FERMO (A. T., 24-25-26)
Città delle Marche, in provincia di Ascoli, sede arcivescovile; è sita al centro di un vasto territorio di colli coronati di paesi e degradanti all'Adriatico, tra Chienti e Aso - la "Fermana" -, cui impresse un suo carattere. La città è disposta sul contrafforte tra le valli del Tenna e dell'Ete Vivo, attorno a un arduo colle, sul cui fastigio (319 m.), spianato e alberato - il Girone o Girfalco -, si erge solitario il duomo, con una torre alta 363 m. s. m., mentre l'antico e fitto caseggiato scende rapido a oriente alla quota di m. 210 di Porta S. Caterina. Da quel fastigio, che dista appena 7 km. in linea d'aria dal mare, si gode un vastissimo panorama dell'Adriatico e della larga ondulazione subappenninica picena fino alla catena dei Sibillini e ai monti di Abruzzo. Al piede sud del Girone è ricavato il piano della caratteristica "Piazza", che ha nell'estremo E. il Palazzo Civico. Fermo ha un'antica (1511-1688) e ricca biblioteca comunale con Pinacoteca, poi scuole classiche, professionali, un'antica Accademia Agraria (1848), un osservatorio meteorologico (m. 280); va infine famosa per il R. Istituto Industriale Nazionale, fondato nel 1854 con il lascito Montani. Nel campo della beneficenza e previdenza sociale ha istituti antichissimi: un brefotrofio (1341), un ospedale civile (1470), un Monte di Pietà (1552), monti frumentarî, orfanotrofî, un ospizio dei vecchi, il manicomio provinciale (1854).
Il territorio del comune (quote estreme, m. 0-319) è vasto kmq. 124,68; il suolo agrario (ha. 11.512) è fertile, intensivamente coltivato a grano, granturco, viti, ulivi, foraggi, alberi da frutta e ortaggi; notevoli sono l'allevamento del bestiame, la bachicoltura, l'apicoltura, la produzione di vini e d'olio. Nell'industria si notano filande, cotonificio, una celebre fonderia di bronzi (campane). La popolazione del comune era di 18.726 ab. nel 1881, saliva a 20.542 nel 1901, a 23.304 nel 1921 (dei quali 7818 nella città capoluogo, gli altri nei paesetti di Capodarco e Torre di Palme o nelle case sparse), a 24.719 (di cui 10.646 agglomerati e 14.073 nelle case sparse) nel 1931 (dati provvisorî). La ferrovia del Tenna congiunge la città alla grande linea litoranea adriatica (stazione di Porto San Giorgio). La marina di Porto San Giorgio, il "Castrum Firmanum", è comune a sé (v.).
Monumenti. - Del periodo romano van ricordati il teatro, forse dell'età di Augusto, e una piscina epuratoria (41-68 d. C.). Un sarcofago del sec. III in duomo rievoca i primi secoli cristiani. Considerevoli sono i monumenti romanici superstiti: la chiesa di S. Zenone con portale figurato (1186) e quella di S. Pietro (1251). Il gotico vi si afferma con la facciata del duomo, superstite dell'organismo primitivo dovuto a Giorgio da Como (1227), con S. Francesco, S. Agostino, le tarde bifore del palazzo Fogliani, oltre all'importante recinto murato che ha anche elementi romanici. In duomo è il monumento funerario a Giovanni Visconti di Oleggio, che fu signore della città, e una icona bizantina, che risalgono al sec. XIV; nella Pinacoteca civica un polittico di Andrea da Bologna e una Madonna di F. Ghissi. Per il Rinascimento si può citare il palazzo Azzolino e il cortile del palazzo Vitali Rosati, ambedue del sec. XVI; dipinti di Antonio da Solario in S. Maria del Carmine, di Vittore Crivelli in S. Lucia, di un anonimo, creduto a torto Giovanni di Paolo, nella chiesa dell'Angelo Custode, di un primitivo veneziano nella Pinacoteca; un mirabile arazzo fiammingo in municipio; un messale miniato di Ugolino da Milano in duomo. Il barocco è rappresentato soprattutto dalla pittura: G.B. Gaulli in S. Maria del Carmine, il Brandi in S. Michele Arcangelo, Rubens e Lanfranco in S. Filippo.
