BARTOLOMEI, Ferdinando
Nulla sappiamo riguardo alla nascita e agli studi del Bartolomei. Le notizie che lo riguardano sono quasi tutte legate alla corrispondenza che lungo più d'un ventennio, fra il 1716 e il 1737, egli tenne da Vienna, ove si trovava in qualità di rappresentante del granducato di Toscana, prima con Cosimo III e poi con Giangastone de' Medici.
Inviato da Cosimo a Vienna nel novembre 1716, il B. aveva soprattutto il compito di rappresentare il punto di vista mediceo nelle trattative per la successione della Toscana. Le conseguenze d'una probabile estinzione della discendenza maschile dei Medici dovuta alla mancanza di prole da parte di Giangastone, allora unico erede di Cosimo III, incominciavano a costituire uno dei punti di attrito più sensibili dell'equilibrio europeo, connesse come erano col problema della preponderanza imperiale in Italia e della conseguente rivalità spagnola. In questo contesto politico-diplomatico, la parte che poteva svolgere la corte medicea era estremamente lin-iitata. Ce ne danno la misura le prime "istruzioni" di Cosimo al B. in cui si sottolineava la necessità di ottenere "che i ministri imperiali facciano sempre la figura di proporre e noi di litigare" e ove le possibilità dell'azione diplomatica del B. erano riposte nella capacità di saper sfruttare le eventuali divergenze di opinioni della corte imperiale, piuttosto che in una concreta ed autonoma iniziativa.
Malgrado queste premesse, le speranze di Cosimo erano non poco ambiziose. Il B. avrebbe dovuto indurre l'imperatore a pronunciarsi sulla famiglia che intendeva far succedere ai Medici, ottenendo come contropartita l'integrità territoriale del granducato, il riconoscimento dell'indipendenza dello c Stato Vecchio", come esente da vincoli feudali, e inoltre, non ultima pretesa, la concessione a Cosimo dello Stato dei Presidi e del principato di Piombino. Il B. non tardò ad accorgersi che il disegno diplomatico di Cosimo non aveva alcuna possibilità di venir preso in considerazione dalla corte di Vienna che, infatti, rifiutava di procedere nelle trattative secondo il modo desiderato da Cosimo, invitando invece quest'ultimo a fare lui stesso una designazione per la successione, perché, come avvertiva il B., "l'Imperatore non si sarebbe mai voluto impegnare a fare un regalo del suo a una persona incerta", pur ponendogli nel contempo precisi limiti di scelta, sicché, sempre secondo gli avvertimenti del B., esclusa la casa di Savoia, "la quale come ognuno sa, è in poca buona intelligenza con questa corte, per le famiglie d'Italia il discorso si riduceva a Parma, Modena e Guastalla"(24 apr. 1717).
Ma l'analisi che il B. faceva delle intenzioni della corte imperiale non si fermava semplicemente a considerare questo completo rovesciamento delle intenzioni medicee nel modo di condurre le trattative diplomatiche: individuava già con chiarezza come essa intendeva garantire per il futuro la sua posizione egemonica in Italia affidando la Toscana a "un principe di una casa sovrana per decoro dello Stato, ma tale che potesse continuare a governarsi con le istesse maniere del granduca regnante" (27 febbr. 1717).Nel corso delle trattative le speranze di Cosimo andavano sgretolandosi a una a una. Sollecitato da Vienna affinché facesse la sua designazione per la successione, si decise per la casa d'Este pur avanzando nel contempo nuovamente richieste di garanzia riguardo all'indipendenza e all'integrità della Toscana, e sollecitando la cessione di Piombino e dello Stato dei Presidi. Quest'ultima pretesa veniva immediatamente respinta da Carlo VI, mentre le restanti proposte rimanevano accantonate in attesa di una decisione definitiva, tanto che Cosimo si vedeva costretto a esortare il B. perché ribadisse con insistenza il punto di vista toscano nella convinzione che "cominciando a rinunziare di mano in mano a qualche pretenzione e rimanendo sempre con le mani vuote, Dio sa dove ci condurranno" (14 ag. 1717).
Il problema della successione toscana, tuttavia, era destinato proprio allora a porsi con maggiore evidenza all'attenzione della diplomazia europea. Le pretese spagnole sull'Italia, ribadite proprio nell'agosto del IM con l'improvvisa occupazione della Sardegna, portarono a quella soluzione di compromesso consacrata nel trattato di Londra (marzo M8) che destinava la successione dei Famese e dei Medici a favore del figlio primogenito della regina di Spagna, Elisabetta Farnese. Il B. avvertiva Cosimo dell'adesione imperiale al trattato, mentre la corte medicea vedeva crollare tutto il castello diplomatico sul quale aveva fondato la speranza di ottenere alcune solide garanzie.
