FARSETTI, Filippo Vincenzo
Nacque a Venezia il 13 genn. 1703 da Anton G. Francesco e da Marina Foscari. L'agiatezza della famiglia, aggregata al patriziato veneziano nel 1664, gli consentì una giovinezza serena, dedita agli studi e del tutto aliena da qualsiasi impegno politico, anche grazie alla scelta di prendere gli ordini minori, che comportava l'obbligo di portare l'abito ecclesiastico e il titolo di abate. Viaggiò molto a Roma, Napoli, Firenze, Parigi, dove visse a lungo, divenendo amico di letterati, artisti, bibliofili; la sua vita, per citare le parole entusiaste di Girolamo Dandolo, si può compendiare in poche parole: "Ricchissimo, profuse gran parte del suo più che privato patrimonio nel favorire ed animare le arti e gli artisti, e nel promuovere gli studi di botanica" (La caduta, p. 116). Allievo di padre C. Lodoli, divenne ben presto un apprezzato collezionista ed il suo appassionato mecenatismo contribuì in modo decisivo alla fortuna del movimento neoclassico a Venezia. Celeberrima è la sua collezione di 253 calchi di gesso (statue, busti, teste, bassorilievi) eseguiti in gran parte dallo scultore bolognese Ventura Furlani: dapprima a Roma, dove lo favorì il cugino Carlo Rezzonico, dal 1758 papa Clemente XIII, poi a Napoli, a Firenze, in Spagna, Francia, Inghilterra, mise insieme una splendida raccolta di modelli della più celebre statuaria classica e moderna. Fece copiare a olio da Luigi Pozzi le pitture di Raffaello in Vaticano e i quadri di Annibale Carracci nella galleria Farnese, fece eseguire in sughero e pomice da Antonio Chichi gli archi di Costantino, di Tito, di Settimio Severo, il tempio della Sibilla a Tivoli, quello di Cecilio Metello a Capo di Bove, acquistò terrecotte, bronzi, marmi antichi, 125 quadri di paesaggisti fiamminghi (tra cui Rembrandt, Rubens, Van Dyck), famosi maestri del '500 e '600 (Tiziano, Correggio, Rosa, Guercino, Tintoretto, Andrea del Sarto, Magnasco, Pietro da Cortona, Padovanino, Giorgione, Giordano, Palma il Giovane) e pochi scelti contemporanei (Carlevariis, Ricci, Zuccarelli). Questa immensa collezione costituì nel suo palazzo veneziano un vero e proprio museo, aperto al pubblico e meta delle visite ammirate di cittadini, artisti, critici, turisti stranieri, tra i quali Goethe.
Ne tracciò le lodi in un opuscolo l'erudito Natale Dalle Laste (De Musaeo Philippi Farsetti patricii Veneti epistola ad clarissimam Cortonensium Acadaemiam, Venetiis 1764, ristampato nel 1765 da A. Calogerà nel tomo XIII della Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, nel 1766 a Norimberga nel Thesaurus dissertationum e ancora nel 1767 a Padova). Egli stesso ne curò un catalogo (Museo della casa eccellentissima Farsetti a Venezia, s. n. t.), affinché i giovani di Venezia che volevano studiare l'architettura, la pittura e la scultura potessero conoscere de visu questi capolavori, collocati più per loro beneficio che per ornamento della casa. In effetti gli studenti avevano libero accesso alle sue collezioni e ricevevano da lui premi e incoraggiamenti, tanto che il suo palazzo divenne "il principale centro di raccolta per tutti coloro che stavano facendo proprie le teorie dell'Algarotti e di altri sulla necessità di seguire i modelli classici" (Haskell, Mecenati e pittori, p. 551). Tra gli allievi del suo museo vi fu Antonio Canova, che per il F. eseguì le sue prinie opere, due cesti di frutta e di fiori, collocate sullo scalone del palazzo (1772). Antonio Diedo, segretario perpetuo dell'Accademia di Venezia, fondata nel 1766, riconobbe allo studio dei gessi Farsetti il merito maggiore nel "risorgimento delle arti" a Venezia.
