FEMMINICIDIO.
– Le origini del termine: dal femmicidio al femminicidio. I dati sul femminicidio nel mondo. Il femminicidio nelle legislazioni nazionali. Il femminicidio come violazione dei diritti umani. Il femminicidio in Europa. Il femminicidio in Italia. Bibliografia
Le origini del termine: dal femmicidio al femminicidio. – Il neologismo femminicidio, ormai ampiamente diffuso in Italia, deve le sue origini al meno noto termine femmicidio, anche questo introdotto nella nostra lingua con un uso molto diverso da quello che, in origine, lo caratterizzava nella lingua anglosassone, da cui è stato tradotto.
Femmicidio, o femicidio, deriva infatti dall’inglese femicide, il cui uso è attestato fin dal 1801, per indicare genericamente gli omicidi di donne (Femicide in global perspective, 2001, p. 13).
La connotazione di genere nell’utilizzo del termine femicide, per indicare gli omicidi di genere, risale alla seconda metà del Novecento. Diana Russell è la studiosa che maggiormente ha contribuito all’elaborazione della categoria criminologica del f., mediante la quale distingue dagli omicidi di donne per motivi accidentali o occasionali tutte quelle uccisioni di donne, lesbiche, trans e bambine basate sul genere, e quelle situazioni in cui la morte di donne, lesbiche, trans e bambine rappresenta l’esito o la conseguenza di altre forme di violenza o discriminazione di genere (Femicide. The politics of woman killing, 1992, p. 15). Nella categoria criminologica del f. rientrano: gli omicidi di donne commessi durante o al termine di una relazione di intimità da parte del partner o ex; gli omicidi da parte di padri, fratelli o altri familiari in danno di figlie, sorelle o altre familiari che rifiutano un matrimonio imposto, o per qualsiasi altro motivo espressione di punizione nei confronti della donna, ovvero di controllo e di possesso; gli omicidi dei clienti o degli sfruttatori in danno delle prostitute; gli omicidi delle vittime di tratta; gli omicidi di donne a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere; ogni altra forma di omicidio commesso nei confronti di una donna o bambina perché donna.
Il termine femicide, tradotto in castigliano come femicidio o feminicidio, si è poi diffuso a livello mondiale con un differente significato, in alcuni casi non ancora esattamente consolidato (Spinelli 2008, pp. 29 e segg.), ma che comunque indica sempre una motivazione patriarcale alla base di omicidi e altre forme di violenza maschile sulle donne.
Marcela Lagarde, antropologa messicana, a partire dalla teorizzazione della Russell, nel tradurre dall’inglese al castigliano il concetto di femicide, ha utilizzato il termine feminicidio per riferirsi alla violenza maschile sulle donne nelle sue forme più estreme, in un’accezione che valorizza il contesto strutturale di discriminazione di genere nel quale tale violenza si inserisce. La categoria socioantropologica del f. descrive «la forma estrema di violenza di genere contro la donna, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una situazione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine, di sofferenze psichiche e fisiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e all’esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia» (Lagarde y de los Ríos 2006).
I dati sul femminicidio nel mondo. – Oggi la categoria criminologica del f. ha un ruolo fondamentale per consentire di distinguere a livello mondiale quanti, tra gli omicidi di donne e bambine, siano una manifestazione della violenza maschile sulle donne.Purtroppo è molto difficile la raccolta e la comparazione di questi dati, perché a livello statistico non tutte le autorità dei vari Paesi rilevano i dati relativi alla relazione tra l’autore e la vittima, e tantomeno utilizzano altri indicatori fondamentali a distinguere un f. da un omicidio.
A oggi i dati disponibili riguardano soprattutto i cosiddetti f. intimi, ovvero gli omicidi commessi dal partner della donna che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, riguardano a livello mondiale circa il 35% degli omicidi di donne.
Secondo una ricerca della Small arms survey, i Paesi che registrano il più alto tasso di f. si trovano nell’America Centrale e in quella Meridionale. In Italia e in Europa, mentre il numero degli omicidi in generale è in calo e così il numero di omicidi di donne, il numero di f. è in aumento.
Stando a una lettura combinata dei dati Eures-ANSA, dei dati del ministero dell’Interno e dei dati sul f. raccolti dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, risulta che tra gli omicidi di donne, in calo, sono invece in aumento gli omicidi di donne basati sul genere, e in particolare quelli di prostitute (forse anche per la maggiore visibilità data dalla stampa a questi episodi di cronaca) e i f. commessi dal partner o ex partner; tuttavia questo dato riguarda un aumento di una decina scarsa di casi l’anno. Spesso, la donna prima di essere uccisa aveva già subito altre forme di violenza dallo stesso aggressore.
