MALVICA, Ferdinando
Nacque a Palermo nel 1802 da Antonino - barone di Villanova in base a un privilegio concesso alla famiglia nel 1788 e consigliere della Corte suprema - e da Angela Damiani.
A diciotto anni il M. prese parte alla rivoluzione carbonara del 1820, compromettendo la posizione del padre, che lo fece partire per un viaggio di nove anni all'estero (Egitto, Candia, Francia) e in Italia, durante il quale conobbe V. Monti, I. Pindemonte, C. Botta. Rifugiatosi infine a Roma, all'inizio del 1826 vi pubblicò l'Epistola sopra il duello, in cui sostenne che "non vi ha cosa che abbia prodotto più mali alla desolata umanità quanto la rea istituzione del duello" (p. 13).
Nel 1827 vide la luce a Rieti il Discorso sulla educazione, messo all'Indice nel 1828, in cui il M. sosteneva che l'istruzione e l'educazione, non solo in Italia ma anche in Europa, avevano bisogno di una generale e profonda riforma.
Fra le idee più significative portate avanti dal M. vi era la convinzione che le madri dovessero allattare direttamente la prole, e che nell'istruzione dei fanciulli bisognasse privilegiare la lingua madre, mentre lo studio delle lingue antiche doveva essere riservato a un'età più matura. Il M. insistette inoltre sulla grande utilità della vaccinazione antivaiolosa. Dichiarandosi contrario all'uso della forza nei sistemi educativi, raccomandò ai governi di vietare "l'infame uso della sferza, della verga, della fune" (p. 65).
A Roma il M. fu segretario dell'Accademia Tiberina, e a lui scrisse una risentita e lunga lettera G.G. Belli, il 7 genn. 1828, per contestare la riunione del consiglio dell'Accademia, irregolarmente convocata per il 31 dic. 1827.
Nel 1830, tornato a Palermo, il M. vi pubblicò un volume di Iscrizioni italiane, precedute da un discorso intorno ai sepolcri ed alle epigrafi di lingua volgare, in cui affermò il primato siciliano nella formazione della lingua italiana e nell'epigrafia in volgare. Nell'occasione riscosse le lodi di Belli, ma a qualificarlo come uno degli spiriti più vivaci attivi in Sicilia fu il fatto di aver dato vita a Palermo nel 1832, insieme con un gruppo di amici (tra i quali F. Maccagnone e V. Mortillaro) a un periodico trimestrale, le Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, che si proponeva di far conoscere le condizioni economiche e sociali dell'isola.
Le Effemeridi (ne uscirono 84 fascicoli per un totale di 31 volumi ma, a partire dal 1836, finanziate e dirette dal solo M.) proclamarono un concetto "morale" e "utile" della letteratura, sulla linea di un classicismo che può essere definito illuministico, di ascendenza giordaniana e romagnosiana, ossia molto attento al tema dell'incivilimento e dello sviluppo materiale e morale. In campo economico-sociale il M. si pronunciò in favore di una riforma agraria a sostegno della piccola proprietà terriera e propose, tra l'altro, l'abolizione della tassa sul macinato, mentre criticò il libero cabotaggio delle merci tra Sicilia e Napoli e si batté per l'alleggerimento dei diritti di fondiaria che gravavano sulle piccole proprietà date in enfiteusi.
Nel 1835 il M. sposò Angela Pagano, dando fra l'altro occasione a un sonetto in lingua italiana di Belli, di intonazione e ispirazione leopardiane.
Mentre lavorava alle Effemeridi, il M. entrò in operoso contatto con G.P. Vieusseux e la sua Antologia. Le sue tendenze "antinapoletane" trovarono espressione nella Memoria sul cabotaggio tra Napoli e Sicilia, scritta nel 1836, ma pubblicata nel 1838 (Palermo) dopo l'epidemia colerica che aveva ucciso il padre e contagiato il M., il quale invece era riuscito a guarire.
Tesi della Memoria, sulla quale espresse un giudizio severissimo uno fra i maggiori intellettuali siciliani, T. Gargallo di Castel Lentini, era che la legislazione allora vigente finisse per privilegiare le merci napoletane, mentre, per rilanciare l'economia dell'isola, sarebbe stata necessaria una legislazione protezionistica.
Nel 1840 il M. - che già nel 1834 era entrato nella pubblica amministrazione come controllore del Catasto - fu nominato sottointendente di Vasto in Abruzzo, cosa che lo costrinse a chiudere le Effemeridi con l'ultimo fascicolo trimestrale del 1840. Da Vasto fu poi trasferito a Barletta per più di tre anni e quindi promosso intendente del Molise, dove rimase per altri due anni sforzandosi di contrastare gli eccessi polizieschi. L'impegno politico ritardò ma non interruppe gli studi letterari del M., come dimostra la pubblicazione di una vasta e farraginosa opera dal titolo ambizioso: Della civiltà d'Italia e della sua letteratura nel sec. XIX, in relazione allo stato civile e letterario di Europa (Bari 1845).