Grande eco nei contemporanei suscitò anche la straordinaria villa di campagna di Santa Maria di Sala; in un primo momento egli aveva pensato di costruire una villa romana a Padova ma, fallito l'accordo con i vicini per l'acquisto di alcuni campi, decise di trasformare completamente un fabbricato già acquistato nel 1710 dallo zio Anton Francesco. Sulla base di un progetto steso a Roma da Paolo Posi, architetto dei Palazzi apostolici, eresse un complesso monumentale completamente diverso dai modelli classici veneziani, "sotto certi aspetti avvicinandosi molto di più al tipo austriaco" (ibid., p. 550), un progetto di residenza ideale che realizzava "le aspirazioni e la poetica del rococò, seppure il suo pensiero lo porti ad una interpretazione tutta personale dello stile, che, per certi aspetti, precorre il momento neoclassico" (Vio, La villa Farsetti, p. 19).
La villa, adomata di 42 colonne marmoree, asportate, col consenso del papa, dal tempio della Dea Concordia a Roma, comprendeva anche una ricostruzione del Campidoglio, del tempio di Diana e di Giove Capitolino, un giardino arricchito di statue, grandi vasi, acque correnti, un laghetto: "tra le false rovine di celebri fabbriche antiche, che dovevano presentare una visione illuministica e preromantica dell'antichità analoga a quella delle contemporanee vedute del Piranesi, era prevista, pare, la sistemazione del museo statuario del Farsetti" (Azzi Visentini, L'orto botanico, pp. 239 s.). Perla della villa, dotata di 44 posti letto e ben 15 tavoli da gioco, fu l'orto botanico, realizzato sotto la guida del francese Louis Clérisson, in cui il F. trasfuse l'appassionata competenza nella botanica, coltivata sin dagli anni giovanili; in corrispondenza con studiosi italiani e stranieri (il medico e botanico vicentino Antonio Turra denominò Farsetia una pianta da lui scoperta), adornò il giardino di moltissime piante esotiche talvolta cosi rare che persino i prefetti dell'orto botanico di Padova ricorrevano alla sua collaborazione: si deve a lui l'introduzione in Italia della magnolia (delle piante dell'orto esistono vari cataloghi, alcuni curati da lui stesso, altri, nel 1793 e 1796, dal nipote Anton Francesco).
La sua vocazione di mecenate si esplicò anche nell'aiuto disinteressato a molti letterati ed artisti: oltre che favorire -come si è detto - i primi passi della carriera di Antonio Canova, corrispose per alcuni anni una rendita a Francesco Algarotti e finanziò il celebre viaggio in Dalmazia di Alberto Fortis. La sua vecchiaia fu amara: il tenore di vita dispendioso e le spese eccessive per l'edificazione della villa di Santa Maria di Sala (qualcuno azzarda la cifra di 1.000.000 di ducati) minarono le sue finanze e lo costrinsero a vendere beni immobili e titoli di Stato.
Colto da apoplessia divenne imbecille e smemorato, facile preda di profittatori. Morì a Venezia il 22 sett. 1774.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Provveditori ai Beni inculti, investiture, b. 34, c. 449; Ibid., Sezione notarile, Marco Maria Uccelli, b. 1035, n. 134; Ibid., Ludovico Gabrielli, Atti, b. 7567, c. 788v; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. C 1929: Raccolta di memorie delle pubbliche accademie di agricoltura, arti e commercio dello Stato veneto, XV, p. 196; ibid. 1597; ibid. 597 C/I; ibid. 691 C/V; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., Cl. VII, 2468 (10544): F. S. Fapanni, Elenco dei musei, delle pinacoteche e delle varie collezioni pubbliche e private che un tempo esistettero e che esistono oggidì in Venezia e nella sua provincia, II, pp. 59-60; A. Turra, Farsetia novum genus. Accedunt animadversiones quaedam botanicae, Venezia 1765; A.-M. Zanetti (il giovane), Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri libri V, Venezia 1771, p. 487; G. T. Farsetti, Notizie della famiglia Farsetti con l'albero e le vite di sei uomini illustri a quella spettanti, Cosmopoli [Venezia 1778]; G. B. