FESTONE (dal lat. festus "festivo")
Ornamento formato di rami riuniti e legati con nastri, in cui s'inserivano anche fiori e frutti, che si appendeva alle are e, in occasione di feste o cerimonie, alle colonne e alle pareti di edifici pubblici e privati.
Il f. cominciò a essere tradotto in motivo decorativo in Grecia, dove comparve. nel sec. III a. C. scolpito su sarcofagi e are circolari. Acquistò presto una tale voga, anche come ornamento architettonico (portico di Atena Poliàs a Pergamo), che si poté parlare di una "ghirlandomania alessandrina". Passato nella decorazione dipinta dell'arte etrusca tarda (tomba dipinta alle Tassinaie presso Chiusi; olle cinerarie dipinte), e poi nell'arte romana, fu adoperato dapprima specialmente nelle architetture (tempio detto della Sibilla a Tivoli, sepolcro di Bibulo a Roma) e poi, durante tutto l'Impero, anche su vasi, are, sarcofagi, ecc., con forme che seguirono l'evolversi della scultura decorativa.
Nella decorazione degli interni si hanno f. in mosaico, in stucco, in pittura.
Tra i f. in pittura vanno segnalati quelli della Casa detta di Livia, sul Palatino, che ricordano assai da vicino quelli scolpiti nell'interno dell'Ara Pacis (v.).
Sostegno tipico del f. era il bucranio (v.), che comparve alla stessa epoca, ma che era sostituito spesso da candelabri, maschere comiche e tragiche, amorini, Vittorie. Le curve del f. racchiudevano sovente altri elementi decorativi o anche figure. Il fogliame era per lo più di alloro e di quercia; ad esso si unirono spesso fiori e frutti, nel qual caso il f. si chiamò encarpo (dal gr. καρπός "frutto"). Potevano farne parte anche oggetti, come maschere, strumenti musicali o altro.
Bibl.: H. Dragendorff, Altar aus dem Dionysostheater in Athen, in Stephaniskos-Ernst Fabricius zum VI. IX. MDCCCCXXVII, Friburgo 1927, p. 16; G. Rodenwaldt, Der Sarkophag Caffarelli, in 83. Winckelmannsprogramm, Berlino 1925, p. 10 ss.; W. Altmann, Architektur und Ornamentik der antiken Sarkophage, Berlino 1902, p. 58 ss.; id., Die Römischen Grabaltäre der Kaiserzeit, Berlino 1905, p. 59 ss.