SASSETTI, Filippo
– Nacque a Firenze il 26 settembre 1540 da Giambattista e da Maddalena de’ Gondi.
La sua famiglia vantava nobili origini e si diceva discendente da quella gens Saxetia che, come ha lasciato scritto il fratello Francesco (Notizie dell’origine e nobiltà della famiglia de’ Sassetti..., 1855), si era trasferita a Firenze «al tempo in cui gl’imperatori tedeschi venivano spesso in Italia» (p. XX). Oltre al fratello e a una sorella morta in fasce di cui non sappiamo il nome, ebbe altre tre sorelle: Nera, Maria, sposata con Nicolò Bartoli, e Sibilla, monaca a S. Vincenzo di Prato. Il suo bisnonno, Francesco di Tommaso di Federigo, un noto mercante, aveva fatto costruire, per sé e per la moglie Nera de’ Corsi, nella chiesa di S. Trinita, una cappella, facendola affrescare dal Ghirlandaio, e dalle delicate missioni compiute in Francia, in Belgio e in diverse parti d’Italia per conto sia di Cosimo sia di Lorenzo de’ Medici, aveva portato con sé antichi codici con i quali aveva formato una ricca collezione di libri passati poi alle biblioteche Laurenziana e Vaticana.
Il casato dei Sassetti versava in difficoltà economiche al punto che Filippo già in età giovanile dovette intraprendere per volontà paterna l’attività mercantile che, migliorata poi la situazione finanziaria della famiglia, abbandonò a 24 anni di età, un anno prima della morte del padre. Continuò però a occuparsi, assieme con il fratello Francesco, sia pure in modo saltuario, degli affari e del patrimonio del ricco cugino, Lorenzo Giacomini, che possedeva beni immobili ad Ancona e nei territori circostanti, oltre che capitali investiti in affari di diverso tipo, ma che preferiva dedicarsi agli studi umanistici e alla filosofia.
Nello stesso tempo Sassetti si dedicò agli studi letterari sotto la guida di Pietro Vettori e, vincendo la resistenza dei familiari, nel 1568 si iscrisse all’Università di Pisa dove, pur studiando discipline filosofico-umanistiche, coltivò interessi in campo botanico. Tornato a Firenze, nel 1574, entrò a far parte dell’Accademia Fiorentina e l’anno seguente di quella degli Alterati, nella quale assunse il nome di Assetato, accostandosi ai più dibattuti problemi italiani del tempo. In questi contesti fece amicizie importanti con coloro che saranno poi i corrispondenti delle sue Lettere, come Gian Battista Strozzi, Baccio e Francesco Valori, Bernardo Davanzati, Piero Vettori, Francesco Bonamici, Lorenzo Canigiani e il cardinale Ferdinando de’ Medici.
In seguito a una crisi finanziaria del fratello, al quale Sassetti aveva ceduto i propri averi, perse la possibilità di vivere di rendita e, dopo aver dedicato a un personaggio di spicco della corte medicea, il cavaliere di Malta Francesco Bongianni Gianfigliazzi, un Ragionamento sopra il commercio tra la Toscana e le Nazioni levantine come contributo a un grande progetto del granduca di assicurare al porto di Livorno il monopolio del traffico mediterraneo delle spezie del Levante, dovette cercarsi un nuovo impiego. Lo trovò in Spagna presso i Capponi, una famiglia fiorentina esportatrice di drappi e telerie. Arrivato a Madrid nell’aprile del 1578, si trasferì poi a Siviglia e da lì, in autunno, a Lisbona, dove rimase quasi due anni e mezzo, fino al gennaio del 1581, quando tornò di nuovo a Madrid, spostandosi anche a Medina del Campo e a Siviglia, per occuparsi di affari relativi al commercio del pepe proveniente dall’Oriente. Dopo l’estate iniziò però le trattative per trasferirsi in India e riuscì a ottenere l’incarico di agente del banchiere di origine milanese, Giovan Battista Rovellasca, uno dei soci del consorzio che aveva ottenuto dalla Corona portoghese l’appalto per l’importazione in Portogallo del pepe dai piccoli Stati indiani situati lungo la zona costiera dell’India occidentale.
