LAURI (Lawers), Filippo
Figlio del pittore fiammingo Balthasar Lawers, italianizzato in Lauri, e di Elena Cousin, nacque a Roma il 25 ag. 1623. Ricevette i primi insegnamenti dal fratello maggiore Francesco, allievo di Andrea Sacchi; dopo la precoce morte di Francesco, nel 1637, il L. ebbe per maestro Angelo Caroselli, che nel 1642 avrebbe sposato una sua sorella, Brigida.
La carriera del L. è ricostruibile grazie soprattutto a una Vita di F. L. scritta da Francesco Saverio Baldinucci tra il 1725 e il 1730, rimasta manoscritta fino al 1959. Ad A. Matteoli, nel 1975, si deve poi la pubblicazione di un elenco di opere steso dallo stesso L. e già accluso alla Vita di Baldinucci. La lista, che comprende i maggiori dipinti eseguiti dall'artista tra il 1678 e il 1686, fu consegnata dal L. a Filippo Baldinucci, suo intimo amico e padre di Francesco Saverio. Più aneddotica è la vita scritta da Pascoli.
La perdita delle prime opere pubbliche del L., una Fuga in Egitto dipinta per la chiesa di Rocca Sinibalda (1654) e tre pale (Annunciazione, S. Lucia trascinata dai buoi, Anime del purgatorio) eseguite per una cappella della cattedrale di Sorrento (1656), impedisce di ricostruire puntualmente la sua formazione. Baldinucci sottolinea come subito dopo la morte di Caroselli, avvenuta nel 1652, l'artista avesse mutato radicalmente modo di dipingere e abbandonato l'attività di copista. Al 1654 risale il suo ingresso all'Accademia di S. Luca. Attraverso la protezione del suo primo importante mecenate, Alessandro Vittrice, il L. entrò in contatto con Girolamo Farnese, che gli commissionò un importante ciclo pittorico nel distrutto casino Farnese vicino a porta S. Pancrazio. Stando a Baldinucci il L. vi lavorò in due momenti: al 1651-53, quando Farnese era governatore di Roma, potrebbe risalire un soffitto con due tele riportate (il Giorno e la Notte), probabilmente ispirato alla galleria di palazzo Verospi affrescata da Francesco Albani; successiva al 1662 - anno in cui Farnese, cardinale, tornò dalla legazione a Bologna - sarebbe la galleria, dove il L., che sostituì Carlo Cignani, raffigurò le Quattro stagioni. Proprio tra le due campagne decorative al casino Farnese cadrebbe la partecipazione del L. alla grandiosa impresa decorativa ad affresco della galleria di Alessandro VII nel palazzo del Quirinale. Secondo Baldinucci fu proprio Farnese, maggiordomo dei Palazzi apostolici dal 1656, ad assicurare al L. un posto nell'ampio gruppo diretto da Pietro Berrettini da Cortona. Il L. ricevette 500 scudi tra l'ottobre 1656 e il luglio 1657 (Wibiral, p. 163, nn. 51-58): un compenso maggiore rispetto a quello di altri artisti impegnati nella galleria, per cui si ritiene che egli, oltre che ai due riquadri con il Sacrificio di Caino e Abele e con Gedeone spreme la rugiada dal vello, lavorasse anche ai partiti decorativi accanto a Giovan Francesco Grimaldi, Fabrizio Chiari, Giovan Paolo Schor e Ciro Ferri. Il paesaggio del primo riquadro con Caino e Abele, inoltre, attribuito a Gaspare Dughet da G.B. Mola, costituirebbe la prima, documentata opera frutto della collaborazione tra i due artisti.
