FILIPPO da Novara (Navarra)
Nacque verso il 1190 nell'Italia settentrionale, forse a Novara, come indica il suo nome. Nei suoi Mémoires si qualifica espressamente come "Lombart", non fornendo però altre notizie in merito alla sua origine. È presumibile comunque che egli appartenesse a una nobile famiglia, poiché nella sua opera ricorda come offrì di battersi contro uno dei cinque reggenti del Regno di Cipro, nemici del conte d'Ibelin, suo signore, rivendicando per se stesso un identico lignaggio e grado sociale.
Non sappiamo inoltre come, e in quale età, F. si sia recato in Oriente; questi avvenimenti erano forse da lui narrati nella prima parte, purtroppo andata perduta, dei suoi Mémoires. È da ipotizzare, comunque, che egli sia entrato in giovane età in quel milieu francese del Mediterraneo orientale, nel quale s'integrò totalmente. Dal momento che il francese costituiva sin dal XII secolo la lingua comune della nobiltà del Levante, l'integrazione sociale all'interno di tale ceto non poteva aver luogo senza un'assimilazione culturale che esigeva innanzitutto la conoscenza della lingua. Il caso di F. è, da questo punto di vista, assai significativo. Il suo francese è eccellente, screziato da qualche raro italianismo, che va inteso non come apporto personale, ma probabilmente come prestito comune nel francese corrente d'oltremare.
F. dovette trascorrere tutta la sua vita in Oriente, facendo parte della "masnada" degli Ibelin, conti del Regno di Gerusalemme e signori dell'omonimo castello (in arabo, Yibne), fondato a metà del secolo XII tra Giaffa ed Ascalona. Fu infatti al servizio prima di Giovanni (I), detto il "vecchio signore di Beirut", al quale fu legato da un'ammirazione sconfinata e da un affetto rispettoso, e poi di Baliano (III), del quale diventò amico, compagno d'armi e "compere".
Documenti d'archivio mostrano che F. nel 1218 si trovava all'assedio di Damietta, come scudiero al servizio di "messire Pierre Chape". Poco dopo la capitolazione di Damietta, nel 1221, ritroviamo F. nell'isola di Cipro, dove dovette sposarsi, in ancor giovane età, con una cipriota: nel 1242, infatti, suo figlio Baliano era gia cavaliere. F., che fu più volte incaricato anche di difficili ambascerie, seguì da vicino le fortune ed i rovesci degli Ibelin nel corso dei decenni, raccontati in prima persona nei Mémoires.
Nell'estate 1228, nel corso della crociata a lungo promessa, l'imperatore Federico II fece tappa a Cipro, dove la regina Alice, vedova di Ugo di Lusignano, regnava sull'isola con il sostegno della locale Alta Corte nobiliare, dopo aver affidato la tutela del figlioletto Enrico, erede al trono, al fratello di Giovanni d'Ibelin, Filippo. In occasione della sua permanenza a Cipro, Federico II rivendicò per sé la tutela del giovane, da poco affidata a Giovanni d'Ibelin in seguito alla morte del fratello, e i proventi fiscali, appellandosi all'investitura che il re Amalarico di Lusignano aveva a suo tempo ricevuto dall'imperatore Enrico VI, ma trovò un fiero oppositore in Giovanni d'Ibelin, al quale Federico II contestava peraltro il possesso della contea di Beirut. Quando l'imperatore partì per la Siria, Giovanni d'Ibelin fu costretto a seguirlo e per circa due anni l'isola fu retta da un ristretto gruppo di cinque baroni fedeli a Federico II, fra i quali spiccava Aimerico Barlais. Ma quando i baroni, secondo il diritto vigente nel Regno latino d'Oriente, richiesero all'Alta Corte di Nicosia, l'approvazione del loro operato, F., che non aveva seguito Giovanni nella spedizione crociata, si oppose alle loro pretese fiscali e, dopo essere scampato a un'imboscata, si rifugiò nel castello dell'ospedale di Nicosia. Solo con il ritorno del "sire di Beirut", nel 1230, Aimerico Barlais ed i suoi seguaci furono allontanati dalla capitale del Regno.