Storia. - L'antico Firmum Picenum (da distinguersi, per l'appellativo, da Firmum Jalium e Firma Augusta della Spagna) fu città collegata col Castellum Firmanum o Firmanorum, oggi Porto S. Giorgio. Costituita dai Romani, per la sua fortezza naturale, caposaldo contro Ausculum, centro principale dei Picenti, fu colonia latina nel 264 con diritto, per poco, di moneta e confermò il suo nome con la sua fedeltà a Roma nella seconda guerra punica e nella guerra sociale. Fu poi municipio inscritto nella Velina, la tribù del Piceno (con centro murato, di cui sussistono avanzi), ebbe limiti compresi fra il Tenna e l'Aso, di 450 kmq., compreso il Castellum. Dopo la morte di Cesare, favorì i tirannicidi e per questo poi i triumviri vi dedussero una colonia di veterani. Centro itinerario, ebbe comunicazioni con Castellum (5 miglia), con Falerio (15 miglia), con Salvia (18 miglia), con Ausculum (24 miglia), con Pausulae.
Alla caduta dell'impero d'Occidente fece parte del regno di Odoacre. Conquistata da Totila (545), si liberò presto dai Goti e appartenne all'impero d'Oriente (553-570), poi con varia vicenda a questo e ai Longobardi. Cacciati i Longobardi dai Franchi, fu compresa nella donazione di Pipino alla Chiesa, confermata da Carlomagno (774) e da quest'epoca, pare, avesse origine la marchia firmana (v. appresso). Contesa fra i duchi di Spoleto e gl'imperatori franchi, che l'arricchirono di privilegi fra cui notevole lo studio per l'intero ducato spoletano (825), rimase quasi sempre nominalmente soggetta alla Chiesa e appartenne al partito guelfo per cui ebbe a subire un assedio e venne saccheggiata e incendiata dalle truppe di Federico Barbarossa (1176), in cui potere restò fino al 1185. Intanto si era costituita a comune dipendente dalla Chiesa o dall'Impero a seconda del prevalere dei partiti locali; e così nel 1211 ebbe larghi privilegi da Ottone IV. Infeudata dal papa agli Estensi nel 1214, ebbe anche per principe il proprio vescovo (1217-1233); conquistata da Federico II (1242), poi da re Manfredi (1258), rimase saltuariamente soggetta ai papi, perché travagliata da discordie intestine e da tirannie di concittadini e di stranieri: Mercenario da Monteverde (1331-1340), Gentile da Mogliano (1348-1355), Giovanni Visconti da Oleggio che la ebbe anche in vicariato dalla Chiesa (1360-1366), Rinaldo da Monteverde (1375-1379), Antonio Aceti (1395-1397), Lodovico Migliorati (1406-1428), Francesco Sforza (1433-1446), in odio al quale venne distrutta la rocca chiamata Girfalco. Tornò poi alla dipendenza dei pontefici; ma le dominazioni tiranniche non erano ancora finite e nel 1502 Liverotto Uffreducci riuscì a diventarne padrone assoluto, ma fu ucciso dal duca Valentino che gli succedette nella signoria. Lo statuto del 1507 ci dà notizia dell'ordinamento municipale: a tre consigli spettava il potere legislativo; a un podestà e al capitano di giustizia quello giudiziario; a cinque priori e a un gonfaloniere di giustizia quello amministrativo. Caduto il Borgia, la città rimase alle dipendenze dei papi fino al 1514, quando un nipote di Liverotto, Lodovico Uffreducci, tornò a impadronirsene in contrasto con i Brancadoro, uno dei quali, Bartolomeo, venne ucciso dai satelliti dell'Uffreducci a sua volta ucciso in combattimento dalle truppe papali (Grottazzolina, 1520). Le discordie intestine non cessarono per questo e Paolo III, dichiaratala ribelle, vi spedì Pier Luigi Farnese che la saccheggiò (1538) e il legato pontificio la privò della giurisdizione sullo stato dipendente. Nel 1550 i Fermani, riconciliatisi col papa, ottennero che a governare la città e lo stato fosse destinato un nipote o un parente prossimo del pontefice, che però ordinariamente non vi risiedeva ed esercitava la propria autorità a mezzo di un vice-governatore indipendente dal rettore della Marca. In tutto il tempo della soggezione diretta alla Chiesa una volta soltanto i Fermani si ribellarono: nel 1648, a cagione della carestia. Nel 1676 fu creata una speciale Congregazione Fermana per il governo della città e dello stato. Invasa dai Francesi nel 1797, li cacciò nel 1799 e fu occupata dalle truppe napoletane per il papa. Nel 1808 fece parte del regno d'Italia come capoluogo del dipartimento del Tronto, nel 1814 venne in potere di Gioacchino Murat e nel'15 dell'Austria che la restituì al papa. Brevi governi provvisorî ebbe nel'31 e nel'49; il 21 settembre '60 vi entrarono le truppe italiane.
