CAPONE, Filippo
Nacque a Montella (Avellino) il 25 maggio 1821 da Andrea, avvocato, e da Petronilla Terribile.
Antica ed agiata, la famiglia apparteneva a quella operosa e vivace borghesia provinciale che all'amministrazione di cospicui possedimenti terrieri univa l'esercizio delle professioni liberali. Il padre Andrea (1785-1854) aveva avuto parte notevole nell'amministrazione del suo Comune durante il decennio napoleonico, ed aveva educato il C. e gli altri due figli minori Scipione e Luca a spiriti patriottici e liberali.
Seguendo le tracce paterne, il C. intraprese gli studi di giurisprudenza presso l'università di Napoli, conseguendo la laurea nel 1843 ed iniziando subito l'attività forense. Durante il soggiorno napoletano, prima e dopo la laurea, aveva iniziato a frequentare gli ambienti intellettuali e liberali della città, stringendosi in amicizia con patrioti ed uomini di cultura quali F. De Sanctis e L. Settembrini. Sembra che già antecedenternente al 1848 avesse svolto attività politica cospirativa; di certo la sua fervida ed intensa presenza politica durante il breve e tumultuoso periodo costituzionale, sia a Napoli sia in provincia, non fu né improvvisata né estemporanea.
Socio fondatore del Circolo costituzionale e membro della Guardia nazionale di Napoli, fu tra i sostenitori del ministro della Giustizia A. Saliceti, che nel governo napoletano rappresentava l'ala liberale più radicale ed avanzata. In occasione delle elezioni, il 27 marzo 1848 il C. indirizzò agli elettori della provincia di Principato Ultra (Avellino) un infiammato opuscolo a stampa sulla Missione della Camera dei deputati, in cui sosteneva il diritto della Camera a trasformarsi in Assemblea costituente, e concludeva con l'invito a Ferdinando II di Borbone ad unirsi a Carlo Alberto nella guerra all'Austria per il trionfo della "santa causa" italiana. Più tardi, durante la reazione borbonica, questo opuscolo, ritenuto dalle autorità "proclama incendiario", doveva costare al C. già esule in Piemonte un processo in contumacia innanzi alla Gran Corte criminale di Avellino. Il tragico 15 maggio 1848, lo vide sulle barricate napoletane a combattere contro il Borbone in difesa del Parlamento. Noto è l'episodio di cui fu protagonista, narrato da L. Settembrini nelle Ricordanze della mia vita (Milano 1961, p. 225). Mentre si erano da poco accesi i combattimenti, egli irruppe nella sala di Monteoliveto, dove erano riuniti i deputati, e reggendo nelle mani una palla di cannone gridò: "Ecco quello che ci manda Ferdinando". Sciolta la Camera, nel giugno vennero indette nuove elezioni. Presidente del seggio di Montella, come già nelle precedenti elezioni dell'aprile, fu il C. che fece iscrivere a verbale una fiera protesta contro il governo liberticida.Come pronta reazione ai fatti del 15 maggio e alla svolta illiberale della politica di Ferdinando II, nell'estate del 1848 veniva fondata a Napoli la società segreta dell'"Unità Italiana", ad opera di S. Spaventa, F. Agresti, L. Settembrini e M. Pironti. Tra gli aderenti alla nuova setta era il C., al quale venne affidato il compito di mantenere i contatti, nella prospettiva di un'azione comune, con la Repubblica romana, uno dei cui dirigenti era divenuto il Saliceti, suo vecchio amico politico. Ma nell'autunno del 1849, scoperte le trame degli "unitari", per sfuggire alla polizia borbonica fu costretto ad abbandonare clandestinamente il Regno, raggiungendo Genova, che fu la prima tappa del suo decennale esilio, e in seguito Torino.
Nell'ambiente degli esuli meridionali riannodò e rafforzò presto vecchie amicizie, e ne strinse delle nuove. Il folto carteggio che intrattennero con lui in quegli anni esuli quali il De Sanctis, R. Savarese, A. Scialoia, B. e S. Spaventa, R. Bonghi e molti altri costituisce una fonte notevole per la ricostruzione della storia dell'emigrazione politica meridionale in Piemonte.