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture ed architetture di Padova, Padova 1780, pp. 63 s., 68, 70 s.; A. Memmo, Elementi dell'architettura lodoliana, Roma 1786, p. 60; J. J. Winckelmann, Lettres familières, Yverdon 1789, pp. 222 ss.; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a' nostri giorni, II, Venezia 1806, pp. 91 s.; Id., Guida per la città di Venezia, Venezia 1815, p. XXIII; R. Boscovich, Lettere pubblicate per le nozze Olivieri-Balbi, a cura di A. Meneghelli, Venezia 1811, pp. 33 s.; Biografia universale antica e moderna, XIX, Venezia 1824, pp. 439 s.; G. B. Roberti, Prose e versi di scrittori bassanesi dei secc. XVIII e XIX, Bassano 1828, p. 33; P. A. Paravia, Delle lodi dell'ab. F. F. patrizio veneziano, in Discorsi letti nell'I. R. Acc. di belle arti in Venezia per la distribuzione de'premi dell'anno 1829, Venezia 1829, pp. 24-60; Id., F. F., in Biografia degli italiani illustri..., a cura di E. De Tipaldo, IV, Venezia 1837, pp. 62 ss.; E. De Tipaldo, Descrizione della deliziosa villa di Sala, Venezia 1833; A. Diedo, Elogio di Teodoro Matteini, in Atti dell'I. R. Acc. di belle arti in Venezia, Venezia (1841-42), p. 18; E. A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 152, 366, 421, 588, 753; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquantanni. Studi storici, Venezia 1855, pp. 116-118; G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, p. 395; G. Sforza, Il testamento d'un bibliofilo e la famiglia Farsetti di Venezia, in Memorie della R. Acc. d. scienze di Torino, s. 2, LXI (1910-11), pp. 162-166, 194 s.; R. Bratti, A. Canova nella sua vita artistica e privata, in Nuovo Archivio veneto, s. 3, XVII (1917), pp. 382-385; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 23, 560; J. W. Goethe, Viaggio in Italia (trad. it. di E. Zaniboni), Firenze 1948, pp. 98 s.; G. Mazzotti, Le ville venete, Treviso 1954, p. 133; F. Haskell-M. Levey, Art exhibitions in 18th century Venice, in Arte veneta, XII (1958), p. 185; A. Canova, Iquaderni di viaggio (1779-1780), a cura di E. Bassi, Venezia 1959, pp. 18, 31; Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo - G. Torcellan - F. Venturi, Milano-Napoli 1965, pp. 248, 283, 292; F. Haskell, Mecenati e pittori. Studio sui rapporti tra arte e società italiana nell'età barocca, Firenze 1966, pp. 491, 549-552, 565; E. Vio, La villa Farsetti a Sala, Padova 1957 (con ulteriore bibliografia specifica alle pp. 47-50); J. J. Winckelmann, Storia dell'arte nell'antichità, Torino 1969, p. 487; Studi canoviani. Quaderni sul neoclassico, Roma 1973, I, pp. 233-237; Venezia nell'età del Canova, 1780-1830 (catal.), Venezia 1978, pp. 16 s.; J. Georgelin, Venise au siècle des lumières, Paris-La Haye 1978, p. 491; S. Soliman, La villa Farsetti a Santa Maria di Sala: verifiche e ipotesi, tesi di laurea, Univ. di Padova, istituto di storia dell'arte med. e moderna, a. a. 1979-80; M. Azzi Visentini, L'orto botanico di Padova e il giardino del Rinascimento, Milano 1984, pp. 133, 237, 239 s.; P. Mometto, La vita in villa, in Storia della cultura veneta, V, Il Settecento, 1, Vicenza 1985, pp. 608, 611, 620, 626; K. Pomian, Collezionisti d'arte e di curiosità naturali, ibid., 2, ibid. 1986, pp. 26 s., 35 s.; G. Gullino, Le dottrine degli agronomi e i loro influssi sulla pratica agricola, ibid., pp. 402, 404; M. Zorzi, La libreria di S. Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei dogi, Milano 1987, pp. 287, 501; Collezioni di antichità a Venezia nei secoli della Repubblica (dai libri e documenti della Bibl. Marciana), catal. a cura di M. Zorzi. Roma 1988, pp. 128-131; P. Frausin, Il museo di F. F. …, in Archeografo triestino, LII (1992), pp. 441-458; C. von Wurzbach, Biographisches Lexicon des Kaisertums Österreich, IV-V, pp. 149.