Il femminicidio nelle legislazioni nazionali. – Grazie al supporto del movimento delle donne, Lagarde venivaeletta parlamentare in Messico. È attraverso il suo operato che per la prima volta il f. è entrato nell’agenda istituzionale. Nell’esercizio delle sue funzioni Lagarde ha promosso nel 2003 la creazione della Commissione speciale per le indagini sui casi di uccisione di donne a Ciudad Juárez, presso il Senato federale, e nel 2004 della Commissione speciale sul femminicidio, presso la Camera federale (Spinelli 2008, p. 96).
Il movimento delle donne latinoamericane ben presto ha iniziato a rivendicare anche negli altri Paesi di quell’area geografica l’inserimento del f. tra le priorità politiche dei governi nazionali, promuovendo la raccolta dei dati disaggregati per genere sugli omicidi di donne.
Da allora, in molti Stati di quella regione il f. è stato introdotto nella legislazione interna come fattispecie penale o aggravante di genere (Toledo Vásquez 2009, pp. 95-139).È un uso simbolico del diritto penale: a fronte di situazioni di sistematica violazione dei diritti delle donne e di altissimi gradi di impunità, si è optato per la revisione strutturale di un impianto normativo che si caratterizzava per la presenza di disposizioni direttamente lesive dei diritti delle donne (liceità dello stupro coniugale, scriminante del matrimonio riparatore ecc.). In molti casi, l’introduzione di fattispecie ‘di genere’ ha costituito una sorta di misura speciale temporanea per accelerare il cambio culturale nel riconoscimento del disvalore degli atti di violenza compiuti nei confronti delle donne. Certo un simile utilizzo del diritto penale non troverebbe ragione nell’ordinamento italiano, dove, come evidenziato dall’ONU, a fronte di un invidiabile (ma pur sem pre perfettibile) impianto normativo, resta il problema dell’implementazione delle norme esistenti, viziata dal ‘pregiudizio di genere’ (Spinelli 2013). Il primo Stato a introdurre nel codice penale il reato di f. è stato il Costa Rica nel 2005, l’ultimo il Brasile nel 2015.
A qualche anno dall’introduzione di queste nuove fattispecie, sono in molti ad aver osservato che, sebbene la modifica del codice penale abbia favorito la persecuzione dei reati di omicidio delle donne, la legge si è rivelata di difficile applicazione, persistendo numerose resistenze culturali (Spinelli 2008, pp. 120-40).
Il femminicidio come violazione dei diritti umani. – Lo sviluppo delle teorie sul f. è avanzato di pari passo alla denuncia dell’impunità che circonda questo tipo di reati. Le donne messicane sono state pioniere nel coinvolgimento della comunità internazionale, sia attraverso la stampa sia denunciando davanti agli organismi nazionali, regionali e internazionali di tutela dei diritti umani la responsabilità delle autorità messicane per la mancata prevenzione e persecuzione di questi crimini, che aumentavano in maniera esponenziale.
Al Messico, e successivamente a numerosi altri Paesi dell’area latinoamericana, sono state rivolte specifiche raccomandazioni in materia di f. sia dagli organismi di monitoraggio dei Trattati ONU, sia dagli organismi regionali a tutela dei diritti umani.
Emblematico è il caso di Ciudad Juárez, città di confine tra Messico e Stati Uniti, dove dagli anni Novanta a oggi migliaia di donne sono state rapite, mutilate e abbandonate nel deserto circostante la città, nell’impunità e spesso con la connivenza di alcuni funzionari pubblici. Fra i 231 funzionari processati per responsabilità connesse alla inadeguata persecuzione dei reati commessi, il viceprocuratore della Procura generale di giustizia dello Stato di Chihuahua, Armando Lastra, è stato condannato per aver capeggiato una rete di prostituzione di minorenni, rivolta a politici e imprenditori, e connessa a un giro di droga. Nel 1995 la giornalista Esther Chávez Cano e il collettivo femminista Ocho de marzo iniziarono a denunciare l’omertà e l’impunità che caratterizzavano queste morti e a interessare la stampa internazionale. Nel 1999 le madri delle ragazze desaparecidase assassinate fondarono l’associazione Nuestras hijas de regreso a casa. Grazie a loro, nel 2009, il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana per le irregolarità nelle indagini sui femminicidi di Ciudad Juárez, e la mancata protezione del diritto alla vita di queste giovani donne (cosiddetta sentenza di Campo Algodonero). Questa sentenza, anche nota come Cotton field judgment (CIDH, Gonzales et al. v. Mexico, 16 nov. 2009), sul piano giurisprudenziale rappresenta il leading case. Si tratta inoltre del primo arresto giurisprudenziale in cui si utilizza il termine femminicidio. La sentenza riconosce la responsabilità dello Stato messicano per non aver adeguatamente prevenuto la morte di tre giovani donne i cui corpi erano stati ritrovati in un campo nei pressi di Ciudad Juárez e rimarca come l’inadeguata risposta delle istituzioni si inserisce in una situazione strutturale di violazioni sistematiche dei diritti fondamentali delle donne sulla base del genere di appartenenza (Spinelli 2013).