Nel frattempo aveva approfondito la sua cultura geografica e cosmografica (conosceva bene la raccolta del Ramusio e gli scritti di Ortelio, Mercatore e Barros), occupandosi anche di navigazione e meteorologia. Nell’aprile del 1582 si imbarcò, assieme con Giovanni Buondelmonti e Orazio Neretti, sulla nave portoghese San Filippo, portando con sé una serie di strumenti astronomici accuratamente preparati, che avrebbe lasciato in testamento ai gesuiti di Goa, per intraprendere un viaggio che non si rivelò molto fortunato. La nave infatti si incagliò nelle secche al largo del Brasile e fu costretta a far ritorno a Lisbona dopo cinque mesi. Poté ripartire con la stessa nave soltanto l’anno successivo, per giungere sulla costa del Malabar l’8 novembre 1583, dopo una navigazione molto lunga durante la quale gran parte dell’equipaggio venne colpita dallo scorbuto.
Stabilitosi a Cochin, per sviluppare la sua attività dovette spostarsi di frequente, sia via mare lungo la costa occidentale del Deccan, sia via terra verso i centri dell’interno, visitando tra l’altro Calicut, Honavar e Mangolore. Nel 1585 si trasferì a Goa, dove aveva acquistato «una pricessione [possessione] nella quale servono uomini per l’asino e pel bue e per questi animali femmine servono le donne: seminanvisi cipolle, cavoli, lattughe e altre cose buone» (Notizie dell’origine e nobiltà della famiglia de’ Sassetti..., 1855, p. 455). Ma la crisi che travagliava l’economia indiana aveva cominciato a far sentire pesantemente i suoi effetti anche sui traffici commerciali, come lamentava Sassetti in molte delle sue lettere individuando la causa di questa situazione, con molto intuito politico, nella distruzione del regno di Vijayanagar, nella conquista del Guijarat da parte dell’imperatore Mogol e nell’errata politica portoghese a Goa imperniata sulla pretesa di convertire gli indù.
In un contesto del genere meditava, come scriveva il 10 febbraio 1586 al cardinale Ferdinando de’ Medici, di andarsene per un anno in Malacca e poi tornare in Cina «per dimorarvi altanto tempo e vedere d’intendere di quella terra qualche cosa con più fondamento di quello che io non veggo sapersene per le relazioni che hanno datone altri che là furono» (pp. 532 s.) e da lì passare prima a Manila e poi «a vedere quell’altre Indie» e dopo due anni rientrare in Portogallo.
Ma il 3 settembre 1588 morì a Goa lasciando un figlio di nome Ventura, di cinque mesi e che sarebbe morto all’età di due anni, avuto da una schiava, Grazia Bengala, ricordata nel suo testamento.
La notizia della sua scomparsa giunse a Firenze solo verso la fine del 1589 e l’8 febbraio 1590 Giovanni Battista Vecchietti tenne il suo elogio funebre all’Accademia Fiorentina. Sulla sua tomba l’amico Orazio Naretti fece incidere questa lapide: «Novarum rerum causas indagandi studio potius quam lucri vasto emenso Oceano Africa transferata ultra Indum Goae commoratus».
Numerose furono le opere che Sassetti elaborò nell’ambito della sua attività di accademico (quelle pubblicate, tra cui un Discorso in difesa di Dante e un Discorso contro l’Ariosto, una Sposizione della Poetica di Aristotele e una Vita di Francesco Ferrucci, sono elencate da Ilaria Luzzana Caraci, in Scopritori e viaggiatori..., 1991, p. 868 e da Marica Milanesi, 1973, pp. 81-84), ma i suoi scritti più significativi sono le Lettere (ben 126 giunte fino a noi) che, sconosciute per oltre un secolo dalla morte del loro autore, vennero alla luce la prima volta, ma solo in parte, nel terzo volume della quarta parte delle Prose fiorentine, raccolte dallo Smarrito accademico della crusca (Firenze 1743, pp. 1-236). Fra le successive edizioni, in larga parte parziali, elencate sempre da Luzzana Caraci (Scopritori e viaggiatori..., 1991, pp. 866-868), e da Milanesi (1973, pp. 81-84), vanno segnalate quelle curate da Ettore Marcucci (Lettere edite e inedite, Firenze 1855) e Vanni Bramanti (Lettere da vari paesi. 1570-1588, Milano 1970), quest’ultima costruita sulla base di nuove e accurate ricerche d’archivio, attraverso le quali sono stati recuperati, oltre ad alcuni codici inediti, gli apografi di diverse lettere già note o gli autografi di altre sino ad allora conosciute solo in copia.
