Vedi FIGALIA dell'anno: 1960 - 1994
FIGALIA (Φιγαλία, Φιγάλεια, Φιγαλέα; Phigalia)
Antica città greca nella zona O dell'Arcadia, situata al di sopra di una terrazza montuosa a picco su una valle incassata ove scorre il fiume Neda.
In origine posto avanzato del mercato arcadico con i porti dell'Elide; occupata nel 659 dagli Spartani, fu poco dopo riconquistata dai Figalesi con l'aiuto degli Orestasi e con la protezione di Apollo (Paus., viii, 39, 4); tuttavia dalla metà del VI sec. sino alla liberazione dell'Arcadia per opera di Epaminonda (370 a. C.) fece parte della lega spartana. Nella seconda metà del III sec. fu occupata dagli Etoli e nel 219 cadde in potere di Filippo di Macedonia, e partecipò poi - fino alla presa di Corinto (146 a. C.) - alla lega achea. Nel II sec. d. C. apparteneva alla provincia romana di Acaia.
Si conservano tratti della cinta muraria che segue i bordi scoscesi dell'altipiano chiudendo in un perimetro di km 4 e mezzo un territorio maggiore di quello occupato originariamente dalla città greca; queste mura, di struttura varia - cioè in apparato poligonale e isodomico, con torri rotonde e quadrate - appaiono eseguite in epoche differenti, dal V-IV sec. ad età ellenistica.
Al di fuori delle mura sono varî resti architettonici, da identificarsi probabilmente con i templi di Artemide Sotèir e di Dioniso Akratophòros, menzionati da Pausania (viii, 39, 6). Ad O della città era la necropoli, mentre nella zona a S-E si conserva una fontana del IV-III sec. a. C. con portico.
Tempio di Bassae. - Nella regione di F., sulla cresta di un monte, ad oltre 1000 m, sorge il tempio detto oggi di Bassae dal nome dell'abitato moderno. Dopo l'accenno di Pausania (viii, 41, 7) che lo esalta per la sua bellezza, data e dalla pietra e ἁρμονία, non si ha più menzione del tempio, sino al 1765, quando per caso fu scoperto dall'architetto francese Bocher, del quale rimangono solo alcuni disegni tuttora inediti, depositati al Victoria and Albert Museum di Londra. Nel 1811 è visitato in forma privata dal Cockerell e dallo Haller von Hallerstein, ma solo l'anno seguente avviene una spedizione regolare composta da Stackelberg e H. v. Hallerstein, ma dalla quale è assente il Cockerell. In seguito a questa spedizione avvenne l'invio al British Museum delle lastre del fregio. Seguono nel 1814 e '17 visite dell'architetto Allason; nel 1825 si constata ufficialmente la scomparsa dell'unico capitello corinzio, già segnalata nel '19 dal Donaldson. Seguono dal 1902 al 1908 regolari e sistematici scavi da parte della Società Archeologica Greca, con la ricostruzione dei muri e del colonnato interno.
Secondo Pausania (viii, 41, 8) fu dedicato ad Apollo Epikoùrios dai Figalesi a seguito di una pestilenza, e fu costruito dall'architetto Iktinos (v.). Non potendo trattarsi - per ragioni stilistiche basate sulla decorazione scultorea - della famosa peste del 430-29, si pensò quasi concordemente che l'accenno del Periegeta riguardasse una pestilenza meno grave, avvenuta un decennio dopo. Ma dopo una rigorosa revisione del Dinsmoor della parte architettonica, è da ritenersi che il tempio fu iniziato intorno al 450 da Iktinos (v.), indi sospeso per la chiamata ad Atene dell'architetto, e ripreso poi all'incirca verso il 425, forse sotto la direzione di Kallimachos, almeno per la decorazione. Insostenibili sono altre ipotesi che datano il tempio all'inizio del IV sec. (Curtius), o attribuiscono la costruzione ad un architetto locale. Il tempio di Bassae appare nell'elenco del Dinsmoor tra gli edifici che non furono mai completamente finiti.
Il tempio è un periptero dorico allungato (m 14,47 × 38,4) con 6 colonne sulla fronte e 15 sui lati lunghi. L'edificio è in calcare locale grigiastro; è stato usato il marmo (di Dolianà?) per le decorazioni (capitelli dell'interno, sime, ecc.). Il tempio è orientato N-S e si compone di un pronao, una cella, un adytum (probabilmente derivato dal tempio di Apollo a Delfi) e un opistodomo. È stato detto che l'adytum - che presenta una porta aperta sul lato orientale del tempio - volutamente conservi il ricordo di un più antico e più piccolo tempio sottostante orientato normalmente. Invero un tempio più antico è stato rinvenuto, ma sotto la cella dell'attuale, e anch'esso in direzione N-S. I capitelli dorici della peristasi sono in calcare, e presentano la particolarità di avere incisi i triplici anelletti non sotto il capitello stesso, ma direttamente sul fusto della colonna. Questa caratteristica, insieme a quella dello spazio ristretto tra le colonne dei fianchi, farebbero propendere per una datazione piuttosto alta; ma contemporaneamente sono presenti accorgimenti di estrema raffinatezza (come il modo di congiunzione dei gradini dello stilobate) di epoca apparentemente più recente. Sono assenti del tutto le curvature orizzontali; è attestata invece l'èntasis nelle colonne.
