POGGIOLI, Ferdinando Maria
POGGIOLI, Ferdinando Maria (Nando). – Nacque a Bologna il 15 dicembre 1897 da Daniele e da Cesira Adani, terzo di cinque figli: dopo Brando e Dante, prima di Linda e Paolina. Il padre fu un commerciante all’ingrosso di frutta e verdura a capo di una ditta tra le prime italiane dedita all’import-export che, dopo la sua prematura scomparsa, fu ereditata dalla moglie e dai figli Dante e Linda.
Affetto da poliomielite, Poggioli soffrì di menomazioni a un piede e alla mano destra, il che non gli impedì comunque di studiare da autodidatta il pianoforte. Precoce fu la sua vocazione per l’arte, la poesia e le recite in famiglia.
A venti anni si ritirò per un breve periodo in un convento francescano vicino ad Assisi, ma già il 3 ottobre 1918 si iscrisse alla facoltà di economia e commercio a Venezia con l’intento di compiacere la famiglia, speranzosa di vederlo impiegato nell’azienda paterna. Sostenne però solo nove esami, tra luglio e novembre del 1919, senza mai laurearsi.
Nello stesso periodo conobbe Gabriele D’Annunzio, allora residente nella città veneta, ma l’incontro, architettato dal comune amico Giovanni Comisso, ebbe per Poggioli scarsi e amari sviluppi. Quando ‘il Vate’ si ritirò a Gardone, negli anni Venti, Poggioli gli spedì una copia della pubblicazione che stava curando per la sezione bolognese dell’Unione italiana ciechi, sperando in un suo sostegno. Quale antologia di scritti anche di epoche passate sul tema della Natività – firmati, tra gli altri, da Jacopone da Todi e Riccardo Bacchelli e pensato in occasione del VII centenario della sua rappresentazione a opera di s. Francesco a Greccio –, Il Presepio non riscosse però alcun interesse da parte del destinatario, che non rispose mai.
Dopo Venezia, si spostò tra Bologna, Milano, Torino, Firenze e Ferrara e conobbe Aldo Palazzeschi, Filippo De Pisis, Giacomo Debenedetti, Sergio Amidei, Salvator Gotta e Sandro Penna.
A Roma fu arrestato la sera del 14 ottobre 1929, per schiamazzi in un locale dove era in compagnia di amici. Tradotto al commissariato, fu schedato come disoccupato senza fissa dimora e dopo sei giorni fu rilasciato.
Approdò al cinema – ora alla FERT (Fiori Enrico Roma Ticino) di Torino, ora alla Cines di Roma – come comparsa e figurante e fu indossando i panni di pirata, vescovo o moschettiere che guadagnò anche 25 lire al giorno. Con l’avvento del sonoro ebbe maggiori opportunità di lavoro. Nella nuova Cines ristrutturata da Stefano Pittaluga proprio in vista dell’arrivo del sonoro – inaugurando i nuovi stabilimenti di via Veio a Roma il 23 maggio 1930 – fu dapprima generico in Resurrectio di Alessandro Blasetti, preannunciato come il primo film sonoro italiano, poi segretario di edizione in La canzone dell’amore di Gennaro Righelli, che strappò quel primato al ‘regista con gli stivali’ e alla sua pellicola sperimentale.
Sognò di dirigere film tratti da Les enfants terribiles di Jean Cocteau e da I ragazzi della via Pal di Ferenc Molnár, che però non realizzò mai. Scrisse soggetti – tra cui Ramo d’oro e Mare – che non videro la luce, anche se del secondo alcuni brevi estratti vennero pubblicati su Cinematografo nell’ottobre del 1930.
Piuttosto lungo fu l’apprendistato tecnico che precedette il debutto alla regia. Dal 1931 al 1933 fu aiutoregista di Blasetti (Terra madre, Palio), Anton Giulio Bragaglia (Vele ammainate), Righelli (L’armata azzurra), Baldassarre Negroni (Due cuori felici), Guido Brignone (La voce lontana). Nel 1933-34 ricoprì l’incarico di direttore di doppiaggio. Dal 1934 al 1936 fu il montatore di La signora di tutti di Max Ophüls, Re burlone di Enrico Guazzoni e Lo smemorato di Righelli.
