ROBILANT, Filippo Giovanni Battista Nicolis conte di
ROBILANT, Filippo Giovanni Battista Nicolis conte di. – Nacque a Torino, il 10 marzo 1723 (Brayda - Coli - Sesia, 1963, p. 124), dal conte Giuseppe Ludovico e da Irene Maria Operti. Il padre fu autore di trattati di architettura militare, nonché artefice della formazione di Filippo e del fratello Spirito Benedetto (si veda la voce in questo Dizionario), minore di un anno.
Entrambi furono avviati alla carriera militare, nel quadro della quale acquisirono competenze di architetto e ingegnere (Filippo) e ingegnere (Spirito), senza conseguire patenti di abilitazione professionale, come era invece necessario per i progettisti attivi in ambito esclusivamente civile. Nonostante questo scarto rispetto alla formazione, non ancora compiutamente normata negli Stati sardi, ma che rispondeva alla consuetudinaria sequenza tirocinio-esami-patenti, le figure dei fratelli Robilant corrispondono pienamente alla poliedricità della cultura progettuale e alla curiosità tipiche del maturo Settecento. Entrambi dediti a molteplici interessi, che spaziano dalla tecnica alla speculazione intellettuale, alla ricerca scientifica, costituiscono, pur figure ‘minori’, due esempi della diffusione della cultura illuminista veicolata in Piemonte grazie ai continui contatti con la Francia.
Se dal punto di vista dell’approccio culturale è lecito parlare di aggiornamento, da quello riferito al campo dell’architettura civile e religiosa, nel quale Filippo fu il più attivo dei due, si deve constatare una continuità con le ricerche barocche e tardobarocche degli autori che hanno segnato il volto di Torino e delle città sabaude, Filippo Juvarra, Benedetto Alfieri e Guarino Guarini. Quest’ultimo, in particolare, il cui trattato Architettura civile era stato pubblicato postumo nel 1737, sembrerebbe aver influenzato le prime opere di Filippo, dapprima attivo con piccoli interventi in provincia sul finire degli anni Quaranta, che culminarono nel progetto del seminario diocesano di Fossano (1750 circa, oggi sede del Museo diocesano).
Voluto dal vescovo Giovanbattista Pansa e uniformato al disegno delle sedi destinate ai catecumeni come ai malati o ai bisognosi, che stavano sorgendo in tutte le sedi vescovili del Piemonte, il progetto presenta una manica, successivamente aumentata da Mario Ludovico Quarini, disposta intorno a una corte rettangolare e caratterizzata da sequenze di arcate chiuse al piano terreno e aperte, a formare un loggiato, al primo piano.
Il legame con Fossano si andò rafforzando anche grazie alla successiva presenza della famiglia a Sant’Albano Stura, piccolo centro alle porte della città, dove ancora oggi è situata una residenza dei Robilant. Proprio a Sant’Albano infatti Filippo progettò la sua prima opera veramente importante, la chiesa della Confraternita di S. Croce (1750, ma risultato di un progetto probabilmente precedente).
Questa piccola chiesa presenta una pianta di conformazione appunto guariniana, a croce greca con cupola centrale che appoggia sui quattro pennacchi originati dalle colonne che definiscono l’invaso interno, compresso e articolato nella sua semplicità, rimandando alla tensione delle fabbriche del teatino, mentre la facciata, a doppio ordine e sormontata da un timpano, interamente in laterizio come la gran parte delle chiese della provincia piemontese, risulta più austera e schiacciata su un piano, priva della mobilità di quelle guariniane.
Il risultato deve aver goduto di un certo favore se l’anno successivo venne affidato a Robilant il progetto della sede della confraternita della Misericordia intitolata a S. Giovanni Decollato, che si faceva carico dei condannati a morte, a Torino. Nella città lo portò il matrimonio con la nobildonna Giovanna Battista del Carretto (14 febbraio 1751), da cui ebbe Giovanni Battista Francesco (si veda la voce in questo Dizionario); da un secondo matrimonio con Carlotta Operti nacque una figlia, Felicita Benedetta, nel 1780. L’incarico a Torino è probabilmente da ascriversi anche alle competenze tecniche di Robilant, in quanto il progetto si collocava su un edificio preesistente, appartenuto alle monache di S. Croce, gravato di notevoli dissesti statici e che dunque necessitava, oltre che di un completo ridisegno e aggiornamento formale, di consolidamenti e interventi di tecnica ingegneristica. La soluzione prospettata sviluppa le premesse della chiesa di Sant’Albano, articolandone la croce greca di impianto e sovrapponendole due cupole, di cui quella sul presbiterio è ellittica e presenta, in modo estremamente semplificato, la traccia dell’incrocio delle costolonature, ancora di ascendenza guariniana, ma con uno sguardo anche all’azione di Bernardo Vittone, architetto tra i più graditi e richiesti proprio da confraternite e ordini religiosi.
