PARUTA, Filippo
PARUTA, Filippo. – Nacque a Palermo, in una data imprecisata fra il 1552 e il 1555.
Suo padre, Onofrio, era presumibilmente un uomo di lettere. Non si conosce il nome della madre.
La famiglia paterna, con tutta probabilità di origine pisana, era attestata a Palermo sin dalla fine del XIII secolo; nel Cinquecento essa apparteneva a quella piccola nobiltà che poteva vantare legami parentali con la più blasonata aristocrazia del Regno di Sicilia. Paruta era, infatti, cugino di Francesco Agliata (o Alliata) e Paruta, che sarebbe divenuto a sua volta nel 1609 principe di Villafranca e duca di Salaparuta.
Secondo gli usi del tempo, Filippo dovette ricevere i primi rudimenti della sua istruzione in famiglia. Probabilmente a causa della scomparsa del padre, giovanissimo venne accolto dallo zio Giuseppe Agliata, barone di Villafranca. Da quest’ultimo fu inviato a Bivona, per perfezionare la propria formazione presso Simone Valguarnera, barone di Siculiana e di Monforte, nonno del poeta omonimo, che sarebbe divenuto uno dei migliori amici di Paruta. La figura del maestro gli sarebbe rimasta sempre cara e in età matura gli avrebbe dedicato un elogio in lingua latina.
Si ignora dove Paruta completò la sua istruzione, laureandosi in utroque iure. Nel corso degli anni, inoltre, affinò le proprie competenze nel campo della letteratura, della storia e della numismatica.
Stabilitosi a Palermo, iniziò ad avere i primi incarichi di tipo istituzionale dalle autorità municipali. Contemporaneamente, incominciò a frequentare i circoli letterari cittadini, divenendo ben presto sempre più importante all’interno della società culturale locale. La sua vicenda biografica è quindi scandita, da un lato, dalle nomine a incarichi sempre più prestigiosi, dall’altra, dall’ingresso nelle molteplici accademie letterarie cittadine che si formavano e si scioglievano senza soluzione di continuità nell’effervescente clima culturale palermitano del secondo Cinquecento.
Non sappiamo quando e con chi si sposò. Ebbe nove figli, Onofrio, Francesco, Simplicio, Ruggiero, Fabrizio, Paolo Francesco, Filarete, Vincenzo e Petronilla.
Onofrio e Francesco si laurearono in utroque iure. Il primo fu canonico della cattedrale di Palermo e seguì le orme del padre esercitandosi nella poesia. Simplicio invece prese l’abito benedettino entrando nella Congregazione cassinese.
Nel 1568 Paruta entrò a far parte della costituenda Accademia degli Accesi, un sodalizio letterario sorto dall’unione dell’Accademia dei Solitari (1549) e dell’Accademia dei Solleciti (1555), per iniziativa del poeta petrarchista Leonardo Orlandini sotto il patrocinio del viceré Francesco Ferdinando de Avalos. Nel 1570, aderì all’Accademia dei Risoluti, nata su iniziativa di Fabrizio Valguarnera, barone di Godrano, dalla scissione di un gruppo di Accesi, capitanati dal poeta palermitano Argisto Giuffredi. All’interno del sodalizio, che si riuniva ogni domenica pomeriggio, l’emblema del Paruta era una balestra con il motto Ut vehementius.
Quando anche l’esperienza dei Risoluti si esaurì, nel 1581, Paruta divenne un esponente importante del gruppo di intellettuali che si riunivano nel palazzo di Aiutamicristo sotto la protezione di Francesco II Moncada, principe di Paternò. Fu inoltre personaggio di grande rilievo all’interno dell’Accademia degli Addolorati, un’istituzione dalla breve vita, protetta da Fabrizio Branciforte, principe di Butera, all’interno del cui palazzo si riuniva ogni prima domenica del mese per un ricco convito, allietato da musiche e poesie.
