Fialte
Efialte (ma D. usa la forma corrente al suo tempo, Fialte), nato a un parto con Oto, fu figlio di Nettuno e Ifimedia moglie del titano Aloeo. I due fratelli (noti col nome patronimico di Aloidi) in breve volger di mesi raggiunsero una statura prodigiosa. La forza straordinaria dei due giganti riuscì vincitrice dello stesso Marte, che da Efialte e da Oto fu preso, incatenato, e tenuto prigioniero per tredici mesi in un vaso di ferro, finché il dio non fu liberato da Mercurio a ciò incaricato da Giove.
Per volere dell'empio Aloeo (cfr. Phars. VI 410-412) parteciparono alla gigantomachia (v. GIGANTI): ed Efialte, aiutato dal fratello, sovrappose il monte Ossa al Pelio per dare la scalata al cielo; entrambi furono perciò colpiti dalle folgori di Giove. Virgilio li pone dunque nel Tartaro, assieme ai titani: " Hic et Aloidas geminos immania vidi / corpora, qui manibus magnum rescindere caelum / adgressi superisque Iovem detrudere regnis " (Aen. VI 582-584).
Benché la tradizione poetica nomini sempre insieme i due fratelli, che furono uniti nelle loro imprese come nella punizione, D. cita solo il più famoso, appunto Efialte, che egli colloca nel pozzo con gli altri giganti (If XXXI 83-111). Efialte è ancor più grande e di aspetto anche più feroce di Nembrot, ed è legato (cfr. Phars. VI 665) con il braccio sinistro sul petto e il destro sul tergo, e la catena gli cinge il corpo tanto fittamente che, dal collo e per la sola parte che appare fuori dal pozzo, fa ben cinque giri. Pur così ridotto all'impotenza in punizione di aver osato misurarsi con la somma divinità (le braccia ch'el menò, già mai non move), ha verso D. e Virgilio un moto repentino di ribelle minaccia (Non fu tremoto già tanto rubesto, / che scotesse una torre così forte, / come Fïalte a scuotersi fu presto, vv. 106-108), che incute a D. paura più che la morte stessa, ma che in realtà vale solo a denunciare come il gigante sia dominato dalla rabbia e dall'ira.
A tanta potenza fisica corrisponde dunque un'impotenza totale: è questo che D. ha voluto soprattutto sottolineare in questa figura così grossolanamente bruta. La stessa indeterminatezza sull'artefice dell'incatenamento di tale gigante (A cigner lui qual che fosse 'l maestro, / non so io dir, vv. 85-86) sta non solo a rilevare la statura prodigiosa di Efialte e la fittezza dei giri di catena, ma indirettamente a esaltare la potenza divina contro cui nessuno può.