L'esilio gli diede modo di approfondire ed ampliare i suoi già vasti interessi culturali, oltre che politici. Della preparazione culturale del C. è indice eloquente la fiducia che nel suo "gusto fino" riponeva il De Sanctis, che gli inviava, per giudizio e consiglio, le prime opere che veniva componendo nel suo esilio torinese. I suoi interessi culturali continuarono però ad orientarsi verso i prediletti studi filosofico-giuridici. A Torino venne presentato da G. Massari - che era stato allievo nel R. Collegio di Avellino - a V. Gioberti; e si deve al C. il salvataggio dell'unico esemplare dell'Ultimareplica ai Municipali, che il Gioberti aveva dato alle fiamme.
A Genova conobbe T. Mamiani, che lo ebbe subito in alta considerazione e lo volle membro dell'Accademia di filosofia italica da lui presieduta. Con una lettera di presentazione di questo per i suoi amici francesi - in cui lo definiva "un cuor puro e libero, [di] schiettezza e modestia, sviscerata carità nella Patria e fede invincibile nei progressi del bene" - nel settembre del 1851 il C. intraprese un viaggio di studio in Francia, visitando negli anni successivi il Belgio, la Svizzera e la Germania. Nel 1856 si stabiliva per qualche tempo a Firenze.
La posizione politica del C. - respinta ogni suggestione del programma di restaurazione murattiana nel Mezzogiorno, di cui si era fatto propugnatore il Saliceti - si era intanto decisamente evoluta verso una convinta adesione all'orientamento unitario e liberal-moderato di ispirazione cavouriana. Nell'estate del 1860, lo sbarco di Garibaldi in Sicilia e la concessione della costituzione da parte di Francesco II di Borbone riaprirono agli esuli le porte del Regno. Il C. fu tra i primi a rientrare, venendo subito nominato, con decreto del 10 luglio 1860, intendente della provincia di Avellino. Assai breve fu il periodo della sua amministrazione, poiché presto presentò le dimissioni (accolte il 18 agosto), reso però drammatico dall'ammutinamento della guarnigione bavarese di Avellino (22-23 luglio), in occasione del quale il sangue freddo del C. contribuì non poco ad evitare un cruento scontro tra truppe e popolazione.
Il 28 ag. 1860 un decreto di Francesco II lo chiamava a far parte dell'ordine giudiziario, nominandolo sostituto procuratore generale presso la Gran Corte criminale di Chieti. Un decreto del dittatore Garibaldi, del 20 ott. 1860, lo trasferì a Napoli. Tra i processi da lui diretti va ricordato quello contro il famoso capobanda borbonico Cipriano La Gala.
Nel 1860 il Mamiani, ministro dell'Istruzione del governo piemontese, gli aveva offerto la cattedra di storia del diritto presso l'università di Bologna, ma le vicende gli avevano impedito di assumerlo. Successivamente, con decreto del 14 maggio 1862, il C. venne nominato professore onorario dell'università di Napoli. Nelle elezioni che si tennero nel gennaio 1861 per la prima legislatura del Regno d'Italia il C. era stato eletto deputato per il collegio di Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino), che gli rinnovò ininterrottamente il mandato per cinque legislature, fino al 1876, quando, caduta la Destra, tramontarono anche le sue fortune politiche. Il 26 genn. 1889 fu nominato senatore. Concluse la carriera di magistrato nel febbraio del 1893, a Milano, quando venne collocato a riposo con il grado onorifico di primo presidente di Corte di cassazione.
Morì tragicamente l'11 giugno 1895, travolto da un'alluvione, presso Nocera.
Fonti e Bibl.: Cospicuo materiale ined. sull'azione politica e sulla personalità culturale del C. è custodito nel Fondo Capone della Bibl. provinciale di Avellino. Si veda inoltre F. Scandone, L'alta valle del Calore, IV, Montella contemporanea, Napoli 1953 (opera condotta preminentemente sulla base dei documenti dell'Arch. Capone e quindi ricchissima di notizie sulla famiglia in genere e su Scipione e Filippo in particolare); G. Zigarelli, Storia civile della città di Avellino, 1889, p. 271 (breve profilo biografico del C. intendente di Avellino tracciato da uno storico di parte borbonica); V. Cannaviello, La cacciata dei Bavaresi da Avellino il 22-23 luglio 1860, Avellino 1929 (in appendice è riportato il rapporto dell'intendente C. al ministro dell'Interno); S. Pescatori, F.De Sanctis e F. C. - Lettere da Torino (1835-55), in Studi e ricordi Desanctisiani, Avellino 1935, pp. 311-323; M. Sarro, La Biblioteca provinciale - Tradizioni culturali in Irpinia, s. d. [ma 1965], pp. 11-13.