Oggetto di pettegolezzi, a causa di un’omosessualità che non nascose mai, ma che non poté esplicitamente dichiarare, finse un flirt con Isa Pola, protagonista della Canzone dell’amore, e un fidanzamento ufficiale con Jone Tuzi, sua amica-complice.
Si inserì nel programma sperimentale della Cines, per cui diresse, dal 1931 al 1933, tre documentari: Il Presepe, tratto dallo stesso opuscolo che D’Annunzio aveva ignorato; Paestum, il migliore tra questi; Impressioni siciliane, dalle immagini evocative, prive di commento in fuori campo.
Nell’estate-autunno del 1934 ottenne un visto per Bucarest, dove partecipò all’inaugurazione di uno stabilimento cinematografico equipaggiato con macchinari italiani. Una permanenza poi prolungata per promuovere l’edizione-diffusione in Romania di film italiani e di neocoproduzioni italo-romene.
Nel 1935 diresse insieme a Negroni, incaricato della direzione artistica degli attori, Arma bianca, sulla relazione sentimentale tra Giacomo Casanova e la duchessa di Parma.
Tra il 1937 e il 1939 – mentre montava La fossa degli angeli di Carlo Ludovico Bragaglia, Stasera alle 11 di Oreste Biancoli, La principessa Tarakanova di Fëdor Ozep e Mario Soldati, Los novios de la muerte di Romolo Marcellini, Diamanti di Corrado D’Errico, Piccoli naufraghi di Flavio Calzavara e Il ladro di Anton Germano Rossi – inseguì, con l’amico Luchino Visconti, il sogno di un film mai realizzato: Racconto d’agosto.
Nel giugno del 1939 iniziò le riprese del film d’esordio, Ricchezza senza domani, con Lamberto Picasso, Paola Borboni, Doris Duranti, Claudio Gora e Paolo Stoppa. Incontrò difficoltà produttive (rinunciò a girare alcune scene dal vero e le sostituì con spezzoni di Acciaio di Walter Ruttmann) ed ebbe discordanti pareri critici.
La consacrazione avvenne nel 1940 con il film Addio giovinezza, che lo affiancò ad altri registi calligrafici, quali Soldati, Renato Castellani, Luigi Chiarini e Alberto Lattuada.
Tratto dalla popolare commedia di Sandro Camasio e Nino Oxilia (già trasposta ai tempi del muto, per esempio da Augusto Genina), il film fu sceneggiato da Poggioli con Gotta e Debenedetti (non accreditato per motivi razziali). Sullo sfondo di una Torino crepuscolare d’inizio Novecento, il film racconta l’amore spensierato, ma senza futuro, anche a causa della differenza di classe, tra una sartina (Maria Denis) e uno studente in medicina (Adriano Rimoldi), il quale, dopo essere stato anche l’amante di una ricca signora (Clara Calamai), dice addio alla giovinezza e contemporaneamente ai suoi amori, per tornare dopo la laurea al paese natio.
Nel 1941 diresse L’amore canta e Sissignora. Tratto dall’omonimo romanzo di Flavia Steno, quest’ultimo vide ancora la Denis protagonista nel ruolo di una cameriera di provincia, che ingenuamente si innamora del nipote marinaio (Leonardo Cortese) delle sorelle genovesi (Emma e Irma Gramatica) presso cui presta servizio. Dopo essere stata licenziata e aver cambiato molti lavori, alla fine la ragazza muore da sola in ospedale.
Nel 1942 passò dalla commedia di ispirazione shakespeariana La bisbetica domata, con Lilia Silvi e Amedeo Nazzari, a La morte civile, tratto dal dramma di Paolo Giacometti, fino a Gelosia, soggetto tratto dal romanzo verista di Luigi Capuana Il marchese di Roccaverdina, per molti il suo capolavoro, in grado di liberarlo dal calligrafismo per rivelarne doti drammatiche, intimiste e realiste.