La ‘codificazione’ del f. quale violazione dei diritti umani è avvenuta dunque nell’ambito del sistema internazionale e dei meccanismi regionali di protezione dei diritti umani. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto il f. come la principale violazione dei diritti umani delle donne.
Il documento di riferimento è il Rapporto tematico sugli omicidi basati sul genere presentato da Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, il 25 giugno 2012 al Consiglio dei diritti umani. Si tratta del primo riconoscimento da parte delle Nazioni Unite che il f., quale manifestazione della violenza maschile sulle donne, rappresenta una violazione dei diritti umani che non è circoscrivibile ai soli Paesi dell’America Latina, ma ha portata globale. Nel Rapporto si specifica che in alcune aree del mondo il f. è in aumento e troppo spesso l’omicidio delle donne rappresenta l’esito di un continuum di violenze che avvengono in un contesto di discriminazione delle donne in tutti gli ambiti, e in società in cui troppo spesso viene tollerata l’impunità per questo genere di reati. La relatrice speciale nel Rapporto richiede l’impegno di tutti gli Stati in termini di studio statistico del fenomeno, e rimarca la responsabilità degli Stati di agire con la dovuta diligenza nella promozione e protezione del diritto delle donne alla vita e all’integrità psicofisica, specificando che «l’uccisione delle donne costituisce, tra le altre, una violazione del diritto alla vita, all’uguaglianza, alla dignità ed alla non discriminazione, a non essere sottoposte alla tortura o ad altre forme di trattamento o punizione crudele, inumano e degradante. L’obbligazione per gli Stati di assicurare questi diritti sorge dal dovere degli Stati di prevenire e proteggere le persone da violazioni dei diritti umani nei territori di loro giurisdizione, di punire gli autori e di compensare le persone per queste violazioni. Il fallimento degli Stati nel garantire il diritto delle donne a una vita libera dalla violenza rende possibile quel continuum di violenze che può concludersi anche con la morte della donna» (Manjoo 2012a, paragrafo 82).
Il femminicidio in Europa. – I termini femmicidio e femminicidio si sono diffusi in Europa con una connotazione di genere fin dall’inizio del 21° sec., a seguito della notorietà internazionale dei fatti avvenuti a Ciudad Juárez, e in particolare grazie al contributo del movimento delle donne spagnolo.
Il primo riferimento ufficiale al f. in un documento dell’Unione Europea lo si trova nell’aprile 2006, rispetto a un’audizione sul f. in Messico e Guatemala tenutasi presso il Parlamento europeo. A seguito di questa audizione, l’11 ottobre 2007 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione (2007/2025-INI) concernente il ruolo dell’Unione Europea nella lotta ai f. in Messico e in America Centrale. Il Parlamento europeo ha rinnovato la condanna al f. nel Rapporto annuale sui diritti umani del dicembre 2010, cui ha fatto seguito, nello stesso anno, la dichiarazione dell’alta rappresentante dell’Unione Europea Catherine Ashton a commento della sentenza di Campo Algodonero. Anche uno studio relativo alla violenza maschile sulle donne in Europa condotto dalla Commissione in quello stesso anno, già riportava che «la forma più grave di violenza fisica è il femmicidio, che è l’omicidio di una donna basato sul genere», citando il Rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite per specificare come il f. sia strettamente connesso alle altre forme di violenza che colpiscono le donne. Il 2010 rappresenta un anno significativo perché dai documenti citati emerge la consapevolezza della portata mondiale del femminicidio. Questo si evince con chiarezza da un Policy briefing del Parlamento europeo per uso interno, del 27 novembre 2010, sul f. in Messico e nell’America Centrale, in cui il f. veniva considerato in una prospettiva globale e locale, riportando che: «è possibile e probabilmente utile comparare il femmicidio in America Latina agli omicidi di onore in Medio Oriente, all’impunità che circonda gli omicidi di donne in Africa e gli omicidi per motivi di dote nel Sud dell’Asia. Anche nei casi dell’Europa e del Nord America, è stato notato in ambito ONU che le statistiche ufficiali sulla violenza sulle donne in generale, e quelle sul femmicidio in particolare, non sono adeguate a rendere la gravità del fenomeno».