Nell'interno, alle pareti della cella si appoggiano - mediante muretti - due file di cinque colonne (poste in corrispondenza degli intercolumnî della peristasi) che determinano delle nicchie, seguendo all'incirca lo schema dell'Heraion di Olimpia. L'ultima colonna per parte aderisce alla parete mediante un muretto posto diagonalmente, e, insieme a una colonna isolata nel mezzo, determina una linea (probabilmente gli spazi tra le tre colonne venivano chiusi mediante cortine) di separazione tra la cella e l'adytum. Le otto prime colonne presentano capitello ionico, di insolita fattura, determinata da ragioni di visibilità; le ultime due, per tre quarti, corinzio; quella isolata, corinzio intero, ed è uno dei più antichi esempî (il più antico dopo il pilastro di Megara Iblea). Tutte le colonne sono fornite di una base larghissima - il loro diametro è quasi il doppio del diametro del fusto della colonna - e complicata, il cui ufficio è probabilmente di nascondere il muretto a cui si appoggiano. Il pavimento nella parte centrale della cella è più basso e suggerisce l'impressione che la base delle colonne sia posta su uno stilobate. Circa il materiale, per tutti i capitelli è stato usato marmo (un capitello ionico in calcare è stato trovato nelle immediate vicinanze del tempio, probabilmente testimonianza di un più antico progetto poi abbandonato). Le colonne portavano una trabeazione ionica consistente in un architrave del tipo più antico (cioè liscio, senza fasce) e di un fregio figurato (v. più avanti). Riguardo alla copertura, parrebbe che la cella non fosse ipetrale, ma presentasse - come anche l'adytum - un soffitto piatto, di legno, senza opaion (che compare nel disegno ricostruttivo dei Cockerell); pronao e opistodomo invece erano provvisti di una copertura in marmo. Delle tegole di marmo, di dimensioni normali, un buon numero presentano una piccola apertura al centro, per illuminazione e aereazione dello spazio tra il soffitto e il tetto.
Il tempio, in ciò seguendo l'uso dei templi peloponnesiaci, presentava una serie di metope lisce sulla peristasi mentre, in corrispondenza del pronao e opistodomo, aveva una serie di sei metope decorate. Di queste non si possiedono che alcuni frammenti (rinvenuti in situ, e attualmente al British Museum) di soggetto incerto: vi appaiono un citarista in costume tracio, un Apollo citaredo e forse la figura di Dafne. In situ fu trovato anche un lungo fregio (ora al British Museum) che si compone di una centauromachia (11 lastre; posta a N e O) e di una amazzonomachia (12 lastre di lunghezza maggiore, sui lati E e 5). Il fregio girava internamente sui quattro lati della cella. Si può osservare come il fregio sia stato montato quando era completamente finito. La datazione stilistica del fregio si pone tra il 425 e il 420 a. C. Esso rappresenta un momento originale nell'ambito della scultura postlidiaca per drammaticità di composizione, colorismo plastico e ricchezza di novità iconografiche, nonché per una decisa assunzione di elementi spaziali di derivazione pittorica. Ad esso dedicò un saggio, ancor oggi stimolante, il Goethe nel 1811.
La Kenner vi riconosce ben nove maestri; il Carpenter quattro o forse più mani; il Picard vedrebbe piuttosto due équipes di lavoranti sotto gli ordini di uno stesso maestro, per il quale è stato fatto il nome di Paionios (v.) e, più recentemente, di Kallimachos (v.). È interessante ricordare come nel museo di Patrasso esistano tre lastre in calcare, copie di epoca romana di tre lastre del fregio con amazzonomachia. I frontoni erano stati preparati per ricevere una decorazione plastica, come indica la disposizione del muro di fondo, composto non da lastre verticali - come si era creduto in un primo tempo - bensì da sei assise orizzontali di blocchi di cui l'inferiore adattata in modo da ricevere un plinto o un supporto per statue. Il Dinsmoor pensa che sia avvenuta una spogliazione delle sculture esterne del tempio in epoca romana, e - sviluppando un'antica idea del Furtwängler - propone di considerare tre statue di Niobidi provenienti dagli Horti Sallustiani (la Niobide ferita del Museo Naz. Romano; la Niobide ferita e il Niobide giacente di Copenaghen, Ny Carlsberg) come parti originarie del frontone S (nel frontone N invece, opposta a questa scena piuttosto concitata, proporrebbe una scena di contenuto calmo, ad esempio una natività divina). Non mancano però differenze notevoli fra le tre statue, specie tra il pezzo a Roma e la coppia di Copenaghen. Il Dinsmoor proporrebbe lo stesso autore del fregio: Kallimachos.