Di queste lettere, che coprono un arco di tempo compreso fra il 5 aprile 1570 e il 17 gennaio 1588 – anche se pure quelle relative al periodo italiano, dirette in prevalenza ai familiari, e a quello spagnolo e portoghese meritano attenzione –, è indubbio che le più importanti (in particolare quelle dedicate a personaggi di un certo rilievo della vita politica e culturale della Firenze di quel tempo, come il granduca Francesco I, il cardinale Ferdinando de’ Medici, Pietro Spina, Bernardo Davanzati e Pietro Vettori) si debbano considerare quelle del periodo indiano, non tanto per la loro forma più raffinata e la loro struttura organica, ma soprattutto per la ricchezza di informazioni, notizie e spunti di discussione che propongono e che non cedono «mai al richiamo del meraviglioso e del fiabesco, che resta solo come ammiccamento, come lontano luogo comune» (Dei, 1995, p. 19). In esse vengono infatti analizzati tutti gli aspetti geografici, storici e culturali dell’India, dalla botanica (illustrò le qualità dell’ananas al granduca, che gli richiedeva sempre l’invio di nuove sementi e piante; descrisse la pianta del cadirà e nel 1587 inviò a Bernardo Davanzati un Discorso sopra il cinnamono) alla medicina, dalla religione all’etnologia, dalla scienza alla religione, dalle caratteristiche della società indiana al funzionamento dell’amministrazione portoghese in modo più esauriente di quanto avessero fatto tutti i viaggiatori precedenti, collegando spesso il mondo indiano a quello classico per renderlo riconoscibile e conoscibile. Oltre ad aver saputo cogliere e sottolineare le analogie tra la medicina indiana e quella greca, o le caratteristiche del regime monsonico, fu il primo a interessarsi all’alimentazione indiana, alla suddivisione in caste e a riconoscere un rapporto tra le lingue europee e il sanscrito, di cui ammirava la ricchezza morfologica e sintattica (Caraci, 1960 e 1961).
Fonti e Bibl.: Notizie dell’origine e nobiltà della famiglia de’ Sassetti raccolte da Francesco di Giambattista Sassetti (1610), in Lettere edite e inedite di F. S., raccolte e annotate da E. Marcucci, Firenze 1855; G. Costantini, F. S. geografo, Trieste 1897; M. Rossi, Un letterato e mercante fiorentino del secolo XVI, F. S., Città di Castello 1899; S. Ferrara, Un mercante del secolo XVI, storico, difensore della Commedia di Dante e poeta, Novara 1906; G. Ottone, F. S. nelle Indie. Note e appunti da uno spoglio dei suoi epistolari, Vigevano 1916; E. Allodoli, Un grande viaggiatore. F. S. (1540-1940), in Illustrazione toscana, LXI (1940), pp. 18-20; M. Vallauri, Medicina indiana e indologia nelle lettere del S., in Atti della Accademia delle Scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, LXXXV (1950-1951), pp. 111-129; G.B. Angioletti, F. S. e i viaggiatori fiorentini del Rinascimento, in Secoli vari, Firenze 1958, pp. 117-133; G. Mormino, F. S., un cinquecentista, viaggiatore, uomo di lettere e scienziato, in Libera cattedra di storia della civiltà fiorentina, Firenze 1958; G. Caraci, Introduzione al S. epistolografo, Roma 1960; Id., F. S. epistolografo, Roma 1961; A. Piromalli, F. S., in Dal Quattrocento al Novecento. Saggi critici, Firenze 1965, pp. 51-63; G.L. Beccaria, Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino 1968, passim; G.R. Cardona, Note sassettiane, in Lingua nostra, XXXII (1971), pp. 38-45; M. Milanesi, F. S., Firenze 1973 (con una ricca appendice di documenti); G.L. Beccaria, Tra Italia Spagna e Nuovo Mondo nell’età delle scoperte: viaggi di parole, in Lettere italiane, XXXVII (1985), pp. 177-203; O.R. Franco, F. S. visto da un indologo nel quarto centenario della morte, in Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, classe di scienze morali. Rendiconti, LXXVII (1988-1989), pp. 15-27; C. Sensi, Ritocchi per S., in Filologia e critica, XIV (1989), pp. 233-253; Una giornata di studio su F. S. nel quarto centenario della morte, Firenze, 12 ottobre 1988, in Atti e Memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, n.s., XL (1989), pp. 287-379; Scopritori e viaggiatori del Cinquecento e del Seicento, a cura di I. Luzzana Caraci, I, Milano-Napoli 1991, pp. 859-936; A. Dei, Introduzione, in F. Sassetti, Lettere dall’India (1583-1588), Roma 1995, pp. 7-26; N. Serina, F. S. e i profumi dell’India, in Profumi di terre lontane. L’Europa e le “cose nove”. Atti del Convegno internazionale di studi, Portogruaro... 2001, a cura di S. Conti, Genova 2006, pp. 414-429.