La casata degli Ibelin dovette nuovamente lottare contro l'esercito di Federico II, capitanato da Riccardo Filangieri, che nel 1230 era stato inviato in Oriente al fine di far valere i diritti sul Regno di Gerusalemme che Federico vantava in base al matrimonio con Isabella, figlia di Giovanni di Brienne. Il Filangieri assediò lungamente la rocca di Beirut, che, nonostante la strenua difesa da parte di Giovanni e dei suoi alleati fra i quali F., dovette cedere all'esercito imperiale. Sconfitti a Casal Imbert (maggio 1232), gli Ibelin videro le loro fortune cadere anche a Cipro, ma nel volgere di poco tempo, riorganizzate le proprie forze militari, Giovanni d'Ibelin ricondusse i suoi alleati al contrattacco. Imbarcatosi per Cipro ormai quasi tutta in mano agli Imperiali, inflisse una cocente sconfitta alle truppe del Filangieri presso Agridi (giugno 1232): nello scontro F. si distinse per il suo valore. Tuttavia, solo in seguito al lungo assedio di Kerynia, la cui capitolazione fu negoziata dallo stesso F. ai primi di aprile del 1233, l'isola venne definitivamente sottratta al dominio imperiale.
F. morì a Cipro tra il 1261 e il 1264, colmato di onori e di ricchezze. Valente cavaliere e giurista, e scrittore altrettanto abile, viene ricordato dal suo contemporaneo Ugo di Brienne come il "meilleur pledeour de ça mer" (cfr. Kohler, in Mémoires, p. IV).
È autore di alcune opere in antico francese, la lista delle quali viene tramandata dallo stesso F. nell'epilogo del suo trattatello Des quatre tenz d'aage d'ome. Al primo posto dell'elenco sono i Mémoires, che contenevano, come afferma F., il racconto delle sue origini e dei motivi che lo spinsero a trasferirsi in Oriente, nonché "rimes et chansons plusors" ed infine la descrizione della "grant guerre" con le battaglie e gli assedi tra l'imperatore Federico II e Giovanni d'Ibelin, "car Phelipes [cioè F.] fu a touz" (Lesquatre âges..., ediz. 1888, p. 122).
Solo una parte dei Mémoires è conservata, perché inserita nelle Gestes des Chiprois, vasta opera compilata probabilmente verso il 1320 da Gérard de Montréal. Il frammento, che costituisce i paragrafi 97-229 delle Gestes, concerne gli anni 1218-1243 e narra la guerra che gli Ibelin condussero contro l'imperatore Federico II. A questa parte va premesso un breve frammento (che occupa i paragrafi 82-91), attribuito congetturalmente a F., soprattutto a causa della conoscenza minuta e diretta delle vicende degli Ibelin.
L'opera è tradita da un solo manoscritto acefalo e mancante della fine, datato 1343, di mano di un certo Johan le Miege, prigioniero di Aimeri de Milmars a Kerynia nell'isola di Cipro. Verso la fine del XV secolo le Gestes furono tradotte in italiano; poi, nel XVI, furono inserite sotto questa nuova forma in una compilazione di storia cipriota detta Cronaca d'Amadi, dal nome del copista o del compilatore dell'unico manoscritto che se n'è conservato, il veneziano Francesco Amadi. Il testo segue dappresso l'originale francese con qualche amplificatio di tipo retorico e con la soppressione delle parti liriche, probabilmente a causa della difficoltà della traduzione. Alla fine del XVI secolo l'autore di un'altra cronaca italiana dell'isola di Cipro, Florio Bustrone, un cipriota di origine italiana, parafrasò e compendiò la traduzione di Amadi. Sembrerebbe che Bustrone abbia avuto a disposizione anche il testo originale delle Gestes, ma la sua cronaca non contiene molto di più di quanto offra quella di Amadi e permette solamente di controllare in qualche passaggio l'esattezza dell'unico manoscritto di quest'ultima.