Quattro dei sei acroteri sono stati ipoteticamente identificati: come acroteri laterali del lato N (Picard) una statua del Louvre - ritenuta dal Johnson appartenente al frontone S - ed una della Collezione R. de Béarm, entrambe di provenienza romana; come acroterio centrale del lato S la cosiddetta Aura del Palatino (Curtius e altri); come acroterio centrale del lato N (da ultimo Paribeni) l'originale della copia, anch'essa di probabile provenienza romana, già nel commercio antiquario.
Pausania (viii, 30,3 e 41,9) ricorda un Apollo di bronzo, alto 12 piedi, originariamente nel tempio di Bassae, portato poi nel 369 dai Figalesi a Megalopoli e sostituito con un altro di legno o marmo. Frammenti delle estremità di un acrolito sono stati rinvenuti durante gli scavi del 1812 (ora al British Museum). Incerta la posizione di questa statua di culto: probabilmente non doveva essere nell'adytum (cfr. invece Cockerell), ma, secondo l'uso, nel fondo della cella.
Sotto ed accanto all'angolo N-O del tempio di Apollo sono state ritrovate tracce di un tempio più antico, di dimensioni minori, senza peristasi; ad esso appartiene il materiale fittile trovato in una palude presso il tempio più tardo e databile dalla fine del VII alla metà del VI sec.: si tratta di due dischi acroteriali di tipo laconico con influssi ionici e antefisse semicircolari ornate in bassorilievo con due sfingi affrontate. Nella colmata su cui sorge il tempio si rinvennero numerosi frammenti di vasi protocorinzi, corinzi e laconici, e piccoli bronzi votivi da cui appare che Apollo Epikoùrios aveva gli attributi di un dio guerriero.
Nei dintorni, a Monte Cotilio, sono due piccoli tempietti di pietre scheggiate tenute insieme mediante argilla, apparentemente databili al VI sec.: essi presentano una cella preceduta da un vestibolo; nella cella sono ancor visibili le tracce della base della statua di culto. Nel tempietto più a N (m 5,74 × 9,25) si è rinvenuto un gran numero di terrecotte e specchi con rappresentazioni di Afrodite: sicura quindi è l'identificazione col tempio della dea ricordato da Pausania (viii, 41, 10); l'altro tempietto (m 6,47 × 15, 43) si è riferito ad Artemide in base al rinvenimento nelle adiacenze di una lamina bronzea che raffigura la dea secondo una tipologia che si riscontra anche su monete e di un'iscrizione del IV sec. a. C. dalla quale viene attestato il culto della dea sul Cotilio.
Nei pressi di F. sul monte Elaio, nella località detta attualmente "Bocca della Vergine", era la grotta ove si onorava l'antichissimo simulacro di Demetra Mèlaina a testa di cavallo. Pausania (viii, 42, 1 ss.) menziona l'ultimo simulacro, della fine del VI sec. dovuto ad Onatas, scultore della scuola eginetica.
A Pavlitza, presso F., è stato rinvenuto agli inizi del secolo un koùros, ora al museo di Olimpia. L'identificazione proposta dallo Hyde con la statua del pancratiasta Arrhachion, vincitore nelle Olimpiadi liia e liva (572 e 564 a. C.), che Pausania (viii 40, 1) ricorda nella piazza di F., è impossibile, giacché il koùros non può essere datato più recentemente della fine del VII secolo. Al di sotto del collo è incisa un iscrizione senza significato, ora quasi illeggibile, la cui autenticità è stata posta in dubbio.