La sequenze di colonne e paraste all’interno riprende anch’essa il ritmo vittoniano, frenandolo però, forse in consonanza con il carattere austero della committenza, mediante l’accentuazione degli andamenti perpendicolari, che vanno a definire campiture molto più rigide rispetto al tipico ‘spazio fluido’ concepito da Vittone. L’aspetto previsto per la facciata, a ordini sovrapposti e priva di timpano, sostituito da un piano attico che unisce il piano verticale con l’imposta della cupola, ci giunge solo attraverso un’incisione, poiché l’esecuzione, portata a termine solo nel primo quarto del secolo successivo dagli architetti Gaetano e Lorenzo Lombardi, pur adottando quel partito, lo priva completamente della movimentazione conseguita mediante il lieve gioco di aggetti e rientranze e la riduce a una trama essenzialmente bidimensionale.
Ancora a Fossano e alla sua rapida crescita in direzione di moderno centro urbano – nel 1787 accoglierà tra l’altro una sede distaccata dell’Accademia delle Scienze di Torino – è da ricondurre l’incarico per l’ampliamento dell’Ospizio di Carità (1755). Sono degli stessi anni gli interventi relativi al rimodernamento del seminario di Mondovì, oltre a una nuova cappella, quella del Suffragio, nella cattedrale della stessa città, da poco ultimata da Francesco Gallo, a fare da pendant alla cappella di S. Biagio, dovuta all’autore del complesso ecclesiale e arricchita da Robilant nell’apparato decorativo, che si fa più articolato e delicato. Ancora uno sviluppo dei temi originari di S. Albano si riconosce nella chiesa di S. Sebastiano a Carrù, nel Monregalese (1765), dove l’architetto giunse a una sempre più accentuata compressione e dilatazione degli spazi compresi entro un disegno curvilineo. Gli anni Sessanta videro anche gli incarichi per il campanile della chiesa di Margarita (1767), caratterizzato da sovrapposizioni di volumi che si assottigliano e si caricano di elementi decorativi nelle porzioni più elevate, per il rifacimento della chiesa di S. Giovanni a Nizza Monferrato (1769-71), dove ricompare la copertura della cupola ad archi intersecati, e per il palazzo Crova di Vaglio (1769), sempre a Nizza, che riecheggia un precedente lavoro: il palazzo Gamba di Perosa a Torino (1760 circa).
Fu a Torino che, nuovamente su incarico di un ordine religioso, quello delle agostiniane, Robilant realizzò la chiesa di S. Pelagia (1771), una delle sue opere più note. In particolare, è risultato rilevante agli occhi dei primi storici che hanno tentato un’interpretazione della stagione del Barocco piemontese il segnale del graduale passaggio dalle forme guarinane e vittoniane – acme della ricerca formale e degli ampliamenti urbani – al più misurato linguaggio neoclassico.
S. Pelagia è un edificio a pianta centrale, quadrilobato, che accoglie nei bracci le cappelle laterali, il presbiterio e l’ingresso, presentandosi come uno spazio ‘fluido’, caratterizzato dalla pressione esercitata da lesene affastellate e cornicione a correre, tipico del periodo, con reminiscenze juvarriane e vittoniane. La facciata, pur riproponendo l’esatta corrispondenza a lobi dell’articolazione interna, presenta l’innesto di un pronao tetrastilo, completo di sovraornato e timpano, di ordine ionico, al centro del quale è inserito il portale, munito di una cornice in contrasto con la pacatezza del complesso in quanto decisamente barocca: cartigli e volute contribuiscono a delineare un timpano interrotto e articolato.
Alla progettazione di edifici religiosi si accompagnarono incarichi per edifici civili e cariche militari. Sempre su committenza confessionale, i progetti per l’ospedale di Alba (1771) e per la prosecuzione del nosocomio di Saluzzo (1770 circa), avviato da Francesco Gallo e terminato soltanto nel secolo seguente, collocano Robilant nella scia tracciata negli anni precedenti da autori come Filippo Castelli o Mario Ludovico Quarini per le grandi fabbriche per la cura e la segregazione; non completato il primo e modificato il secondo, i due ospedali si connotano per l’organizzazione di pianta a corsie sovrapposte, per la chiesa posta in posizione centrale e per la partitura muraria in laterizio, articolata mediante un gioco di paraste e incorniciature che movimentano l’andamento dei fili dell’edificio.
Questa decade vide, oltre alle grandi fabbriche dei primi anni, il coinvolgimento diretto nelle gerarchie militari: voluto da Vittorio Amedeo III, nel quadro della riforma dell’esercito, a sostituire Francesco Bertola alla direzione dell’Ufficio di topografia reale, Robilant venne incaricato di riorganizzarne la struttura mediante la stesura di un Regolamento, approvato nel 1777, che avviò il nuovo corso dell’organizzazione militare e impostò un indirizzo scientifico dell’ufficio, con nuovi sistemi di rilevamento in base agli aggiornamenti del disegno geometrico. A Robilant si deve, dello stesso anno, una carta topografica delle Valli di Lanzo, oltre, probabilmente, ad alcuni plastici di architettura militare, oggi parte della collezione ISCAG (Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio) di Roma.