Bibl.: Oltre gli scritti generali sulle Marche, v.: M. Catalani, Origini e antichità fermane, Fermo 1778; G. Colucci, Delle antichità fermane, in continuazione al Catalani, in Antichità picene, II, Fermo 1782; id., Del castello navale degli antichi Fermani, Macerata 1783; M. Catalani, Memorie della zecca fermana, in A. G. Zanetti, Nuova raccolta delle monete e zecche d'Italia, III, Bologna 1783; G. De Minicis, Cenni storici e numismatici di Fermo, Roma 1830; G. Porti, Tavole sinottiche di cose più notabili della città di Fermo, ecc., Fermo 1836; G. De Minicis, in Giornale arcadico, 1839; id., Eletta dei monumenti di Fermo e dei suoi dintorni, Roma 1841; G. Fracassetti, Notizie storiche della città di Fermo, Fermo 1842; R. De Minicis, Serie cronologica degli antichi signori de' podestà e rettori di Fermo dal sec. VIII all'anno 1550, ecc., Fermo 1855; V. Curi, Guida storica ed artistica della città di Fermo, Fermo 1864; Antonio di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, a cura di G. De Minicis, Firenze 1870; G. De Minicis, Cronache della città di Fermo, colla giunta di un sommario cronologico di carte fermane anteriori al sec. XIV, a cura di M. Tabarrini, Firenze 1870; G. B. Carducci, Sulle antiche romane mura di Fermo, Fermo, 1876; J. Beloch, Der italische Bund, Lipsia 1880, p. 144; V. Curi, L'università degli studi di Fermo, Ancona 1880; A. Ricci, Mem. stor. intorno alle arti e agli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1884; R. Garrucci, Monete dell'Italia antica, Roma 1885, p. 32, tav. LX, 3-5; G. Trevisani, Sulla istituzione di un museo archeologico a Fermo, Fermo 1888; F. A. Trebbi, Erezione della chiesa cattedrale di Fermo a metropolitana, Fermo 1890; F. Raffaelli, La biblioteca comunale di Fermo, Recanati 1890; E. Calvi, Tavole storiche dei comuni italiani, II: Marche, Roma 1906; G. Napoletani, Fermo nel Piceno, Roma 1907; L. Venturi, Attraverso le Marche, in L'Arte, XVIII (1915); F. Manaresi, Guida artistica della città di Fermo, Milano 1923; F. Raffaelli, Guida artistica di Fermo, Milano 1923; L. Serra, L'arte nelle Marche, Pesaro 1929; id., Le gallerie comunali delle Marche, Roma s. a.
La marca di Fermo.