I Mémoires appaiono inframmezzati da notizie di carattere annalistico, a volte isolate, a volte raggruppate, e che generalmente non mostrano alcuna congruenza con la guerra degli Ibelin contro Federico II. Vi compaiono inoltre brevi pezzi, sempre a carattere storico, più estesi che le notizie cronologiche, relativi alla Terrasanta e all'Occidente, che non si collegano ai Mémoires né per il contenuto, né per lo stile. Si tratta di evidenti interpolazioni. L'estensore stesso delle Gestes, Gérard de Montréal, dichiara di aver intercalato "les contes" con menzioni "des chozes qui sont avenues tous les ans" (par. 81). Secondo la critica, le indicazioni annalistiche sono improntate agli Annales della Terrasanta, di cui non si possiede il testo originale, ma solo alcuni rimaneggiamenti. Quanto ai pezzi di carattere più propriamente storico, essi non compaiono nella traduzione di Amadi, per quanto questi trascriva e traduca scrupolosamente le notizie annalistiche.
L'opera ha subito un terzo tipo di rimaneggiamento. Se infatti si procede ad un confronto dei Mémoires con il resoconto della guerra tra gli Ibelin e Federico II riportato nella continuazione francese anonima di Guillaume de Tyr, conosciuta sotto il titolo di Livre du conquest o Histoire d'Eracles (in Rec. des historiens des croisades. Hist. occidentaux, Paris 1906, II, pp. 1-381), si constata facilmente che diversi passaggi sono pressoché eguali. I due autori, più o meno contemporanei, non hanno avuto modo di conoscere le rispettive opere, di conseguenza i passaggi in questione devono essere stati introdotti nell'uno o nell'altro testo da un terzo rimaneggiatore.
I Mémoires costituiscono un testo di primo ordine sul versante letterario e storico. Si tratta, infatti, di un'opera drammatica in cui il narratore, partigiano entusiasta degli Ibelin, narra gli avvenimenti con estrema partecipazione emotiva, ma anche con una logica e un rigore difficili da riscontrarsi in altri scrittori del Medioevo. Già nell'intitolazione della cronaca F. afferma prepotentemente la sua personalità ed il ruolo che egli ricoprì nell'impresa, come anche nell'epilogo del trattato Des quatre temps…, si riafferma "Phelipe de Nevaire, quy fu a tous les fais et les conseils".
La cronaca è inframmezzata da sirventesi e rime composte, o improvvisate da F. nelle più diverse circostanze, alla maniera di un Cyrano de Bergerac, dove l'autore dimostra (come nel caso dell'aube militare "Salus plus de cent mille") di aver saputo dare una personale rielaborazione degli schemi letterari del genere. Assai interessante il sirventese "Tant a esté Renart en guerre", come testimonianza della diffusione del Roman de Renard negli stati latini del Mediterraneo orientale all'epoca delle crociate, nel quale F. assimila i cinque biaus (baroni) di Cipro rivali degli Ibelin, coi personaggi del Roman. È evidente che la conoscenza dell'opera non poteva essere limitata a F. dal momento che viene detto come le allusioni furono comprese da tutti e la satira assai apprezzata. Tutti i riferimenti diretti o indiretti ad opere letterarie diverse, sparsi negli scritti di F., contribuiscono a ricostruire, almeno parzialmente, un panorama della letteratura francese d'importazione nell'Oriente latino. Secondo quanto testimonia egli stesso nell'epilogo del libro i Mémoires furono scritti "por ce que ces troveüres et li fait qui furent ou païs a son tens, et les granz valors des bons seignors fussent et demorassent plus longuement en remembrances" (Les quatre âges…, ediz. 1888, pp. 122 s.).
