FERMA
. La parola, nel senso di appalto generale delle imposte indirette, designa un'istituzione moderna, di origine francese; ma nel senso più ampio, di appalto o affitto della riscossione delle imposte a imprenditori o a società di capitalisti, è un'istituzione antichissima, diffusa presso gran parte dei popoli civili e non scomparsa del tutto nemmeno ai giorni nostri.
Dagli ultimi secoli del Medioevo in poi l'appalto di singole imposte, in particolare dazî, è soprattutto una conseguenza della politica creditizia di principi e di comuni. Come il pontefice, valendosi dei banchieri delle più ricche città italiane per il suo servizio di cassa, affida ad essi la riscossione delle decime papali nei paesi esteri, così i principi degli stati, in cui quei banchieri esercitano la loro attività di esattori e di mercanti, ricorrono ad essi per i loro bisogni di denaro, e per sdebitarsi cedono loro talvolta la riscossione dei dazî per un certo numero di anni. Nello stesso tempo (forse anche prima) i maggiori comuni italiaci, costretti a ricorrere al credito, cedono temporaneamente ai varî gruppi di creditori l'esazione di determinate imposte, con la sala differenza che in questo caso la cessione non è fatta a stranieri, ma a cittadini.
Nelle monarchie assolute la sproporzione fra le entrate ordinarie e le spese, che solo formalmente possono dirsi straordinarie, inducono la corona a tutti gli espedienti che permettano di fronteggiare i bisogni più urgenti. L'appalto delle imposte è considerato come uno dei mezzi più comodi per ottenere le necessarie anticipazioni di fondi. Mentre molti fra gli stati italiani seguitano a servirsene sempre più largamente, il sistema si diffonde in Spagna, in Inghilterra, in Olanda; e se in Germania non fu adottato dal governo imperiale, trovò larga applicazione in molte città.
Il sistema raggiunge il più completo sviluppo in Francia, dove se ne vedono già le prime manifestazioni nel sec. XIV, e dove esso assume un'estensione enormemente maggiore al tempo delle guerre europee e dello splendore della corte di Francesco I ed Enrico II, fors'anche per l'influenza esercitata dagli uomini politici e dai finanzieri fiorentini. Applicato dapprima a singoli gruppi d'imposte di ogni specie e per singole provincie, il sistema dell'affitto ai cosiddetti traitants o partisans, ancora per gran parte stranieri, finì poi col limitarsi, di preferenza, alla riscossione dei dazî e delle inposte di consumo, mentre le imposte dirette furono anministrate dallo stato in regia (per mezzo però di ufficiali che avevano comperato il loro ufficio). Al tempo di Enrico IV si manifesta la tendenza a diminuire il numero degli appalti, concentrandoli in poche mani: si raggruppa la riscossione dei dazî di una metà almeno delle provincie francesi in cinque grandi affitti (da cui il nome di provincie des cinq grosses fermes) e finalmente, nel 1661. quelle 5 compagnie furono raggruppate in una sola. Fu questo il passo decisivo verso la ferma generale, costituita dal Colbert col decr. 26 luglio 1681, per cui fu assegnata ad un solo appaltatore, assistito da 40 mallevadori per la somma complessiva di 6 milioni di lire tornesi, la riscossione delle imposte indirette in tutta la Francia, per un periodo di 6 anni, alla scadenza dei quali l'appalto veniva rimesso all'incanto.
L'istituzione della ferme générale determina la creazione della società dei fermiers généraux, che assume prestissimo una posizione di predominis nella finanza e in tutta la vita francese. Formalmente, secondo il decreto del 26 luglio 1681, i fermiers généraux non avevano alcuna parte diretta nell'appalto delle imposte indirette. Essi non erano che i mallevadori dell'appaltatore, ciascuno per una somma di 1.500.000 lire tornesi, che doveva restare depositata nelle casse dello stato per tutta la durata dell'appalto. Il loro numero fu elevato a 60 nel 1755, in modo che la cauzione complessiva fu aumentata a 10 milioni; ma l'uno e l'altra furono riportati alla misura primitiva nel 1780. L'appaltatore, scelto all'infuori della società dei mallevadori, era unico; ma in realtà esso fu sempre un semplice uomo di paglia, che si limitava a riscuotere il suo assegno mensile, senza occuparsi degli affari di cui formalmente era stato investito. Con questa finzione si permetteva di eludere la disposizione secondo la quale l'appaltatore doveva esser mutato a ogni rinnovazione dell'incanto. L'uomo di paglia veniva effettivamente mutato; ma la società seguitò sempre a essere costituita, almeno in grande maggioranza, dalle stesse persone o dai loro eredi. Si venne così a creare una potente aristocrazia dell'alta finanza, che sollevò gelosie, malumori e spesso un odio vivissimo in larghissimi strati della società. L'opposizione si manifesto specialmente verso la metà del sec. XVIII, e contro i fermiers généraux furono formulate accuse, certo esagerate, di rapina a danno dell'erario e dei contribuenti. In realtà molti dei fermieri esercitarono con onestà il loro ufficio, e il lusso che essi sfoggiavano era giustificato dal ricco patrimonio familiare, dalle indennità che loro spettavano di diritto e dagli alti interessi corrisposti loro legalmente sulle somme anticipate alla corona. Ma non è meno vero per questo che il sistema era quanto mai costoso per l'erario e vessatorio per i contribuenti. Il peso si rendeva tanto più sensibile quanto più aumentava il gettito delle imposte, e con esso la parte dei fermieri. Secondo un'informazione, indubbiamente attendibile, fornita dal Necker, il reddito lordo annuale della ferme générale negli ultimi anni che precedono la Rivoluzione era stato di 186 milioni di franchi: di questi più di 42 milioni era stato assorbito dalle spese di amministrazione e riscossione.
Si capisce quindi come si fosse acuita al massimo l'opposizione (che reclutava aderenti fra gli stessi controllori generali) contro tale sistema, ma la compagnia costituiva una vera potenza nello stato e, per di più, coi suoi doni al re, alle sue amanti, ai ministri, alle persone più influenti della corte; con le liberalità e col mecenatismo di molti dei suoi membri, era riuscita a creare attorno a sé tutta una rete d'interessi che sarebbero stati gravemente danneggiati dalla sua soppressione, resa possibile solo dalla raffica della Rivoluzione.
Non molto diversa da quella che si lamentava in Francia fu la situazione che si andò determinando in Lombardia, dopo la creazione della ferma generale. Pietro Verri, il quale, come condizione preliminare della riforma tributaria da lui propugnata, chiese la sostituzione di un'amministrazione regia alla ferma in balia di speculatori privati, ricorda gli ostacoli che gli poterono opporre quei finanzieri ostinati nella difesa dei loro interessi. Gli utili della ferma, valutati dallo stesso impresario a più di un milione all'anno, in realtà dovevano essere assai più alti. Lauti doni agli uomini di corte e alla stessa imperatrice riuscivano a crear loro un ambiente benevolo e ad annullare in gran parte l'effetto ottenuto, in un primo momento, dal memoriale e dalle parole del Verri. Solo a grande fatica egli poté ottenere un successo parziale con la ferma mista, deliberata nel 1764, in cui l'erario era interessato per un terzo; e finalmente nel 1770 ottenne dall'imperatore Giuseppe II la soppressione della ferma e l'assunzione in regia della riscossione di tutte le imposte.
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