Il concetto di f. è oggi diffuso in Europa in ambito sia accademico sia politico.
Il femminicidio in Italia. – In Italia il termine è in uso da parte del movimento femminista fin dal 2005 (Spinelli 2008, pp. 159-68), tuttavia è stato adottato in maniera crescente da parte dei media solo nel 2011, quando, grazie ai dati sul f. riportati nel Rapporto Ombra sull’implementazione della CEDAW in Italia, il Comitato CEDAW (Committee on the Elimination of Discrimination Against Women), nelle Osservazioni conclusive rivolte al governo italiano, per la prima volta ha rivolto raccomandazioni a uno Stato europeo in materia di f., utilizzando tale categoria che fino ad allora aveva riservato per i moniti rivolti agli Stati dell’America Centrale (Spinelli 2012).
A livello internazionale, l’inadeguatezza delle misure adottate dal governo italiano nella protezione del diritto alla vita delle donne era già stata individuata come fonte di responsabilità di Stato dalla Corte europea per i diritti umani, con la sentenza del 15 dicembre 2009 nel caso Maiorano v. Italia; tuttavia, in quel caso non si parlava di femminicidio. Invece nel 2011 il Comitato CEDAW, nelle Osservazioni conclusive al governo italiano, si è dichiarato preoccupato per il numero dei f. commessi da partner o ex partner, nella misura in cui erano rappresentativi del «fallimento delle autorità nel proteggere adeguatamente le donne che hanno subito violenza nelle relazioni di intimità». Nei dati riportati nel Rapporto Ombra, da cui deriva la Raccomandazione specifica del Comitato CEDAW all’Italia in materia di f., si documentava che in un elevato numero di casi – più di 7 su 10 – l’omicidio della donna è preceduto da uno o più atti di violenza commessi dal medesimo aggressore, partner o ex partner, nei confronti di quella donna (cosiddetta IPV, Intimate Partner Violence). Questi il più delle volte sono atti noti alle istituzioni, perché denunciati una o più volte dalla donna, oppure oggetto di una o più chiamate in emergenza, ovvero perché una o più persone coinvolte erano seguite dai servizi sociali. Va osservato peraltro che, a oggi, l’Italia è il primo e unico Paese europeo al quale le Nazioni Unite abbiano indirizzato moniti specifici in materia di femminicidio.
La raccolta dalla stampa dei dati relativi al f. da parte della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna (https://femicidiocasadonne.wordpress.com/) e il lavoro informativo sul f. delle giornaliste di Giulia (la rete nazionale delle Giornaliste unite libere autonome, http://giulia.globalist.it/) e, in particolare, di Luisa Betti (nel blog ‹http://bettirossa.com/›) hanno favorito l’apertura di un dibattito pubblico sul fenomeno.
L’assenza di dati ufficiali ha facilitato i meccanismi di sensazionalizzazione del fenomeno propri dei media mainstreaming, ingenerando l’indebita percezione che vi sia un aumento esponenziale di questo tipo di reati, quando invece, stando al dato numerico, non è possibile definirla ‘emergenza’, ma sarebbe semmai corretto parlare di emersione, agli occhi dell’opinione pubblica, di un fenomeno strutturale (Spinelli 2012).
Le raccomandazioni rivolte al governo italiano dalle Nazioni Unite evidenziano che il fallimento delle istituzioni nell’obbligo di protezione è imputabile non tanto all’assenza di un’idonea legislazione, quanto a ostacoli di carattere culturale e organizzativo che impediscono l’accesso alla giustizia per le donne vittime di violenza, e ne determinano la rivittimizzazione a causa del malfunzionamento del sistema di giustizia penale. Al ‘fallimento’ constatato dal Comitato CEDAW, seguono le osservazioni della relatrice speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, la quale, nel Rapporto sulla Missione in Italia, constata che «gran parte delle manifestazioni della violenza non viene denunciata in un contesto caratterizzato da una società patriarcale e incentrato sulla famiglia; la violenza domestica, inoltre, non sempre viene percepita come reato; emerge poi il tema della dipendenza economica, come pure la percezione che la risposta dello Stato a tali denunce possa non risultare appropriata o utile». Specificando che, «per di più, un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle donne vittima di violenza sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema» (Manjoo 2012c, paragrafo 67). Per assolvere in maniera adeguata agli obblighi internazionali, è avanzata richiesta di esatto adempimento degli obblighi di prevenzione, protezione e compensazione delle vittime di violenza. Per quanto attiene all’obbligo di persecuzione penale, non vengono suggerite riforme legislative, ma si fa specifica e puntuale richiesta di monitoraggio della risposta del sistema giudiziario civile e penale alla richiesta di protezione da parte delle vittime. In particolare, il Comitato CEDAW aveva richiesto l’adozione, nell’arco di due anni, delle misure più urgenti per il contrasto degli stereotipi di genere e per garantire la protezione delle donne vittime di violenza.