Cosimo III si trovò dunque costretto a seguire una diversa linea diplomatica per salvare il salvabile. Egli cercò allora di sfruttare i contrastanti interessi imperiali e spagnoli, che, sulla questione toscana, trovavano il loro punto di attrito, in un'univoca e opposta interpretazione delle clausole esecutive del trattato di Londra. La Spagna, pur non aderendovi formahnente, voleva garantire la sua presenza in Toscana inviandovi le guarnigioni previste dal trattato. Le si opponeva la corte imperiale che d'altra parte rivendicava il diritto di investitura del territorio toscano che veniva considerato feudo imperiale, contrariamente alle tesi medicee. Cosimo III vedeva così compromessi i presupposti ideali della sua azione diplomatica e il suo obiettivo, al di là delle pretese territoriali sullo Stato dei Presidi e su Piombino, diveniva quello di salvare i tradizionali capisaldi dell'indipendenza toscana. Su questo tema si apriva proprio in questi anni una larga disputa pubblicistica di carattere giurisdizionalistico che da parte toscana vedeva, tra i nomi più noti, la partecipazione dell'Averani e dell'allora giovane Tanucci. I limiti di questa rivendicazione autonomistica sono largamente noti, ma essa costituisce un punto di riferimento importante per penetrare le idealità che mossero questo ultimo scorcio della politica medicea. In essa tr oviamo anche la chiave per intendere l'adesione del B. alle iniziative diplomatiche toscane di cui era il tramite presso la corte imperiale. Cosimo voleva scongiurare il pericolo dell'introduzione delle guarnigioni spagnole e della pretesa investitura feudale del granducato da parte imperiale, giocando sui due fronti e cercando di sfruttare "le rivalità delle grandi potenze" (Acton, p. 274).Il B. si rendeva esattamente conto dei limiti effettuali di una tale direttiva diplomatica e nella sua corrispondenza con Cosimo III ne registrava con lucidità i fallimenti continui e l'illusiorietà delle sue premesse. Proprio allora infatti, dinanzi al rifiuto della Spagna di accedere al trattato di Londra, e alla sua improvvisa occupazione della Sicilia, nel luglio 1718, Francia, Inghilterra e Olanda si accordarono con l'Impero per far rispettare quell'accordo, ribadendo la feudalità della Toscana e l'impegno di introdurvi guarnigioni neutrali. Il B., sollecitato da Cosimo III, ripetutamente esprimeva alla corte cesarea la protesta toscana, e nel riferime a Cosimo l'inefficacia aggiungeva questa considerazione: "Io non so esprimere l'agitazione ed il sentimento che mi cagiona una tanta iniquità, senza per ora poter fare altro che raccomandarmi a Dio, giacché vedo che tutti miei lamenti e strillate servono a poco, confido che sia poi lui a mettere la sua santa mano" (15 ott. M8). IL interessante notare come il B. si rendesse conto della mancanza di incisività politica a cui era destinato il discorso autonornistico che costituiva il perno deíla sua azione diplomatica; egli restava, d'altra parte, legato a quella tradizione ideale, senza riuscire ad intravvedere la possibilità di una diversa direttiva politica. Nella sua corrispondenza con la corte medicea di questo periodo, ad una chiara visione degli svolgimenti diplomatici della controversia si alternano nel B. gli accenti di rammarico e di delusione dinanzi al progressivo sgretolarsi delle più legittime pretese toscane. Al di là di ciò lo sorreggeva l'intima adesione a quei principi tradizionali, che gli permetteva anche di guardare con realismo alla febbrile attività diplomatica delle altre case principesche italiane, nel tentativo di accaparrarsi il favore imperiale, per essere designate alla successione. Riferiva a Cosimo, con distacco, le ambigue sollecitazioni dell'ambasciatore sabaudo conte di Pras, che gli chiedeva il suo appoggio adducendo la ragione che, "se i Principi d'Italia stessero uniti, non sarebbero trattati con tanto disprezzo" (2 sett. 1719); con ciò facev3 intendere a Cosimo che qualsiasi soluzione sarebbe scaturita esclusivamente dalla decisione congiunta delle potenze europee.
Con l'adesione della Spagna, dopo le sconfitte militari del Mq, alle clausole del trattato di Londra, nel febbraio 1720, il B. vedeva restringersi sempre più i margini della sua pur precaria iniziativa diplomatica. L'iniziativa toscana continuava a tentare di sfruttare, anche dopo la firma del trattato di Londra da parte della Spagna, le divergenze di questa con la corte imperiale, che la promessa successione, dilazionata nel tempo, rendeva ricche di imprevisti.
La morte di Cosimo III (1723) *e la successione di Giangastone videro accresciuta, nell'ambito della politica toscana, la posizione del B., per la svolta operata nelle direttive diplomatiche dal nuovo granduca, che intendeva giovarsi dell'appoggio austriaco contro le pretese dell'infante di Spagna, Carlo di Borbone, abbandonando la tradizionale direttiva patema della iniziativa sui due fronti. Il B. tomava a ribadire presso la corte imperiale il principio dell'indipendenza toscana, a sollecitame l'opposizione circa l'introduzione dei presidi spagnoli in Toscana, a tentare nel contempo di rimettere in discussione il vecchio progetto granducale che affidava la successione alla granduchessa Anna Maria, unica sorella di Giangastone e moglie dell'elettore palatino Giovanni Guglielmo di Neuburg.
