TAGLIOLINI, Filippo
Modellatore e scultore, nacque il 29 dicembre 1745 da Nunzio e da Maria Toccafondi a Fogliano di Cascia (Perugia), ma visse quasi sempre a Roma, dove la la famiglia si stabilì definitivamente nel 1755 (Valeriani - Montemaggiori, in González-Palacios, 1988, pp. 183, 191). Nel 1763 e nel 1764 fu fra i premiati ai concorsi dell’Accademia di S. Luca e nel 1766 vinse il primo premio con il rilievo Il Faraone riceve Giacobbe e Giuseppe (Roma, Galleria dell’Accademia di S. Luca), unica opera giovanile nota, ricercata nel modellato e nell’espressività delle fisionomie, e ricca di notazioni storiche, come i geroglifici che rimandano all’Egitto. Nello stesso anno è documentata la sua presenza nello studio dello scultore Pietro Pacilli (1720-1772; González-Palacios, 1988, p. 12), noto negli ambienti più accreditati del mondo artistico e antiquario romano e che, dal 1761, occupò ripetutamente la carica di direttore dell’Accademia del nudo (Franco, 2014). A Roma e presso Pacilli, restauratore, copista e mercante d’arte, il giovane iniziò a sviluppare la conoscenza della scultura antica, che restò una costante per quasi tutta la sua carriera. Nel dicembre del 1767 si spostò a Venezia, e nel 1773 sposò Angela, figlia del costruttore di organi Giovan Battista Bellosio di Cassine, presso Acqui in Piemonte, e sorella di Anselmo (1743-1793), uno dei maggiori liutai della città lagunare, con il quale si era trasferita a Venezia nel 1761. Chiamati a testimoniare lo stato libero degli sposi furono due pittori, Nicola Biasini e Sante Bosello; entrambi dichiararono che lo scultore risiedeva a Venezia da sei anni, e Bosello, attivo nella fabbrica di Gemignano Cozzi, affermò che lavoravano nella stessa manifattura (Stazzi, 1981, p. 140, n. 26). Tagliolini, formatosi come modellatore ad ampio raggio nel fertile ma affollato ambiente del tardo-barocco romano, giunse a Venezia forse richiamato dalle opportunità della nascente fabbrica di Cozzi, dove si specializzò nel settore della porcellana. Lo scultore risiedeva in una casa del pittore padovano Giovan Battista Mengardi (1738-1796), che si trovava, come lo studio dello stesso pittore, nei pressi della fabbrica di Cozzi. Nella produzione realizzata per questa manifattura è possibile che Tagliolini orientasse la sua cultura romana verso il barocco leggero e venato di classicismo di Mengardi, inserendo anche i soggetti dettati dalla società contemporanea, che avrebbe riproposto in seguito. Nello studio di Mengardi, direttore dell’Accademia del nudo e figura di primo piano della vita artistica cittadina, incontrò il giovane Canova (Pavanello, 1974, 1992, 2017), che, fra il 1768 e il 1773, era apprendista dello scultore Giuseppe Bernardi, detto il Torretti, e studiava anche all’Accademia del nudo. La conoscenza di Canova ebbe profonde ripercussioni sulla produzione di Tagliolini, in particolare quando, durante l’attività per la Real Fabbrica di porcellana a Napoli, s’immerse nel clima di recupero dell’antico. A Venezia l’artista dovette dare buona prova di sé, se fu chiamato a Vienna, in una data non ancora nota, come capo-modellatore della fabbrica imperiale, restandovi fino al 1780.
Ferdinando IV di Borbone volle rinnovare e migliorare la produzione di porcellane a Napoli, e chiese alla corte di Vienna del personale esperto. Tagliolini, inviato nel 1780, insieme ad altri, con l’incarico di supervisionare l’avvio della nuova manifattura, fu invitato a restare, affiancando Francesco Celebrano, cui subentrò nel 1781 come capo-modellatore, con il lauto stipendio di 50 ducati mensili e diversi altri benefici.
