituti finanziari islamici (spesso si tratta di holding) presenti in molti paesi che operano in concorrenza con le banche convenzionali; in Pakistan, Iran e Sudan l’intero settore bancario è stato completamente islamizzato, mentre molti istituti bancari convenzionali e paesi non musulmani sperimentano tecniche finanziarie islamiche. La banca islamica, come qualsiasi altra banca, ha come obiettivo la mobilizzazione del risparmio a favore degli investimenti. Gli economisti islamici hanno dimostrato che esistono modalità e strumenti alternativi al tasso d’interesse (sia passivo sia attivo), vietato dalla legge religiosa islamica, con cui svolgere tali funzioni. Dal punto di vista della gestione del capitale attivo, la banca islamica per concedere crediti ai clienti utilizza un certo numero di prodotti finanziari che non prevedono la corresponsione di interessi. Il capitale investito assume la forma di compartecipazione ai profitti e alle perdite (PLS, Profit and loss sharing) derivanti da attività imprenditoriali o finanziarie, tramite contratti societari. I principali contratti sono la mudâraba (muḍāraba), partnership passiva, e la mushâraka (mushāraka), partnership attiva. Il credito alle imprese su base partecipativa costituisce una sostanziale alternativa al mutuo a interesse. Nel sistema islamico, il debito dell’imprenditore verso la banca è costituito da una somma variabile a seconda dei risultati dell’impresa. Pertanto, l’imprenditore sarebbe maggiormente motivato a portare a compimento positivamente il progetto, poiché dal profitto finale dipendono i benefici finanziari che egli trae dall’operazione. È, inoltre, fondamentale la capacità del cliente di convincere la banca della validità del progetto per cui chiede il finanziamento. Dunque centrale non è – come nei sistemi convenzionali – la posizione finanziaria del cliente e la sua capacità di tener fede al credito, ma la fattibilità e remuneratività del progetto che egli sottopone alla banca. Gli economisti islamici insistono sull’importanza socioeconomica dei metodi basati sulla compartecipazione ai profitti e alle perdite, tuttavia il loro utilizzo da parte delle banche islamiche rimane ancora piuttosto limitato a causa dei rischi connessi e dei costi di gestione dei progetti. Più consistente è la quota dei metodi non partecipativi. A tal fine, le banche islamiche si avvalgono di alcune tipologie di contratti di vendita come forme di finanziamento, in partic. del bay‘ mu’ajjal (bay‘ mu’aǧǧal), vendita rateale, e del bay‘ al-murâbaha (bay‘ al- murābaḥa), vendita a premio fisso o mark-up. Il cliente ordina a un istituto di credito islamico l’acquisto per suo conto di un certo bene, con la promessa di riacquistare dalla banca tale bene a un prezzo maggiorato che comprende un margine di profitto stabilito (ricarico) per la banca. Altre forme di contratti non partecipativi sono il leasing ijâra (iǧāra), sia operativo sia finanziario, l'Istisnâ' (istiṣnā'), contratto di fabbricazione, e il salam, contratto di vendita in cui il pagamento viene anticipato rispetto alla consegna del bene o servizio che avviene a una data futura e determinata. La f. i. ha elaborato soluzioni innovative per inserirsi in un contesto originariamente creato per la finanza convenzionale proponendo a volte contratti alternativi al ricorso all’interesse come forma di remunerazione del capitale, a volte creando una controparte islamica per strumenti della finanza convenzionale, mostrando così la sua capacità di innovazione e ibridazione insieme. Rappresentativi di questa tendenza sono i sukuk (şukūk), i bond o obbligazioni islamiche, gli ultimi nati della finanza islamica. Il termine arabo è il plurale di saqq (şakk), nota di pagamento, strumento già in uso nel medioevo islamico per evitare il trasferimento di contanti nel commercio internazionale. Fondi sukuk in moneta locale sono stati emessi, per la prima volta, in Malesia alla metà degli anni Novanta; nel 2001, nel Bahreyn sono apparsi i primi sukuk (sukuk al-ijāra) in dollari con un’emissione di 100 milioni a cinque anni. Da allora, moltissimi paesi, soprattutto del Golfo e del sud-est asiatico (Malesia, Pakistan, Brunei) hanno emesso sukuk; il loro esempio è stato seguito anche da istituti (come la Banca mondiale) e da stati occidentali: nel 2004 il Land tedesco dell’Alta Sassonia ha emesso sukuk al-ijāra (şukūk al-iğāra), quotati nella borsa del Lussemburgo) per 100 milioni di euro, per la durata di cinque anni. I fondi sono serviti per una riqualificazione di immobili di proprietà del Ministero delle finanze. I sukuk non sono del tutto assimilabili ai titoli obbligazionari; a differenza di questi ultimi devono incorporare una porzione di diritto su un bene materiale sottostante (underlying asset) che ne garantisce la stabilità. La valutazione del tasso di compatibilità dei sukuk con la legge religiosa islamica passa attraverso un’accurata analisi delle transazioni che incorporano, in base alla quale viene definita la loro negoziabilità sul mercato secondario o la limitazione al mercato primario. Il controllo è affidato all’AAOIFI (Accounting and auditing organisation for islamic financial institution) che, fino a questo momento, ha autorizzato 14 tipologie di sukuk; di recente l’AAOIFI ha emanato un documento che definisce i requisiti dei sukuk (Sharī‘a standars concerning sukuk). L’emissione dei sukuk è un’operazione di cartolarizzazione. Viene creato un veicolo (SPV, Special purpose vehicle), con una propria soggettività giuridica, che riceve dal soggetto che ha bisogno del finanziamento (originator), il bene (asset) su cui emetterà i sukuk che verranno sottoscritti dagli investitori. Nella struttura più semplice, e più utilizzata di sukuk, l’originator vende alla SPV un bene che riceverà indietro in leasing (ijâra), pagando un canone, legato all’andamento del bene, che rappresenta la remunerazione degli investitori. L’originator avrà la gestione del bene e userà i fondi raccolti per finanziare progetti (soprattutto progetti infrastrutturali o di riqualificazione di aree urbane) conformi alla legge religiosa islamica.