In questo decennio Filippo, oltre alla riorganizzazione dei servizi topografici dell’esercito sabaudo, curò essenzialmente minuti lavori di riparazione e decorazione di fabbriche di proprietà regia (palazzo Carignano, 1775) e strutture effimere, nella tradizione delle chinee e degli apparati festivi tipici del tardo XVIII secolo (illuminazione per le nozze del principe di Piemonte e della principessa di Francia, 1775; padiglione per l’ostensione della Sindone, 1775). Nel 1778 stese un piano per il porto di Limpia a Nizza e per il suo circondario, esperienza che trovò il suo compimento negli anni Ottanta, quando fu impegnato nell’articolato lavoro di progettazione di Carouge, la ville nouvelle divenuta sabauda a seguito del trattato di Torino (1754) tra la Repubblica di Ginevra e il Regno di Sardegna e costruita ampliando un villaggio collocato alle porte di Ginevra. Il ruolo di Robilant, che agì insieme ad altri ‘servitori dello Stato’, come Francesco Garella, Giuseppe Battista Piacenza, Vincenzo Manera, oltre a tecnici e maestranze perlopiù piemontesi, fu sia di progettista urbano, con la revisione delle proposte dei colleghi e la possibilità di perseguire una visione scaturita da una profonda conoscenza dei modi costruttivi locali e del territorio e dalla volontà di adattarvi le griglie formali e astratte della pianificazione urbana sperimentata a Torino, sia di architetto, con il progetto per la casa del conte Veryer. Negli anni immediatamente precedenti, nell’ambito degli interventi urbani, Robilant aveva svolto anche il ruolo di ingegnere, sovrintendendo alla costruzione di alcuni importanti assi viari come la Annecy-Ginevra e la Cuneo-Nizza (1774).
Furono gli anni in cui Robilant ricoprì anche cariche dirigenziali e di controllo dello sviluppo urbano nella capitale, sempre in virtù della sua appartenenza ai ranghi militari, nonché a una delle famiglie più importanti del Regno. Dal 1778 fino al 1783 fu infatti presidente del Congresso degli edili, organismo istituito nel 1773 per volere di Vittorio Amedeo III, nel segno di una ‘sburocratizzazione’ dello Stato, per affidarsi maggiormente ai tecnici scienziati e, ovviamente, ai militari. Organismo di controllo sulle architetture civili commissionate da privati cittadini o imprese, e in seguito anche religiose, il Congresso divenne nel corso degli anni della presidenza di Robilant il punto di riferimento degli orientamenti urbani e architettonici, ma anche una sorta di luogo di formazione dei professionisti.
Dopo la sua morte, che avvenne a Torino il 12 gennaio 1783 (Brayda - Coli - Sesia, 1963, p. 124), con un mandato di intervallo, la presidenza fu assunta dal fratello Spirito, che lo diresse dal 1788 al 1798. Lasciò come unico erede il figlio Giovanni.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Archivi privati - Nicolis di Robilant.
E. Oliviero, La chiesa di Santa Pelagia in Torino, in Torino, XII (1932), 2, pp. 42-54; C. Brayda - L. Coli - D. Sesia, Specializzazioni e vita professionale nel Sei e Settecento in Piemonte, in Atti e rassegna tecnica della Società ingegneri e architetti in Torino, n.s., XVII (1963), 3, p. 124; N. Carboneri, L’architettura in Mostra del Barocco piemontese, Torino 1963, I, pp. 73-75; Id., Per un profilo dell’architetto Filippo Nicolis di Robilant, in Palladio, n.s., XIII (1963), 1-4, pp. 183-196; L. Tamburini, Le chiese di Torino: dal Rinascimento al Barocco, Torino 1968, pp. 410-415; M. Viglino Davico, Architects, ingénieurs, arpenteurs, artisans d’une ville “inventée”, in Bâtir une ville au siècle des lumières. Carouge: modèls et réalités (catal., Carouge), Torino 1986, pp. 171-211; R. Pommer, Architet-tura del Settecento in Piemonte. Le strutture aperte di Juvarra, Alfieri e Vittone, a cura di G. Dardanello, Torino 2003, p. 97; F. Depieri, Il controllo improbabile: progetti urbani, burocrazie, decisioni in una città capitale dell’Ottocento, Milano 2005, pp. 29-32; C. Franchini, Nicolis di R., F.G. B., in M. Viglino Davico et al., Architetti e ingegneri militari in Piemonte tra ’500 e ’700. Un repertorio biografico, Torino 2008, ad vocem; C. Castiglioni, L’architettura civile a Fossano nel XVIII secolo, in Tra i Lumi e l’Antico Regime (1680-1796), a cura di R. Comba, Fossano 2013, pp. 47-73.