Bibl.: D. Levi, Enc. It., XV, 1932, p. 243 ss., s. v.; E. Meyer, in Pauly-Wissowa, XIX, 1938, c. 2065 ss., s. v. Phigaleia; id., Suppl. VII, 1940, c. 1030 ss. (mura); R. L. Scranton, Greek Walls, Cambridge 1941, p. 109, 164 e 176 (fontana); A. C. Orlandos, in Deltion, 1927-8, p. 1 ss.; id., in Amer. Journal Arch., XXXVIII, 1934, p. 157 ss. (tempio di Apollo); O. Stackelberg, Der Apollotempel zu Bassae, Roma 1826; R. Donaldson, Suppl. Antiquities of Athens (Stuart-Revett), 1830; A. Blouet e altri, Expédition scientifique de Morée, I-III, Parigi 1831-1838; Ch. R. Cockerell, The Temple of Apollo Epichurios at Bassae, Parigi 1860; P. Kavvadias, in Congrès Int. d'Arch., Atene 1905; K. Kourouniotis, in Arch. Ephem., 1903, p. 151 ss., e 1910, p. 271 ss.; E. Michon, in Revue Ét. Gr., XXV, 1912, p. 158; W. B. Dinsmoor, in Metr. Mus. Studies, IV, 1933, p. 204 ss.; K. A. Rhomaios, in Arch. Ephem., 1939, p. 1 ss.; W. Hahland, in Jahrbuch, LXIII-LXIV, 1948-9, p. 148 ss.; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950, pp. 47, 151, nota 3; 154 ss.; 166; 170; 178; H. Riemann, Iktinos und der Tempel von Bassai, in Festschrift für Friedrich Zucker zum 70. Geburtstage, Berlino 1954, pp. 299-339; A. W. Lawrence, Greek Architecture, Baltimora 1957, p. 177 ss. e 191 ss. Capitello corinzio nel tempio di Apollo: J. Durm, in Oesterr. Jahreshefte, IX, 1906, p. 287 ss.; K. A. Rhomaios, in Arch. Ephem., 1914, p. 57 ss.; M. Gütschow, in Jahrbuch, XXXVI, 1921, p. 44 ss.; W. B. Dinsmoor, in Metr. Mus. Studies, IV, 1933, p. 204; A. Wotschitzky, in Oesterr. Jahreshefte, XXXVII, 1948, p. 53 ss.; XXXVIII, 1950, p. 110 ss.; G. Roux, in Bull. Corr. Hell., LXXVII, 1953, p. 124 ss. Metope: Ch. Picard, Manuel, II, Parigi 1939, p. 814 ss. con bibl. precedente; G. Lippold, Handbuch, III (i), Monaco 1950, p. 201, con bibl. Fregio: A. C. Orlandos, in Deltion, 1923, p. 42 ss.; L. Curtius, Antike Kunst, II (i), p. 228 ss.; Ch. Picard, op. cit., p. 802 ss., con bibl.; H. Kenner, Der Fries des Tempels von Bassae-Phigaliae, Vienna 1946; G. Lippold, Handbuch, III (i), Monaco 1950, p. 201 con bibl.; W. B. Dinsmoor, in Amer. Journ. Arch., LX, 1956, p. 401 ss.; Ch. Hofkes-Brukker, in Bull. Ant. Beschaving, XXXIV, 1959, p. i ss. Sulla recente ricomposizione di alcune lastre del fregio: Bull. Corr. Hell., LXXXIII, 1959, p. 620 ss. Frontoni e acroterî: W. Kraiker, in Röm. Mitt., LI, 1935, p. 125 ss.; W. B. Dinsmoor, in Amer. Journal Arch., XLIII, 1939, p. 27 ss.; XLVII, 1943, p. 19; L. Curtius, in Brunn-Bruckmann, Denkmaler, tav. 766-767; R. Carpenter, in Mem. Amer. Ac. in Rome, XVIII, 1941, p. 82; F. P. Johnson, in Amer. Journal Arch., XLVII, 1943, p. 15 ss.; Ch. Picard, in Monuments Piot, XXXIX, 1943, p. 49 ss.; E. Lapalus, Le fronton sculpté en Grèce, Parigi 1947, p. 199 ss.; E. Paribeni, Sculture gr. del V sec. (Cat. Mus. Naz. Rom.), Roma 1953, n. 4 e 5. Copie del fregio: F. v. Duhn, in Ath. Mitt., III, 1878, p. 68; L. Gurlitt, in Ath. Mitt., V, 1880, p. 364 ss., t. XV, W. Fuchs, Die Vorbilder der Neuattischen Reliefs, Berlino 1959, p. 135. Demetra Melaina: E. Homann-Wedeking, in Röm. Mitt., LV, 1940. Koùros: K. L. Kourouniotis, in Arch. Ephem., 1910, p. 271 ss.; W. W. Hyde, in Amer. Journal Arch., XVIII, 1914, p. 156 ss.; E. Langlotz, Frühgr. Bildhauersch., Francoforte S. M. 1927, p. 43 e 179; Ch. Picard, Manuel, cit., p. 501 con bibl. completa; L. Budde, Die attischen Kouroi, Würzburg, 1939, p. 54; E. Buschor, Frühgr. Jünglinge, Monaco 1950, p. 12, f. 9; G. Lippold, op. cit., p. 29 e nota 12 con bibliografia.