BAROLO, Ferdinando
Nato nel 1751 a Giaveno (Torino), si laureò in medicina a Torino ed esercitò all'inizio la libera professione. Le sue idee repubblicane lo posero presto al centro del movimento giacobino piemontese, che, nel corso dei 1793, a Torino e in altre città, assunse forme organizzative più solide in vista di una decisa azione rivoluzionaria. A Torino, uno dei due clubs repubblicani si radunava in casa del B., e ne facevano parte, tra gli altri, Carlo Botta, Angelo Pico e Maurizio Pellisseri; l'Altro faceva capo allo studente in medicina aostano Guglielmo Cerise e n'erano principali animatori Giovanni Chantel e Francesco Junod. In casa del banchiere Vinay si riuniva anche un terzo club, che, sebbene avesse un orientamento politico decisamente più moderato, manteneva con gli altri due stretti rapporti. I clubs repubblicani torinesi agivano in stretto contatto con il ministro francese a Genova Tilly, e anzi fu proprio per suo consiglio che essi finirono per unificarsi; il B. finanziò più volte i viaggi che gli emissari giacobini torinesi facevano spesso a Genova per concordare con il Tilly il piano di azione, che, stabilito che l'insurrezione dovesse scoppiare in concomitanza con l'offensiva francese del 1794, prevedeva l'occupazione della cittadella, la cattura del re, la proclamazione della repubblica e, per l'esplicita insistenza del B., la soppressione dell'intera famiglia reale. Ma le fila della cospirazione vennero scoperte: dopo i primi arresti e le prime fughe, il 24 maggio il B. si costituì volontariamente e tradì i suoi amici rivelando; in un'ampia delazione, piani e nomi. Molti, tra cui il Botta, il Pellisseri, il Cerise e I. Bonafous, riuscirono poi a mettersi in salvo con la fuga in Francia, ma diverse diecine di persone furono arrestate; un tribunale speciale istruì i processi che si conclusero con durissime condanne, molte delle quali però in contumacia: dovettero salire il patibolo Giovanni Chantel, Francesco Junod. e Giovanni De Stefanis. Più tardi il B. cercò di spiegare la sua delazione come il frutto di un momento di debolezza e di un abile raggiro poliziesco, ma troppo lucide e insistite appaiono le sue denunce nei verbali degli interrogatori e dei confronti perché si possa prestar fede a questa sua difesa. Tuttavia egli non trasse alcun vantaggio dalla sua azione; trascorse sette anni in carcere, prima a Torino poi a Ivrea, finché nel 1800, dopo vari tentativi di far udire le proprie ragioni, trovò protezione in Giovanni Ranza, che perorò la sua causa nel proprio giornale L'Amico della Patria (20 vendemmiale IX: 12 ott. 1800). Finalmente nell'ottobre il B. fu rilasciato su ordine del suo antico compagno, di cospirazione Carlo Botta, membro allora, insieme con Carlo Bossi e Carlo Giulio, della Giunta esecutiva di governo istituita dai Francesi. Invitato a lasciare immediatamente il Piemonte, ottenne, ancora per intercessione del Ranza, di poter restare per il tempo necessario a scrivere la propria difesa, che usci alle stampe nel novembre 1800 con il titolo Il cittadino F. B. ai suoi concittadini e ai patrioti del Piemonte.
In essa, dopo aver rivendicato il suo passato patriottico, egli rifaceva la storia dei clubs e dei contatti con il Tilly' e insisteva sullo stato di incertezza e di confusione esistente nell'ambiente della cospirazione nel maggio del 1794, a causa del rifiuto del ministro francese di impegnarsi a fondo e di concedere le sovvenzioni necessarie; attribuiva inoltre le prime imprudenze che avevano provocato l'intervento della polizia allo Chantel, esponente della fazione intransigente che voleva la rivoluzione immediata senza aspettare l'Arrivo dei Francesi; dichiarava infine di essersi costituito solo per accusare se stesso e di essersi poi smarrito di fronte all'Abile giuoco inquisitorio usato nei suoi confronti dal ministro Granieri e dal senatore Durando. Ma la difesa non sortì l'effetto sperato; una breve nota apparsa il 23 novembre sulla Gazzetta nazionale piemontese a firma Carlo Botta e Maurizio Pellisseri la definiva del tutto priva di serietà. Perduta definitivamente la speranza di far riaprire il suo processo, il B. fu costretto ad emigrare; si trasferì quindi a Tunisi, dove per lunghi anni esercitò la sua professione di medico. Con la Restaurazione poté rimpatriare e in seguito entrò al servizio della Casa reale come medico della servitù. Morì a Spigno (Alessandria) il 28 marzo 1821.
Bibl.: G. C. Bogino, Biografia medica piemontese, II, Torino 1825, P. 433; N. Bianchi, La verità trovata e documentata sull'Arresto e prigionia di Carlo Botta, in Curiosità e ricerche di storia subalpina, II, Torino 1876, pp. 106-109; D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la rivoluzione e l'impero francese, Torino-Roma 1892, 1, pp. 274 ss.; II, D. 360; G. Sforza, L'indennità ai giacobini piemontesi perseguitati e danneggiati (1800-1802), Torino 1909, pp. 2,50-258; L. C. Bollea, Il carteggio di un rivoluzionario piemontese (L Belmondo), luglio 1800-dicembre 1801 Torino 1912, pp. 4, 26, 40; G. Candeloro, Storia dell'italia moderna, I, Milano 1956, pp. 182 s.