Il periodo napoletano è il più noto di Tagliolini, non solo perché molte opere realizzate per la committenza borbonica sono conservate nei musei, ma perché esiste una copiosa documentazione dell’attività della Real Fabbrica, in cui egli svolse un ruolo di protagonista. Affidata alla direzione del cortonese Domenico Venuti, sede dal 1781 dell’Accademia del nudo e inserita nel contesto culturale delle scoperte delle città dissepolte e delle opere d’arte dell’antichità, la manifattura divenne anche un centro di studio che ospitava e realizzava calchi sia dalle opere farnesiane e ercolanesi di proprietà reale sia di altre raccolte. La produzione di porcellane si orientò decisamente su questi temi, traducendo in biscuit le sculture ritenute più importanti e rappresentative dell’antichità, con un’operazione che sembra potersi assimilare alla traduzione in incisione. In questo Tagliolini non fu solo modellatore, ma mise a disposizione di Venuti le competenze organizzative maturate a Venezia e a Vienna, e soprattutto la sua complessa cultura, che gli permise di elaborare con raffinata consapevolezza la raffigurazione dell’antico. In particolare, in alcuni gruppi di due figure, come Adone e Venere, Mercurio e Paride (Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte), Bacco e Arianna (Napoli, Museo di S. Martino), sembra di poter osservare un’interpretazione morbida del mito classico da cui trapelano anche il precedente figurativo di Mengardi e l’esperienza delle composizioni di Cozzi. La varietà e ricchezza dei riferimenti appaiono evidenti in una delle sue opere maggiori: La caduta dei Giganti (Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte), gruppo di biscuit di straordinarie dimensioni, che rimanda a diversi esempi (González-Palacios, 1988, pp. 13 s. e 154), come l’acquaforte di Salvator Rosa con lo stesso soggetto (Borrelli, 2014, p. 107). La formazione di Tagliolini comprendeva l’uso delle incisioni, come modello e strumento, che egli apprese a Roma e da Mengardi, il cui fratello, Francesco, fu delineatore di Raffaello Morghen. La composizione monumentale è l’unico elemento superstite di un incompiuto “dessert”, o “deser”, denominazione utilizzata per i grandi centrotavola a tema, destinati a completare i serviti delle tavole reali o nobili, che costituiscono la parte principale dell’opera di Tagliolini a Napoli. Ferdinando IV volle far realizzare un “deser” all’antica, detto “Ercolanense”: si tratta del primo esempio in cui, per mostrare al padre Carlo, diventato re di Spagna, i progressi della nuova fabbrica, si riprodussero, grazie ai calchi, sculture ercolanesi in porcellana. Venuti, che si avvalse della collaborazione di Tagliolini e Celebrano a partire dalla scelta dei pezzi da riprodurre, corredava con un opuscolo esplicativo i centrotavola più importanti, valorizzandone così non solo il ruolo di opere d’arte, ma di strumenti di conoscenza. Tagliolini, come modellatore capo, eseguì numerosi pezzi del “dessert per 60 coverti” (Ceramiche, 2006, pp. 30-46) e del servizio “Etrusco” per il re d’Inghilterra Giorgio III, decorato con copie di vasi delle raccolte reali e che accompagnò egli stesso a Londra nel 1787 (Interprétation, 1787).
Nel 1802, al ritorno di Ferdinando IV da Palermo dopo la rivoluzione del 1799, furono organizzate fastose manifestazioni (Strazzullo, 1962) che videro Tagliolini nel ruolo di coordinatore del personale della Fabbrica di porcellane per costruire macchine effimere adorne di gruppi colossali e di sculture in gesso, essenzialmente calchi da statue della collezione Farnese, o provenienti da Ercolano e Pompei, ottenendo invenzioni scenografiche di gusto pienamente neoclassico. Agli apparati parteciparono gli scultori Angelo Brunelli, Andrea Calì, Domenico Masucci, Valerio Villareale e Tagliolini stesso, che eseguì numerose statue di grandi dimensioni, come le sei Province del Regno, la Fortuna e due gruppi colossali: Cerere e Bacco in piazza Mercato, e Partenope e il Genio delle Arti offrono libagioni al Sovrano nel largo antistante alla fabbrica di porcellane (Archivio di Stato di Napoli, Ministero delle Finanze, b. 2666, Bilancio…, 9 settembre 1803), composizione i cui riflessi si possono cogliere forse in un disegno acquarellato, datato 1802, attribuito allo scultore (collezione privata, Carola Perrotti, 1978, fig. 47) e in un gruppo di figure in biscuit della Fabbrica Poulard Prad, assemblate sotto il nome di Allegoria della Restaurazione (Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte; Ceramiche, 2006, pp. 98 s.). Tagliolini costituì il fulcro fra le capacità tecniche degli artefici e la conoscenza dei pezzi archeologici dei restauratori del Real Museo, essendo egli stesso in grado di padroneggiare entrambi gli aspetti.
Nel 1807 il governo francese effettuò un drastico cambiamento nella gestione della fabbrica vendendola agli imprenditori francesi Poulard Prad, che orientarono la produzione in senso commerciale, licenziando buona parte del personale. Tagliolini, restato senza reddito, richiese e ottenne, per le sue abilità, un posto di restauratore nel Real Museo. Una delle sue ultime opere fu la testa in gesso della Flora Farnese (Napoli, Museo archeologico nazionale), delicato intervento di integrazione nel quale l’uso della policromia conferisce alla scultura colossale l’espressione trasognata e assorta di un’adolescente.