Durante il regno longobardo, Fermo fu dapprima gastaldato, compreso nel ducato di Spoleto; poi, durante il regno di Desiderio, ducato, come risulta sia da un'iscrizione fermana del 770, che reca la data ".... temporibus Tusguni ducis civitatis firmanae" (Cod. diplom. long., V, n. 914), sia da un passo della Vita Hadriani, che, dopo la rotta dei Longobardi alle Chiuse, parla degli "omnes habitatores ducatus Firmani, Auximani et Anconitani" i quali "a clusis fugientes", si rivolsero a papa Adriano (Liber pontificalis, I, p. 496). Col regno Franco, Fermo fu comitato. Di un "Lupo comes de Firmo" parla infatti già un placito del 776 (Hübner, 650), tenuto dal duca di Spoleto Ildebrando; mentre un altro conte di Fermo, Rabenno, è ricordato in un atto di donazione del 787, dello stesso duca Ildebrando all'abazia di Farfa (Reg. Farf., II, 1444); atto che lo dice figlio di un altro Rabenno. Fin qui le nostre notizie sono sicure. Dubbia è invece la data dell'elevazione di Fermo a marca, sia per la scarsità dei documenti, sia per l'imprecisione della terminologia in essi adoperata. I documenti ci riparlano infatti, già nel sec. IX, della divisione del ducato di Spoleto in due distinti ducati, com'era accaduto alla fine del regno dei Longobardi (gli "ambo Spoletani ducatus" ad es. del diploma di Ludovico II al monastero di Casauria, del 1° novembre 874); ma il secondo ducato essi denominano, non più da Fermo, ma da Camerino, mme appam dal diploma di Carlomanno allo stesso monastero di Casauria, del 16 ottobre 877, dove si parla delle terre del monastero giacenti "per ducatum Spoletinum et Camerinensem". La denominazione "ducato Fermano" non s'incontra più nei diplomi che a partire dal 953 e più precisamente dal diploma di quell'anno di Berengario II e Adalberto al monastero di S. Michele di Barrea (Schiaparelli, n. 312), dove appunto la formula adoperata è la seguente: "infra ambobus ducatibus nostris Spoletino videlicet atque Firmano", formula che ritorna poi testualmente nel diploma di Ottone I allo stesso monastero in data 2 febbraio 964.
Sennonché il confronto di questi varî documenti che abbiamo ricordato, dimostra con sicurezza che questo ducato di Fermo è il medesimo che prima s'intitolava da Camerino, con la conseguenza quindi che il ducato nella sua formazione risalga al sec. IX e forse già a Carlomagno, pur essendo stato denominato in maniera diversa, per ragioni che riesce oggi impossibile di precisare. Con Ottone II si fa un passo più innanzi. Il ducato di Fermo prende nei diplomi di questo imperatore il nome di marca. Nel suo diploma infatti al monastero della Trinità, del novembre 983, è usata la formula: "... in ducatu Spoletino et marka Firmana etc.", formula che poi dura per tutto il sec. XI, così che la troviamo ad es. adoperata da papa Gregorio VII quand'egli nel 1070 scomunica i Normanni, che volevano invadere le terre di S. Pietro "videlicet marchiam Firmanam, ducatum Spoletanum etc.". Nella vita di questo pontefice, contenuta nel Liber pontificalis, troviamo anzi di più ancora, e cioè che la marca di Fermo si chiama omai semplicemente "marca", e il ducato di Spoleto semplicemente "ducato", tanto i due nomi erano entrati nell'uso, da non richiedere specificazione ulteriore (Lib. pontif., II, 289: ".... et per totam marchiam necnon per totum ducatum"). Sennonché, costituitasi alla fine del sec. XI la "marca Guarnierii" e trasformatasi nel sec. XII nella "marca di Ancona", Fermo non tardò a esserne parte. Nel sec. XIII la fusione è completa e ripetutamente affermata dai documenti: di Ottone IV, ad es., che nel 1210 concede ad Azzo VI d'Este "marchiam Anconitanam, scilicet Firmum, Camerinum, Humanam, Anchonam etc." (Antich. Est., I, 892); o di Onorio III, il quale nel 1217 concede in feudo ad Azzo VII la stessa "marcam Anconitanam, scilicet Anconam, Asculum, Humanam, Firmum, Camerinum etc." (Antich. Est., I, 424-25). La marca fermana viene in tal modo assorbita nella maggiore marca anconitana, con la quale ha da allora in poi comune la storia (v. ancona).
Bibl.: L. A. Muratori, Antiquitates intalicae medii aevi, I, Milano 1738, coll. 322-324; Fatteschi, Memorie stor.-diplom. riguardanti la serie dei duchi e la topografia dei tempi di mezzo del ducato di Spoleto, Camerino 1801; J. Ficker, Forschungen zur Reichs- u. Rechtsgesch. Italiens, Innsbruck 1864 segg., I, pp. 250-51; II, pp. 245 segg., 253-55; Hofmeister, Markgrafen u. Markgrafschaften im Ital. Königreich, in Mitth. d. österr. Geschichtsf., VII, pp. 254-55, 307-08.