Il rilievo che acquistò Paruta nella vita letteraria palermitana è tanto che nel 1587, insieme al conterraneo Bartolo, o Bartolomeo, Sirillo, egli divenne uno dei protagonisti del Dialogo che il frate olivetano padovano Niccolò degli Oddi scrisse in difesa di Camillo Pellegrino, sostenitore di Torquato Tasso, contro gli accademici della Crusca.
Nel 1592 Paruta fu protagonista di una clamorosa lite con Sirillo, più vecchio anagraficamente e ben disposto verso il più giovane collega, al punto da avergli rivisto alcune composizioni in lingua volgare. In una serie di lettere dal tono sempre più acceso, Paruta accusò Sirillo, autore degli apparati effimeri realizzati in occasione dell’arrivo a Palermo del nuovo viceré conte di Olivares, di avergli copiato alcune idee e, non contento della risposta del letterato, arrivò a disprezzare il rivale, di umile provenienza, vantando i propri nobili natali. Con tutta probabilità, il dissidio non si risolse nello scambio epistolare, ma attraversò l’intera società letteraria palermitana, se è vero che esso ispirò il poemetto in terza rima Surci-giurania, la battaglia fra topi e rane, scritta da Luigi d’Eredia, poeta e intimo amico di Paruta. Nel poemetto i topi sono i sostenitori di Sirillo, mentre i ranocchi sono i sostenitori di Paruta. Quest’ultimo è Bevi-limo, rana famosa per l’abilità nel suonare la cetra e in grado di far cedere, con la sua sola apparizione sul campo di battaglia, l’esercito nemico.
Nel 1598 Paruta esercitò il sindacato nella città di Mazara: il suo compito principale, su espresso mandato del viceré, fu quello di restituire alla comunità alcuni beni che erano stati indebitamente alienati da privati cittadini. Il 30 agosto del 1602 venne nominato segretario del Senato di Palermo. L’incarico gli venne confermato per i trienni successivi il 31 agosto 1607 e il 15 marzo 1611, per poi diventare vitalizio. Il 10 dicembre 1627 venne concesso al Paruta di poter lasciare in eredità l’ufficio al figlio Francesco.
Molteplici erano i compiti connessi all’incarico di segretario: non solo il disbrigo della corrispondenza della magistratura cittadina, ma anche la redazione di epitaffi e di iscrizioni commemorative per i senatori defunti, l’elaborazione delle epigrafi per le porte e i monumenti della città, la progettazione degli apparati effimeri per gli ingressi trionfali di viceré e arcivescovi. Tramite questo incarico Paruta si ritrovò al centro della vita letteraria e teatrale palermitana e, in virtù della familiarità che egli aveva con molti nobili, anche grazie alla sua nascita, divenne un vero e proprio punto di riferimento per la vita culturale cittadina.
Potendo avere accesso all’Archivio del Senato, egli compilò un elenco dei capitani, pretori e giurati della città dal 1300 al 1629; organizzò una raccolta di notizie varie dal 1194 al 1300; scrisse un compendio degli avvenimenti occorsi nell’anno 1577; completò il diario di Palermo – una sorta di annale – dall’anno 1557 all’anno 1559, scritto da Nicolò Palmerino, con le notizie antecedenti al 1557 e posteriori al 1559 fino al 14 settembre 1613. Le cronache della città si rivelano, ancor oggi, una fonte preziosa per gli storici, malgrado esse risentano dell’atteggiamento ossequioso della pubblica autorità di Paruta. Nel 1606 il Senato gli affidò l’incarico di scrivere una storia di Palermo, destinandogli una remunerazione di quaranta onze all’anno per tre anni. L’opera, tuttavia, non vide mai la luce.
Nel 1612, dietro interessamento del viceré duca di Osuna cui venne dedicato, Paruta diede alle stampe La Sicilia descritta con medaglie, una raccolta numismatica compiuta su sollecitazione del gesuita e storico siracusano Ottavio Gaetani. L’opera, che raccoglie la riproduzione di un’ampia serie di monete dell’antichità, meritò al Paruta una grande fama e l’ammirazione del numismatico Leonardo Agostini, che nel 1649 ne curò la prima ristampa a Roma. Essa fu ulteriormente ristampata a Lione nel 1697, per poi essere inclusa, nel 1725, nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Siciliae di Johannes Georgius Graevius e Peter Burmann.