Alla morte dello scultore, il 6 gennaio 1809, la moglie, nel richiedere la pensione al governo francese, ricorda di essere rimasta sola con due figli minorenni (Valeriani - Montemaggiori, in González-Palacios, 1988, pp. 183, 191). La figlia primogenita, Caterina, nata a Venezia, raffinata musicista, sposò nel 1788 il glittico Filippo Rega (1761-1833), autore di ritratti in pietre dure e direttore, a più riprese, della Zecca di Stato del Regno delle due Sicilie (Porzio Biroli Stefanelli, 2016).
Archivio di Stato di Napoli, Ministero delle Finanze, b. 2666, Bilancio degli averi residuati che restano a conseguire gli individui della Real Fabbrica della Porcellana [….], 9 settembre 1803. D. Venuti, Spiegazione d’un servizio da tavola dipinto e modellato in porcellana nella Real Fabbrica di Sua Maestà il Re delle Sicilie sopra la serie de’ vasi e pitture esistenti nel Real Museo Ercolanese, Napoli 1782; Interprétation des peintures dessinées sur un service de table travaillé d’après la bosse dans la Royale Fabrique de Porcellaine par ordre de Sa Majesté le Roi des Deux Siciles, Naples 1787; F. Inghirami, Dichiarazione delle pitture di un servizio da tavola modellato in porcellana nella Real Fabbrica di Napoli per uso della reale altezza la Duchessa di Parma, Napoli 1790; D. Venuti, I tempj di Pesto, deser eseguito d’ordine di Sua Maestà la Regina delle Due Sicilie dal cav. Domenico Venuti, Roma 1805; F. Strazzullo, Apparati e feste per il ritorno a Napoli di Ferdinando IV nel 1802, in Napoli nobilissima, s. 3, II (1962), pp. 112-118; G. Pavanello, L’attività di Giovan Battista Mengardi a Padova, in Padova e la sua provincia, XX (1974), pp. 3-8; A. Caròla-Perrotti, Le porcellane dei Borbone di Napoli. Capodimonte e Real Fabbrica Ferdinandea: 1743-1806, Napoli 1986; Ead., Le porcellane napoletane dell’Ottocento: 1807-1860, Napoli 1990, p. 122, figg. 45, 47; F. Stazzi, Le porcellane veneziane di Geminiano e Vincenzo Cozzi, Venezia 1981; A. González-Palacios, Lo scultore F. T. e la porcellana di Napoli. Biografia e documenti di Amerigo Montemaggiori e Roberto Valeriani, Torino 1988; G. Pavanello, Antonio Canova veneto, in Antonio Canova (catal., Possagno - Venezia), Venezia 1992, pp. 45-52; A. González-Palacios, Il gusto dei principi: arte di corte del XVII e del XVIII secolo, Milano 1993; E. Debenedetti, Lambert Sigisbert Adam e Pietro Pacilli, due protagonisti della distensione del barocco, in Sculture romane del Settecento, a cura di Ead., II, Roma 2002, pp. 55-79; S. Pio, Liuteri & sonadori: Venezia 1750-1870, Venezia 2002; [Museo nazionale di Capodimonte], Ceramiche: porcellane, biscuit, terraglie, maioliche, Napoli 2006; G. Prisco, “La più bella cosa di cristianità”. I restauri alla collezione Farnese, in Le sculture Farnese: storia e documenti, a cura di C. Gasparri, Electa Napoli, Napoli 2007, pp. 81-133, in partic. p. 109; V. Vernesi, Mengardi, Giambattista, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXII, Roma 2009, pp. 467-470; A. González-Palacios, Nostalgia e invenzione: arredi e arti decorative a Roma e Napoli nel Settecento, Milano 2010, p. 21; G.G. Borrelli, Le fortune di Salvator Rosa, in Rosa-rame, Salvator Rosa incisore nelle collezioni dell’Istituto Nazionale per la Grafica (catal.), a cura di M.R. Nappi, Roma 2014, pp. 92-111; F. Franco, Pacilli, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXX, Roma 2014, pp. 135-137; L. Pirzio Biroli Stefanelli, Rega, Filippo, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXXVI, Roma 2016 (solo in rete: www.treccani.it/biografico); N. Stringa, Nuovi documenti per la storia della manifattura Cozzi, in M. Ansaldi - A. Craievich, Geminiano Cozzi e le sue porcellane, Crocetta del Montello 2016, pp. 19-27; G. Pavanello, Schedule 2017, in AFAT / Arte in Friuli, arte a Trieste, 36 (2017 [2018]), pp. 159-169.