La seconda opera segnalata nell'elenco che conclude Des quatre tenz ...è un trattato di diritto feudale diviso in ottantasei capitoli, comunemente noto con il titolo di Le livre de forme de plait. Iltesto, conservato in un manoscritto veneto in seguito trasferito a Vienna, risulta documento prezioso per la conoscenza delle istituzioni dei Regni latini di Gerusalemme e Cipro. L'opera non è un saggio intorno al diritto comune, ma una sorta di manuale destinato a uomini di legge che esercitavano la loro funzione davanti ad una giurisdizione speciale. Ogni capitolo, redatto in uno stile semplice e chiaro, tratta una materia particolare, cercando di chiarire sulla scorta delle esperienze dei "grans maistres plaideors" i punti del diritto feudale che davano occasione a dubbi e discussioni.
Negli anni della vecchiaia - è l'autore stesso a dirlo ("cil qui fist cest conte avoit LXX anz passez") - F. compose il già citato trattato Des quatre tenz d'aage d'ome, diviso in Anfance, Jovens, Moien aage e Viellesce, in cui si dimostra ancora una volta scrittore piacevole ed elegante.
F. vi appare uomo di cultura, che conosce le Sacre Scritture, le parabole e le storielle del Barlaam et Josaphat, gli exempla di Vincent de Beauvais e di Jacques de Vitry, i romanzi del cielo arturiano e d'argomento classico, come il Roman de Troie. Nel primo libro, dedicato ai padri di famiglia e agli educatori, egli insiste sull'importanza di un'educazione puerile seria e severa, "car enfance est li fondemenz de vie". F. raccomanda l'uso di mezzi di rigore per vincere le cattive tendenze dell'infanzia, quali le punizioni con il bastone. Consueta nella cultura medievale la forte misoginia dell'autore che a proposito dell'apprendimento delle donne sancisce di non dover insegnare loro a leggere o a scrivere, a meno che non si tratti di religiose. Del resto, nell'opera, appare sempre diverso lo status dell'uomo e della donna. Quando un uomo ha un'amante egli commette certo peccato nei confronti dei precetti religiosi, ma agli occhi del mondo ne ricava soprattutto vanagloria. Quando invece è una donna a fare "folie et vilenies" del suo corpo essa è vituperata, poiché svilisce se stessa e nel contempo la sua casata, e deve essere giustamente vituperata e punita per questo fatto. Allo stesso modo l'educazione delle ragazze e poi la sorveglianza sulle donne sposate prescritte da F., tendono a "chastoier" e a reprimere la loro tendenza alla civetteria e alla lussuria, e per la gloria di Dio e per la protezione del lignaggio. I consigli di F. esprimevano evidentemente la necessità di prevenire l'adulterio ed il rischio che la nascita di figli bastardi potesse minacciare la purezza del sangue dinastico.
Nel secondo libro del trattato F. afferma che "La gioventù è la più pericolosa fra le quattro età, sia per l'uomo sia per la donna" (p. 21) e che i giovani devono imparare a resistere alle cattive inclinazioni anche nelle piccole cose in modo da saper resistere agli assalti violenti delle passioni.
L'età matura è considerata la "migliore fra le quattro età" (p. 52), e dunque l'uomo pervenuto al suo intero sviluppo morale ed intellettuale diviene l'oggetto d'indagine meglio e più diffusamente delineato. I suoi insegnamenti mirano inevitabilmente a stabilizzare e codificare le differenze sociali e sessuali che caratterizzano il mondo feudale. Quanto alla vecchiaia, che per F. ha inizio a sessant'anni, essa è considerata l'età della sofferenza. Il dovere delle persone anziane è di dare buon esempio ai giovani, di non compiere azioni disdicevoli per la loro età e di avere sempre coscienza ogni istante della loro vita della morte imminente alla quale devono essere preparati.
Il trattato morale di F. è senza dubbio il contributo più interessante offerto dalla prosa francese redatta nel Mediterraneo orientale, un'opera che riflette a pieno le vaste esperienze giuridiche dell'autore, le sue esperienze personali ed al contempo le caratteristiche del milieu sociale di cui egli è espressione.
F. fu autore, sempre per sua testimonianza nell'epilogo del trattato, anche di poesie d'amore e religiose di cui non è pervenuta traccia.