Quando nel 1622 venne istituita l’Accademia dei Riaccesi, Paruta entrò a farne parte con il nome fittizio di Il Grato. La sua impresa ritraeva il mare illuminato dalla luna, con il verso del Petrarca «Io gloria in lei ed ella in me virtute».
Nel 1625 il Senato di Palermo gli assegnò una somma di denaro per la stampa di un libro contenente la descrizione delle feste fatte in occasione del ritrovamento delle reliquie di santa Rosalia, opera che venne edita postuma sotto il nome del figlio Onofrio, morto peraltro il 12 luglio 1629. Paruta fu molto colpito dalla scomparsa del figlio che, insieme con lui, aveva fatto parte dell’Accademia dei Riaccesi con il nome di Taciturno: in sua memoria scrisse un’elegia e un epigramma in lingua latina.
Si tratta delle ultime fatiche del segretario, che morì a Palermo il 15 ottobre 1629 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco dei conventuali minori.
La produzione letteraria di Paruta è caratterizzata dalla più grande varietà: egli sembra piegare facilmente la sua penna alle più diverse sollecitazioni che gli provengono dalla società in cui opera.
Fra le sue orazioni in lingua latina, la più famosa è quella diretta al giurista Ottavio Corsetto, pubblicata a Palermo nel 1595. La più parte della produzione rimane, tuttavia, ancora inedita e mai studiata, se si esclude un’elegia latina indirizzata all’umanista Lorenzo Gambara e pubblicata agli inizi del secolo da Giuseppe Abbadessa. Sempre in latino il Paruta compose 137 epigrammi latini contenenti l’elogio dei poeti siciliani del suo tempo. Il lavoro, probabilmente iniziato in gioventù e proseguito fino alla vecchiaia, malgrado non comprenda tutti i poeti del tempo e non sia ordinato in senso cronologico, si rivela anche un’ottima fonte storica per la ricostruzione biografica dei singoli autori siciliani cinque-secenteschi.
Particolare rilevanza per comprendere l’interpretazione degli stilemi petrarchistici e la loro evoluzione in Sicilia ricopre la produzione letteraria in lingua volgare toscana di Paruta. Nell’arco di tempo che corse fra il 1571 e gli anni che precedettero l’istituzione dell’Accademia dei Riaccesi, egli compose una serie rilevante di liriche. Questa produzione, non organizzata in un canzoniere, è contraddistinta dal carattere occasionale. All’interno di essa è possibile enucleare tre grandi insiemi: i madrigali, le composizioni politico-celebrative, gli intermezzi.
I madrigali furono composti su commissione di nobili che volevano rendere omaggio all’amata con i versi. Si tratta di composizioni amorose, caratterizzate da rime baciate semplici e destinate alla musica e al canto. Esse rivelano l’attaccamento del poeta alle soluzioni poetiche di Francesco Petrarca, ma anche e soprattutto la fascinazione, molto diffusa nell’ambiente letterario palermitano, per l’opera di Torquato Tasso.
I componimenti encomiastici, diretti a importanti personaggi pubblici del tempo, a partire dal sonetto per Giovanni d’Austria in occasione del suo ingresso trionfale a Palermo dopo la vittoria di Lepanto, rivelano come Paruta fosse quanto mai lontano dalle inquietudini che caratterizzano la visione politica di letterati suoi contemporanei come Argisto Giuffredi o Antonio Veneziano. Malgrado l’acquiescenza nei confronti del potere, le composizioni dirette alle autorità – viceré, vescovi e così via – rifuggono, tuttavia, da una scontata veste celebrativa e si rivelano ricche di allusioni che i contemporanei erano in grado di apprezzare nella loro pienezza.