Ad indebolire questa prospettiva sopravvenne in un primo tempo il riavvicinamento della corte cesarea con la Spagna, consacrato nel primo trattato di Vienna, dell'agosto 1725. Ma il B. capi con lucidità che tale accordo era fondato sull'illusoria aspettativa di Elisabetta Farnese, riguardo un possibile matrimonio tra l'infante Carlo e una delle figlie dell'imperatore. Questa diagnosi del B. veniva ad essere confermata dal brusco capovolgimento di alleanze verificatosi nel 1726, che apriva un nuovo spazio alla politica antispagnola di Giangastone presso la corte viennese. Quest'ultimo tentativo mediceo di inserirsi nelle trattative diplomatiche per la successione della Toscana era però destinato a logorarsi anch'esso di fronte al lento rovesciarsi dell'equilibrio europeo che col trattato di Siviglia del 1729 portava al completo isolamento delle posizioni imperiali. La situazione inclinava a favore degli Spagnoli e dopo il secondo trattato di Vienna, il 16 luglio 1731, Carlo VI si trovava costretto a permettere l'insediamento delle guarnigioni spagnole in Toscana. Il B. avvertiva subito l'impossibilità di ogni opposizione e suggeriva a Giangastone di aderire immediatamente al trattato, il che avveniva il 22 settembre dello stesso anno. L'insediamento delle guarnigioni spagnole nel granducato, il solenne ingresso di Carlo di Borbone in Toscana, sembravano aver chiuso definitivamente il problema della successione.
Ma nel 1738 la guerra di successione polacca portò a un nuovo rivolgimento dell'equilibrio europeo, mentre la battaglia di Parma toglieva all'Impero ogni possibilità 9perativa in Italia e apriva all'infante di Spagna la via del Regno di Napoli. Il B. si rendeva presto conto che le possibilità di ripresa della corte imperiale erano tutte confidate all'iniziativa diplomatica, e che per questa via necessariamente il problema della successione toscana sarebbe tomato in discussione. La percezione che il B. ebbe allora della situazione politica europea ci è confermata dal carteggio con la corte toscana di quel periodo. In una lettera del 25 dic. 1734, riferendo un colloquio dell'ambasciatore inglese Th. Robinson con Carlo VI, il B. cosi corrimentava: "1'Imperatore vorrebbe ricuperare tutti gli Stati perduti e rimettere le cose nel grado che erano, il che sarebbe un, opera lunga e difficile: e non è forse quello che conviene di più per procurare la comune tranquillità e formare un più stabile sistema". E a proposito delle intenzioni olandesi soggiungeva: "sembra che questa sia la loro massima, e forse ancora quella dell'Inghilterra". In questo quadro infatti si profilava quell'accordo, che i preliminari di Vienna dell'ottobre 1735 dovevano sancire e che vedeva da capo risolta la successione toscana con l'avvento dei Lorena.
Nel 1737 aveva luogo, con la morte di Giangastone, il passaggio della Toscana ai Lorena. Il B., che nel frattempo era rimasto a Vienna, veniva chiamato dal nuovo granduca Francesco di Lorena a Firenze per ricoprire la carica di consigliere di Stato. L'ultima iniziativa del B. presso la corte cesarea è di poco antecedente al suo ritorno a Firenze. Il 13 ott. 1737 firmava, come rappr esentante della granduchessa Anna Maria Luisa, una "speciale convenzione con Carlo VI, relativa ai beni allodiali dei Medici". Al B. viene attribuito il merito (Conti, p. 66) di essere riuscito a fare inserire in questa convenzione una clausola che vincolava i Lorena a non far uscire dalla Toscana i beni allodiali che ereditavano dai Medici garantendo così, tra l'altro, che una cospicua parte del patrimonio artistico toscano non venisse dispersa. Le ultime notizie che abbiamo del B. riguardano una sua missione diplomatica a Torino nel 1742, per conto della corte imperiale.
Bibl.: I. R. Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, V, Firenze 1781, p. 40;A. Zobi, Istoria civile della Toscana dal 1737 al 18481 il Firenze 1850, pp. 61 e ss., 74;A. v. Reumont, Geschichte Toscana, s, I, Gotha 1876, pp. 473, 487;11, ibid. 1877, pp. 11, 20;E. Robiony, Gli ultimi dei Medici e la success. al granducato di Toscana,Firenze 1905, pp. 139-151, 160, 164 ss., 182 ss., 208, 209, 214 ss., 223 ss., 240 ss., 249 ss., 263 ss., 273 ss., 307-309 (la ricerca è condotta quasi esclusivamente sul carteggio del B. con il granduca che trovasi nell'Archivio di Stato di Firenze); G. Conti, Firenze dopo i Medici,Firenze 1921, pp. 63 s., 66;M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, I, Milano-Roma-Napoli 1923, pp. 79, 106;G. Quazza, Il problema ital. alla vikilia delle riforine,in Ann. d. Ist. stor. ital. per l'età moderna e contemporanea, V (1953), p. 113;H. Acton, Gli ultimi Medici,Torino 1962, pp. 273-275.