fiero (fero)
Il valore fondamentale di " feroce ", " crudele " è presente quando l'aggettivo è riferito ad animale: a Gerione, fiero animale (If XVII 80; cfr. al v. 1 la fiera con la coda aguzza); ai lupi, tra le cui brame sta un agnello igualmente temendo (Pd IV 5). Ugualmente l'Arno è detto fiero fiume (Pg XIV 60), perché l'aggettivo è posto in relazione ai lupi, i Fiorentini, tra cui scorre; e ugualmente il pasto del conte Ugolino è fiero perché " bestiale ", " da fiera " (If XXXIII 1).
È detto di un demonio di Malebolge, ne l'aspetto fero (If XXI 31), e di uno dei giganti che circondano il pozzo, il cui fondo costituisce il nono cerchio (XXXI 84); ugualmente fiera è detta la compagnia dei dieci demoni (XXII 14). Dai demoni poi l'attributo è anche esteso ai luoghi infernali: ai vallon feri (If XXIII 135), alla gola fiera, cioè alla bolgia dei ladri (XXIV 123).
L'aggettivo è riferito a persona, cioè al tiranno Dïonisio... / che fé Cicilia aver dolorosi anni (If XII 107). In Fiore è detto di usorieri, / siniscalchi e prevosti... argogliosi molto e fieri (CXVIII 4); dello Schifo fiero e coraggioso (CCVII 3); della Ricchezza crudel e fera (LXXVII 4); della Fortuna che si mostra avversa e ingiusta (XXXV 8 e Rime CVI 90). Talvolta l'aggettivo è riferito a una sola parte del corpo, " orribile a vedersi ", in cui sembra che si manifesti tutta la ferocia di un personaggio: così alla bocca di Nembrot, terribile per la sua smisuratezza (If XXXI 68; si veda la gran bocca di Chirone in XII 79); e alle tempie delle Furie, che serpentelli e ceraste avien per crine (IX 41). Invece in Pg VI 14 l'aggettivo, che vale " feroci ", per ipallage è riferito alle braccia, invece che a Ghino di Tacco, che uccise e decapitò in tribunale a Roma Benincasa da Laterina, per vendicare due suoi congiunti da lui condannati. E " crudele ", " maligna " è la lingua di Malabocca (Fiore CXXXIX 7).
Con la connotazione di " altero ", " altezzoso ", l'aggettivo si trova spesso in endiadi con sinonimi: è riferito ad Aman dispettoso e fero (Pg XVII 26), alla fera donna che sente amor negli occhi sui (Rime LXXX 23; ugualmente in CXVI 32) e assume un atteggiamento orgoglioso e sdegnoso verso chi la guarda. Così in Cv III Amor che ne la mente 76 (ripetuto in IX 4 e XV 19 [due volte]) Canzone, e' par che tu parli contraro / al dir d'una sorella che tu hai; / che questa donna che tanto umil fai / ella la chiama fera e disdegnosa, e III IX 1. Richiama quest'immagine l'espressione li atti disdegnosi e feri che D. attribuisce alla sua donna, allegoria della filosofia, in Cv IV Le dolci rime 5 (ripetuto in II 4). Si veda anche Cv III Amor che ne la mente 85 mi par fero / quantunqu'io veggio là 'v'ella mi senta, X 2 e 3. In Fiore è attributo di messaggere che non sono orgogliose né fiere (XV 4), di Gelosia fier'e gagliarda (XXIII 5), di Venere crucciosa per sembianti molto, e fiera (CCXXIII 2) e della cera di Costretta-Astinenza (CXXIX 5). L'aggettivo assume valore spregiativo in if XVI 45, nelle parole di Iacopo Rusticucci che accusa la fiera moglie di essere causa del suo peccato: esso può valere " scontrosa ", " aspra ", " dura di carattere ", oppure, come spiegano altri commentatori, anche tra gli antichi, " ritrosa, restia ai rapporti coniugali ", tanto che il marito, da tutti gl'interpreti presentato come un giovane onorato e stimato, finì col separarsi da lei per darsi al vizio di omosessualità (si veda l'interpretazione di benvenuto che parla di ‛ uxor prava ' e riferisce un movimentato episodio di lite coniugale; per una diversa interpretazione del termine e del passo si veda Pézard, ad l.).
In Rime LIX 9 elli m'è giunto fero ne la mente, il termine è riferito ad Amore che " baldanzoso " altrui martira e ancide sant'ira (vv. 4 e 5); così gli occhi della donna sono fiero lume / che sfolgorando fa via a la morte (CXVI 65).