Il M. vi esaltava l'istituzione degli asili infantili ispirati al metodo di F. Aporti e la didattica modellata su quella di L. Pestalozzi. Contrario alla pena di morte, invocava inoltre una riforma del sistema carcerario, convinto che il periodo migliore dell'Italia e dell'Europa fosse stato quello del riformismo settecentesco e che "nella bilancia morale delle cose che vere sono ed eterne vivono, per me vale più C. Beccaria che N. Bonaparte" (p. 33).
Nella rivoluzione palermitana del gennaio 1848 il M. tenne un atteggiamento moderato e prudente, ma la tendenza a mutare rapidamente opinione e schieramento gli attirò accuse da un lato di estremismo repubblicano e dall'altro di filoborbonismo; pur ben disposto verso di lui, un contemporaneo lo avrebbe definito "forte, e sapiente letterato, malfermo di carattere" (Di Pietro, p. 258). Comunque, restaurata la monarchia borbonica, fu nominato direttore (cioè ministro) degli Interni del governo siciliano presieduto da C. Filangieri principe di Satriano e si distinse per una coraggiosa politica riformatrice, specialmente nel settore della pubblica sicurezza. Fu presto sostituito da P. Scrofani e destinato alla Consulta. Di tali vicende parlò in un'opera rimasta manoscritta, la Storia della rivoluzione di Sicilia negli anni 1848 e '49.
Tornato agli studi, pubblicò due ponderosi volumi di Consigli a mia figlia (Palermo 1856-59), raccolta di massime morali e di descrizioni scientifiche e geografiche che vertono sull'universo e l'astronomia fino alla Sicilia e alla sua storia culturale ed economica. Nel 1860, per evitare di essere arrestato perché considerato ostile all'annessione, cercò riparo a Roma, dove si segnalò presto come uno fra gli esponenti di punta del Comitato borbonico costituitosi con l'obiettivo di riportare sul trono di Napoli i sovrani deposti. Dopo aver pubblicato due opuscoli (Intorno l'Unità d'Italia nel 1860: considerazioni, s.l. né d., e Intorno una confederazione italiana possibile e duratura: ragionamento, Lugano 1863), in cui contestava la legittimità del Parlamento di Torino e caldeggiava per l'Italia appena unificata un modello federale e comunque un governo rispettoso delle "singole autonomie", ruppe per motivi personali con il Comitato borbonico e nel 1865 fu costretto a tornare a Palermo inseguito da critiche sulla facilità con cui mutava opinione. A conferma di ciò, tra il 1869 e il 1871 diede alla stampe a Firenze due volumi su I papi ed il papato (1869-71) in cui assunse posizioni liberali e anticlericali.
Dopo di allora fece perdere le sue tracce inducendo Mortillaro a scrivere: "egli è sparito né si conosce cosa siane avvenuto!" (Mortillaro, p. 37).
Fonti e Bibl.: Il manoscritto della Storia della rivoluzione siciliana del 1848 e '49 è conservato presso l'Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone, 1033, ed è descritto e riassunto da G. Fiume, Ferdinando Malvica (Appunti), in Nuovi Quaderni del Meridione, XVIII (1980), 1, pp. 79-102 (confluito nel volume di Id., Ferdinando Malvica e il dibattito politico nelle "Effemeridi", Palermo 1980, in cui alle pp. 79-145 sono riportati brani del ms. e in cui figurano alcune delle numerose lettere del M. a L. Vigo, conservate nel Carteggio Vigo presso la Biblioteca Zelantea di Acireale). La ricca corrispondenza con G.P. Vieusseux è pubblicata in M.I. Palazzolo, Vieusseux e gli intellettuali siciliani, I, Il carteggio Malvica - Vieusseux, in Memorie e rendiconti dell'Acc. di scienze lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, VIII (1978), pp. 113-192, poi utilizzata in Id., Editori, librai e intellettuali. Vieusseux e i corrispondenti siciliani, Napoli 1980; Id., Intellettuali e giornalismo nella Sicilia preunitaria, Catania 1975, ad indicem. Si vedano inoltre: A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica, I-IV, Palermo 1850-55, ad ind.; V. Mortillaro, Fatti ed accenni, continuazione delle Memorie, Palermo 1875, pp. 31-37; G. Di Pietro, Illustrazione dei più conosciuti scrittori contemporanei siciliani dal 1830 a quasi tutto il 1876, Palermo 1878, pp. 258-264; Carteggio di Michele Amari, a cura di A. D'Ancona, I, Torino 1896, pp. 19-22; P. Calà Ulloa, Un re in esilio. La corte di Francesco II a Roma dal 1861 al 1870, Bari 1928, ad ind.; L. Gasparini, Il pensiero politico antiunitario a Napoli dopo la spedizione dei Mille, Modena 1953, ad ind.; P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino 1954, ad ind.; Storia della Sicilia post-unificazione, I, F. Brancato, La Sicilia nel primo ventennio del Regno d'Italia, Bologna 1956, ad ind.; G.G. Belli, Lettere, giornali, zibaldone, a cura di G. Orioli, Torino 1962, ad indicem.