Edizioni: Mémoires de Philippe de Novare, a cura di C. Kohler, in Classiques français du Moyen Âge, X,Paris 1913: si veda anche Les gestes des Chiprois, in Recueil de chroniques françaises écrites en Orient aux XIII, et XIV, siècles, a cura di G. Raynaud, Genève 1887, par. 97-229; Les gestes des Chiprois, a cura di R. de Mas Latrie-G. Paris, in Recueil des historiens des croisades, Documents arméniens, II,Paris 1906, pp. 653-872, 989-1012; Chronique de l'île de Chypre par Florio Bustron, a cura di R. de Mas-Latrie, in Collect. de documents inédits sur l'histoire de France, Mélanges historiques, I,Paris 1884; Chronique d'Amadi et de Strambaldi, a cura di R. de Mas-Latrie, ibid., s. 1, Histoire politique, Paris 1891; Philip of Novare, The war of Frederick II against the Ibelins in Syria and Cyprus, a cura di J. L. La Monte-M. J. Hubert, in Records of civilization, XXV,New-York 1936 (traduzione inglese); Livre de Philippe de Navarre (Livre de forme de plait), in Assises de Jérusalem, a cura di A. A. Beugnot, in Recueil des historiens des croisades, Lois, I,Paris 1841; Les quatre âges d'homme, a cura di M. de Fréville, Paris 1888. Vedi ora anche Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242), introd., testo critico e traduzione a cura di S. Melani, Napoli 1994.
Bibl.: A. Beugnot, Notice sur la vie et sur les écrits de Philippe de Navarre, in Bibl. de l'École des chartes, II (1840-41), pp. 1-31; G. Paris, Philippe de Novare, in Romania, XIX (1890), pp. 99-102; Id., Les Mémoires de Philippe de Novare, in Revue de l'Orient latin, IX(1902), pp. 164-205 (poi in Mélanges de littérature française du Moyen Âge, Paris 1912, pp. 427-470); P. Richter, Beiträge zur Historiographie in den Kreuzfahrerstaaten, vornehmlich für die Gesch. Kaiser Friedrichs II.,I, Das Geschichtswerk des Philippe de Novaire, in Mitteilungen des Instituts für österr. Geschichtforschung, XIII(1892), pp. 255-310 (con alcune rettifiche riportate nel numero seguente della rivista, XV [1894], pp. 593-595); G. Bertoni, IlDuecento, Milano 1910, pp. 75, 359 s.; M. Grandclaude, Étude critique sur les livres des Assises de Jérusalem, Paris 1923; A. L. Foulet, Les Mémoires de Philippe de Novare sont-ils un plaidoyer?, in Romania, LVI (1930), pp. 419-427; R. W. Kehler, Philippe de Novare and Les quatre âges de l'homme,New Haven, Co., 1973; J. Prawer, Histoire du Royaume latin de Jérusalem, Paris 1975, passim; J. Bromiley, Philip of N.'s account of the war between Frederick II of Hohenstaufen and the Ibelin, in Journal of Medieval History, III(1977), pp. 325-337; A. Bart Rossebastiano, "La Chanson d'aube" di F. di N., in Ann. dell'Ist. univ. orientale, sez. romanza, XXI (1979), pp. 417-424; D. Jacoby, La littérature française dans les Etats latins de la Méditerranée orientale à l'époque des croisades: diffusion et création, in Essor et fortune de la chanson de geste dans l'Europe et l'Orient latin, II,Modena 1984, pp. 617 s., 620, 625-634, 638, 640-642; N. Nordahl, Det forstandige måtehold. Philippe de Navarres tanker om barndommen, i en avhandling fra ca. 1260, in Collegium medievale, I(1988), pp. 43-54; H. Charpentier, Histoire, droit et morale du lignage dans l'œuvre de Philippe de Novare, in Les relations de parenté dans le monde médiéval, in Sénefiance, XXVI (1989), pp. 325-334; P. W. Edbury, The Kingdom of Cyprus and the crusades, Cambridge 1991, passim (pp. 79-93, per le vicende relative alla casata degli Ibelin); Dictionary of the Middie Ages, IX, p. 558.