Una delle caratteristiche più significative della carriera del L. è proprio l'attività di figurinista svolta per pittori assai diversi, dai paesaggisti agli specialisti di prospettive architettoniche e nature morte. La prima notizia importante in tal senso è quella, riportata da Baldinucci, secondo cui Claude Lorrain si sarebbe spesso servito del L. come figurinista. Il biografo, che conosceva personalmente il L., dovrebbe essere una fonte affidabile, ma la critica ritiene che Lorrain si fosse servito di aiuti solo nei suoi primissimi anni di attività, quando il L. era ancora troppo giovane. Il L. è comunque citato a volte negli inventari sette-ottocenteschi come autore delle figure in alcuni paesaggi attribuiti a Lorrain (Magnanimi, p. 108; The Index…, I, p. 421; II, p. 528). La collaborazione con Dughet, attestata da Baldinucci, è accettata da tutta la critica. Quella con Jan Frans van Bloemen, detto l'Orizzonte, ipotizzata da Busiri Vici (1974), sarebbe successiva al 1688, anno dell'arrivo a Roma del paesaggista fiammingo. Alla fine degli anni Cinquanta risale anche l'inizio del lungo sodalizio con Viviano Codazzi: il L. eseguì le figure di numerose prospettive del maestro, ne divenne il maggiore collaboratore dopo la morte di Michelangelo Cerquozzi e continuò a lavorare anche per suo figlio, Niccolò Codazzi. Dagli appunti di Giuseppe Ghezzi sembra che il L. avesse collaborato anche con un altro specialista del genere, il milanese Giovanni Ghisolfi (in De Marchi, p. 263; The Index…, III, p. 567), che però aveva lasciato definitivamente Roma già nel 1659. Lo stesso L., peraltro, sembra essere stato un esperto di pittura prospettica: Baldinucci (p. 170) afferma che le pareti della galleria del casino Farnese erano state dipinte dal L. "con bellissime architetture" e Pascoli (p. 588) ricorda un dipinto lasciato incompiuto e poi terminato da uno "Jacopo Fiammingo" in cui rimase "di mano del nostro Filippo la prospettiva". Anche Ghezzi menzionava una "Prospettiva con la Morte in specchio, di Filippo Lauri" alla mostra del 1706 (in De Marchi, p. 209).
Nella notte del 28 febbr. 1656 si svolsero nel cortile di palazzo Barberini dei caroselli in onore di Cristina di Svezia: l'evento fu immortalato in un grande dipinto (Museo di Roma) che gli inventari Barberini attribuiscono a Filippo Gagliardi (architettura) e al L. (figure). Ghezzi ricordava ancora un paio di dipinti nati dalla collaborazione tra i due artisti (ibid., p. 258).
Del 25 giugno 1658 è un documento dell'Archivio Barberini che attesta come il L. fosse stato pagato 30 scudi, per ordine di Sacchi, per "le tre arme nuove fatte per il Palazzo alli Giupponari" (Aronberg Lavin, p. 22). Nel 1659 eseguì la figura allegorica della Primavera all'interno della grande natura morta di Mario Nuzzi, detto de' Fiori, appartenente al famoso ciclo delle Quattro stagioni eseguito per il palazzo di Ariccia di Flavio Chigi. Nell'impresa erano coinvolti alcuni dei maggiori protagonisti della scena artistica del pontificato Chigi: le figure delle altre tele vennero eseguite da Carlo Maratta, Giacinto Brandi e Bernardino Mei; e a G.M. Morandi si dovette il ritratto di Mario de' Fiori nell'atto di dipingere.
A cavallo tra il sesto e il settimo decennio dovrebbero risalire La cacciata dal paradiso terreste e La famiglia di Adamo affrescati nei due spazi triangolari ai lati della finestra sopra la cappella Mignanelli (la seconda di sinistra) in S. Maria della Pace (Bodart, p. 172, e Rosi, in Pascoli, p. 596 n. 7, hanno però indicato come data d'esecuzione gli anni 1668-70 circa). Baldinucci (p. 171), infatti, dopo aver descritto i lavori del L. nelle gallerie del Quirinale e del casino Farnese, scrive: "Dovendosi poi dipignere a fresco, nella chiesa della Pace […] due mezzi tondi […] per consiglio di Pietro da Cortona furono allogati a Filippo". L'intervento sembra quindi essere contemporaneo, o di poco successivo, a quello architettonico dello stesso Berrettini (1656-57).
Il 15 sett. 1671 il L. valutò il compenso per due tele da eseguire su committenza del principe Giovanni Battista Borghese per la chiesa dei Ss. Gregorio e Antonino a Monte Porzio Catone, per la quale lo stesso L. avrebbe realizzato la pala per una delle piccole cappelle ai lati dell'ingresso con i santi Giovanni Battista, Sebastiano, Antonino Martire, Rocco e Francesco Saverio, pagata il 13 genn. 1675 e oggi perduta (Vodret Adamo).
Nel novembre del 1671 ricevette il primo pagamento per gli affreschi eseguiti sulla volta di una delle sale al mezzanino di palazzo Borghese: il saldo, per una somma complessiva di 900 scudi, risale al 13 sett. 1672 (Fumagalli, p. 99).