Sceneggiato da Amidei, Debenedetti e Vitaliano Brancati, il film narra l’insana passione di un marchese (Roldano Lupi) per una sua contadina (Luisa Ferida) che, non potendo sposare per ragioni di casta, dà in moglie a un fattore con promessa di matrimonio in bianco. Salvo poi ucciderlo in un impeto di gelosia, lasciare che dell’omicidio venga accusato un innocente e morire tra rimorsi e follia.
Nel biennio 1943-44 diresse i suoi ultimi quattro film. Il primo e l’ultimo, L’amico delle donne e Il sogno d’amore, li trasse da testi di Alexandre Dumas figlio e Alexander Kosorotov. Nel mezzo realizzò invece Le sorelle Materassi e Il cappello da prete che, ispirati agli omonimi romanzi di Aldo Palazzeschi ed Emilio De Marchi, subirono sospensioni e ritardi nell’estate del 1943. Il cappello fu tra i pochi fortunati a entrare in lavorazione a Cinecittà, mentre per Le sorelle Materassi le riprese, che ebbero inizio a dicembre del 1942, si interruppero a lungo e ricominciarono solo nel giugno del 1944. Distribuita alla fine dell’anno, la pellicola si avvalse delle sorelle Gramatica, sullo schermo le sorelle Materassi, due zitelle, titolari di un laboratorio di ricamo, le cui attenzioni sono per quell’unico nipote orfano (Massimo Serato), che non ne ricambia l’affetto, bensì ne dilapida il patrimonio.
Sempre nel 1943 venne annunciata la regia di Il mulino del Po, che Poggioli però abbandonò e che sei anni dopo Lattuada si attribuì.
Negò il consenso al Cinevillaggio veneziano ai tempi della Repubblica di Salò e nel 1944 avviò una trattativa con la Lux per due film di ispirazione letteraria, per i quali si pensò a Luigi Pirandello (Così è se vi pare, Vestire gli ignudi, L’esclusa), Gerolamo Rovetta (Romanticismo), Remigio Zena (La bocca del lupo).
Nella notte del 2 febbraio 1945, a 47 anni, morì per un’esalazione di gas in casa e per qualche tempo le ipotesi di disgrazia, suicidio oppure omicidio a scopo di rapina (circa 150.000 lire avute in anticipo dalla Lux furono ritrovate solo in un secondo momento in un libro) si avvicendarono.
Fonti e Bibl.: Cronaca di Roma, in Avanti!, 3 febbraio 1945; Il cinema italiano dal ’30 al ’40, a cura di E.C. De Miro et al., Genova 1974, pp. 15-25; Materiali sul cinema italiano 1929-1943, a cura di A. Aprà, Pesaro 1975, pp. 85-102; Cinema italiano degli anni Quaranta: tra continuità e rottura, a cura di O. Caldiron, Roma, 1978, pp. 37-66; La bella forma (catal.), a cura di E. Imparato, Pesaro 1992, pp. 45-69; La bella forma. P., i calligrafici e dintorni, a cura di A. Martini, Venezia 1992 (in partic. G. Moneti, A proposito de La morte civile e di Gelosia: dall’istanza realista all’ ‘entropia cinematografica’, pp. 59-75; M. Musumeci, Bio-filmografia di P., pp. 239-249); S. Carpiceci, P., F.M. in Enciclopedia del cinema, IV, Roma 2004, p. 463; Storia del cinema italiano, VI, 1940/1944, a cura di E.G. Laura, Venezia-Roma 2010 (in partic. A. Bernardini, Il cinema interrotto, pp. 478-487; S. Carpiceci, La stampa d’epoca e il cinema di Salò, pp. 554-565); S. Carpiceci, Le ombre cantano e parlano. Il passaggio dal muto al sonoro nel cinema italiano attraverso i periodici d’epoca (1927-1932), Roma 2012, pp. 171-186, 235-253. Un vivo ringraziamento a Mario Musumeci e al suo prezioso testo ricco di informazioni e notizie biografiche.