Ricevute tali raccomandazioni, le istituzioni italiane han no iniziato ad affrontare la questione del f. chiamandola per nome. Nel discorso di insediamento della XVIII legislatura, la presidente della Camera Laura Boldrini segnalava come prioritario che il Parlamento si interessasse alla violenza subita dalle donne nelle relazioni di intimità, in termini di problema strutturale e quindi culturale. Sulla scia di tale invito, per la prima volta il f. è entrato nell’agenda politica nazionale, e in Senato è stato presentato il d.l. nr. 860 del 20 giugno 2013, per l’istituzione di una Commissione parlamentare sul fenomeno dei femmicidi e dei femminicidi. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, il 22 maggio 2013, in appoggio a tale disegno di legge dichiarava: «Come presidente del Senato ho già assicurato il massimo impegno affinché venga costituita la commissione parlamentare, concordemente richiesta da tutte le forze politiche, al fine di studiare il fenomeno del femminicidio per delineare analisi, interpretazioni e adeguate soluzioni. [...] Un passo deciso in questa direzione può essere compiuto con un adeguamento del nostro ordinamento giuridico ai più innovativi strumenti di tutela dei diritti delle donne, dobbiamo investire nella prevenzione e nella protezione delle vittime, dobbiamo prevedere misure di sostegno medico, psicologico e legale alle vittime e azioni istituzionali di prevenzione nel settore educativo e dell’informazione [...] se è indifferibile l’approvazione di ogni norma necessaria, occorre nel contempo acquisire la consapevolezza che la violenza contro le donne è socialmente, prima ancora che penalmente, inaccettabile». Mentre il disegno di legge ancora non era stato calendarizzato, il governo interveniva affrontando il problema mediante la nomina di una consulente sul f. da parte del ministero dell’Interno, e attraverso la presentazione del d.l. nr. 93 del 2013, convertito nella l. nr. 119 del 2013, contenente, tra le altre, misure in materia di contrasto alla violenza maschile sulle donne, pubblicizzata come ‘legge sul femminicidio’.
Sicuramente il cammino per lo studio e la prevenzione del f. a livello sia nazionale sia internazionale è ancora molto lungo, ma di certo si può affermare che sono stati decisivi i passi in avanti fatti nell’ultimo decennio, attraverso il riconoscimento della specificità di genere della violazione dei diritti umani delle donne, in primis quello alla vita e alla integrità psicofisica, e dell’obbligo degli Stati, alla luce del diritto internazionale, di agire in maniera strutturale per la prevenzione del femminicidio.
Bibliografia: Femicide. The politics of woman killing, ed. J. Radford, D.E.H. Russell, New York 1992; Femicide in global perspective, ed. D.E.H. Russell, R.A. Harmes, New York-London 2001; M. Lagarde y de los Ríos, Por la vida y la libertad de lasmujeres: fin al feminicidio, 2004 e 2006; B. Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Milano 2008; P. Toledo Vásquez, Feminicidio. Consultoría para la Oficina en México del Alto Comisionado de las Naciones Unidas para los derechos humanos, México D.F. 2009; R. Manjoo, Report of the Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences, Geneva 2012a; R. Manjoo, Report of theSpecial Rapporteur on violence against women, its causes and consequences, Addendum, Summary report on the expert group meetingon gender-motivated killings of women, Geneva 2012b; R. Manjoo, Report of the Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences, Addendum, Mission to Italy, Geneva, 2012c; B. Spinelli, L’Italia rispetta la CEDAW? Il femminicidio in Italia alla luce delle Raccomandazioni delle Nazioni Unite, in Universo femminile. La CEDAW tra diritto e politiche, a cura di I. Corti, Macerata 2012, pp. 315-50; B. Spinelli, Femminicidio e riforme legislative, «Questione giustizia», 2013, 6, pp. 50-61.