Al L. spettò la progettazione d'insieme, come attesta il suo disegno per lo schema generale conservato a Windsor, e l'esecuzione dei quattro episodi mitologici inseriti nei medaglioni circolari. A Luigi Garzi, che avrebbe eseguito una delle due tele per Monte Porzio Catone già menzionate, si dovette il riquadro al centro della volta; mentre, stando a Baldinucci, che ha lasciato una descrizione minuziosa di tutta la decorazione, i quattro paesaggi nei riquadri rettangolari, in cui il L. inserì altrettanti episodi mitologici, sarebbero opera di Dughet. E. Fumagalli ha però recentemente proposto di riferire anche i paesaggi al Lauri.
Gli affreschi di palazzo Borghese sono generalmente considerati il capolavoro dell'artista che qui rivela forse per la prima volta le sue qualità di spigliato narratore, preciso e minuzioso nel disegno, ma con innegabili doti di tocco nella pennellata. Già a questa data, quindi, egli aveva messo a punto quel linguaggio di inclinazione piacevolmente idilliaca, che anticipava il "barocchetto" romano e la grande stagione dell'Arcadia.
Nella campagna decorativa dei mezzanini di palazzo Borghese il L. si ritrovò accanto a Ferri e a Grimaldi, che come Dughet, Garzi e lui stesso, avevano lavorato alla galleria di Alessandro VII. Garzi, proprio come Dughet, doveva essere un amico del L.: il 25 sett. 1682 i due parteciparono a una gita a Tivoli "per vedere la cascata" (Bevilacqua, p. 290) in compagnia del marchese B. Cenci, per il quale, nello stesso anno, Garzi affrescò la volta di un'alcova del palazzo di famiglia e il L. eseguì tre tele. Due di queste (perdute), raffiguranti l'Adorazione dei magi e l'Orazione nell'orto, avevano le architetture dipinte da V. Codazzi (ibid.). La terza è probabilmente da identificare con la "Natività de nostro Sig.re con molte figure, in una Architettura[…] dal detto MS.e [B. Cenci] molto stimata", menzionata dal L. nell'elenco delle sue opere maggiori all'anno 1682: è probabile che in questo caso l'artista avesse dipinto anche l'architettura. Al L. è stato in aggiunta riferito il fregio con Storie di Venere e Adone in una sala di palazzo Cenci (Zorzi), ma l'attribuzione è stata respinta da Bevilacqua.
Gli ultimi venticinque anni della carriera del L. segnarono probabilmente il punto più alto delle fortune del pittore, impegnato nell'esecuzione di numerosissimi dipinti da cavalletto, di soggetto religioso e profano e quasi sempre di piccolo formato, destinati sia all'aristocrazia romana sia ai grandi collezionisti stranieri. Il più noto è senz'altro il Viaggio di Giacobbe (Hampton Court Palace) eseguito nel 1686 per uno dei massimi mecenati del tempo, Niccolò M. Pallavicini, e ricordato dallo stesso L. nella lista delle sue opere più significative.
Secondo S. Rudolph in questa tela, che come altre del L. precorre Francesco Trevisani, l'artista "superò d'un balzo la produzione di tavolette mitologiche per cui oggi è ricordato soprattutto quale un fine eppure marginale petit maître". È ancora molto difficile, in mancanza di uno studio monografico sistematico, orientarsi in questa parte così importante dell'attività del L.: quasi nessuno dei dipinti oggi attribuiti all'artista è ricollegabile alle numerose notizie inventariali (si pensi, per esempio, alle tantissime tele riferite al L. che risultano presenti nel mercato inglese del primo Ottocento: The Index…), e non è quindi possibile proporre datazioni attendibili.
L'ultima opera pubblica del L. sarebbe il S. Francesco stigmatizzato (tema ricorrente nel catalogo dell'artista), oggi nel soffitto della sacrestia della chiesa delle Ss. Stimmate di Francesco d'Assisi ma probabilmente dipinto originariamente come pala per un altare della medesima chiesa su committenza del cardinale Carlo Barberini, che vi aveva ottenuto una cappellania il 27 nov. 1686. Allo stemma barberiniano alludono infatti le api che nel dipinto succhiano le ferite del santo come polline della vita eterna, raro particolare iconografico che risale alla legenda francescana. La tela, non menzionata dalle fonti, è riferibile al L. in base alla lettura stilistica e in considerazione del fatto che il L. fu ammesso alla Confraternita delle Stimmate proprio pochi giorni prima della sua morte.
Il L. morì a Roma il 12 dic. 1694.
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