Particolare importanza nella vita letteraria di Paruta hanno poi gli intermezzi, inserti di natura encomiastica che scandivano le opere teatrali e che erano contraddistinti dall’accompagnamento musicale e da grande sfarzo, tanto da costituire spesso la parte più dispendiosa della rappresentazione. Generalmente di ambientazione mitologica o bucolica, gli intermezzi servivano a celebrare i personaggi in onore dei quali veniva recitato lo spettacolo. Forte dell’esperienza maturata nella progettazione delle cerimonie pubbliche promosse dal Senato palermitano in occasione dell’entrata in città di personaggi particolarmente rilevanti, Paruta compose diversi intermezzi. Di alcuni di essi la destinazione finale è dubbia o sconosciuta; altri, dedicati al viceré Marco Antonio Colonna, sono destinati a essere inseriti nella commedia Il pazzo assennato, di Antonio Usodimare, o nella commedia che fu rappresentata a Palermo in occasione delle nozze fra Giulio Agliata e Antonia Valdina e Ventimiglia. Carattere differente da quello mitologico che caratterizza tale produzione hanno gli intermezzi scritti per il dramma sacro Il Martirio di S. Caterina di Bartolomeo Sirillo.
Non riconducibili ad alcuna occasione precisa sono le liriche in lingua siciliana, divise in tre libri. Tema dominante delle composizioni in ottave, non disposte a comporre un canzoniere, è quello della gelosia nei confronti della donna amata, ritratta come infedele e sleale: un tema che viene declinato con accenti più intimi e sentiti rispetto a quelli che caratterizzano la restante parte della sua produzione letteraria.
Opere. Oratio Philippi Parutae de laudibus Octavii Corsetti, Panormi 1595; Descrittione dell’arco trionfale apparecchiato dalla chiesa metropolitana di Palermo per la venuta dell’ill.mo e rev.mo sig. cardinal Doria Arcivescovo, in Palermo 1609; Della Sicilia di Filippo Paruta descritta con medaglie parte prima, all’illustrissimo ed eccellentissimo signore il sig. don Pietro Giron, Duca d’Ossuna, vicerè et capitan generale, Palermo 1612; Arco dell’eccellenza del signor duca d’Alburquerque, vicerè et capitan generale per Sua Maestà, venendo in Palermo l’anno 1627, Palermo 1627; Relatione delle feste fatte in Palermo nel 1625 per lo trionfo di Santa Rosalia vergine palermitana, Palermo 1651; Elenco dei capitani, pretori, giurati e governatori della città di Palermo, in V. Auria, Historia cronologica delli signori viceré di Sicilia, Palermo 1697, pp. 252-293. Diverse composizioni in G.B. Caruso, Rime degli Accademici Accesi di Palermo divise in due libri. Seconda impressione […], in Palermo e Venezia 1726; Diario della città di Palermo da’ mss di Filippo Paruta e Niccolò Palmerino, in Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, a cura di G. Di Marzo, I, Palermo 1869, pp. 1-197; S. Cocchiara, L’entrata di Marco Antonio Colonna in Palermo e i canti di Filippo Paruta, Palermo 1870; V. Di Giovanni, Lettere critiche di Filippo Paruta e di Bartolomeo Sirillo eruditi siciliani del sec. XVI, in Nuove effemeridi siciliane, s. 3, VI (1877), pp, 187-237; Id., Filologia e letteratura, II, Palermo 1879, pp. 139-154, 201-203; G. Abbadessa, Gli elogi dei poeti siciliani scritti da Filippo Paruta, in Archivio storico siciliano, n.s., XXXI (1906), pp. 113-166; G. Abbadessa, Un’elegia inedita di Filippo Paruta, ibid., XXXV (1911), pp. 351-356; Intermedi e rime, a cura di A.M. Razzoli Roio, Parma 1985; Ottave siciliane, edizione critica, incipitario, rimario e glossario, a cura di S. Gulino, Caltanissetta 1995.
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