LATUADA (Lattuada), Felice
Le poche notizie sui primi anni e sulla formazione si ricavano in gran parte da un memoriale autobiografico redatto a Milano il 6 ag. 1802 (pubblicato in Nutini, 1986). Fece i primi studi nel collegio dei barnabiti di Tortona e li proseguì alla scuola dei barnabiti di Milano "sotto la direzione di Serviliano Latuada suo zio, noto scrittore milanese" (sacerdote, ricordato soprattutto per una guida di Milano pubblicata nel 1737-38, discepolo di L.A. Muratori e morto nel 1764). La sua data di nascita si può quindi collocare intorno al 1750. Il dato è confermato da un Annuncio alle ragazze da marito comparso nella Gazzetta di Milano del 2 ott. 1797, che manifestava, con evidenti intenti satirici, l'intenzione del L. di prendere moglie, attribuendogli l'età di 50 anni.
Studiò diritto presso le scuole palatine e fece pratica presso avvocati milanesi; si laureò all'Università di Pavia il 3 luglio 1777. In quell'anno divenne "avvocato promotore generale delle cause pie e de' poveri della diocesi milanese" con il compito di patrocinare anche i carcerati. Intrapresa la carriera ecclesiastica, fu prevosto di Magenta (1783-92), e poi a Varese prevosto della collegiata di S. Vittore e vicario foraneo (1792-96).
Una sua lettera del 1802 a N. Bonaparte esalta la politica ecclesiastica di Giuseppe II; è anche degno di nota l'atteggiamento ostile agli eccessi della devozione popolare assunto quando era prevosto di Magenta. Si tratta di indicazioni piuttosto generiche, che consentono però di intravedere il maturare, attraverso le esperienze del riformismo settecentesco, di idee e aspirazioni che la rivoluzione francese avrebbe orientato decisamente in senso democratico.
Ben prima del 1796 il L. fece parte di un gruppo di fautori della rivoluzione attivo a Varese e fu membro della Società popolare formatasi a Milano poco prima dell'arrivo dell'armata francese. Si vantò anzi di essersi recato da Bonaparte il giorno successivo alla battaglia di Lodi, per rassicurarlo sulle buone disposizioni della popolazione milanese. Il generale lo nominò membro della Municipalità di Milano istituita il 21 maggio 1796; il L. fece parte del comitato di Finanza al quale apparteneva, fra gli altri, P. Verri.
È ben noto il giudizio sprezzante del grande illuminista sul L.: "La sua meschina figura è quella di un preticciuolo, d'un aspetto piuttosto ridicolo, mal vestito, e che pazzamente si muove; quando parla, lo fa male, e sempre col tono di catechismo. […] Nel fondo era un uomo da nulla, senza principj, e smanioso di far parlare di sé".
Il L. fece anche parte del comitato di polizia fino alla nascita della Repubblica Cisalpina, e nel 1797 fu due volte a Crema come commissario del Direttorio esecutivo. Dedicatosi completamente all'azione politica, abbandonò di fatto la carica di prevosto ma continuò a mantenere stretti rapporti con Varese.
Dopo le prime rivolte antifrancesi si preoccupò di inviare ai colleghi del clero varesino una lettera, divulgata in forma di manifesto a stampa (datato 8 pratile anno IV [27 maggio 1796]: in Varese, Arch. storico civico, Bibl. municipale, cart. 12, f. 3), esortandoli a prevenire tumulti "mossi dal rovinoso pretesto di religione" e richiamandoli al dovere di illuminare e guidare il popolo predicando i principî evangelici di fratellanza e pace. In un altro manifesto a stampa Ai popoli di Varese e della pieve (datato Milano, 29 termidoro anno IV [16 ag. 1796]: ibid., copia in Raccolta degli ordini ed avvisi stati pubblicati dopo il cessato governo austriaco, I, Milano anno IV [1796], pp. 175-178 n.n.) ribadì che i principî rivoluzionari "non solamente non si oppongono, ma sono al tutto consentanei alla legge di Dio". Appartenne dunque alla schiera di "repubblicani evangelici" che ritenne indispensabile fare leva sul clero e sulla religione tradizionale per diffondere nelle masse i principî rivoluzionari. A tal fine il L. pubblicò nel Termometro politico della Lombardia tredici articoli non firmati intitolati Il parroco repubblicano (nn. 4, 6, 8, 10, 12, 13, 15, 17, 20, 22, 25, 27, 30, compresi fra il 5 luglio e il 4 ott. 1796; ora ristampati in Termometro politico della Lombardia, a cura di V. Criscuolo, I, Roma 1989), veri modelli di omelie da recitare al popolo durante le funzioni domenicali. Non c'è dubbio che i riferimenti alla Sacre Scritture e gli auspici di un ripristino del cristianesimo evangelico erano assolutamente strumentali: già da tempo uomini come il L. avevano rotto ogni legame con la tradizione cristiana ed erano giunti a un mero deismo. Molto utile per conoscere le sue idee è un opuscolo anonimo, ma uscito certamente dalla sua penna, intitolato Lettere filosofico-politiche d'un solitario delle Alpi Verbane (Varese s.d.; un esemplare in Arch. di Stato di Milano, Studi, p.a., b. 110, f. 4). L'opera si presenta come un breve epistolario fra un "giovane d'ottima indole, di sufficienti cognizioni, e grandi fortune", e un solitario filantropo che esprime evidentemente il pensiero dell'autore. La figura di questa "anima repubblicana e filosofica", che vive volontariamente sui monti, lontano "dall'inutile fasto d'una società vicina al suo decadimento", è di evidente ispirazione rousseauiana.
Nel novembre 1797 Bonaparte chiamò il L. nel Gran Consiglio come rappresentante del Dipartimento del Verbano, e per effetto della nomina egli abbandonò lo stato ecclesiastico. Il 22 brumale anno VI (12 nov. 1797) scrisse una lettera ai Varesini, diffusa al solito come manifesto a stampa (Il cittadino Felice Latuada al popolo di Varese: un esemplare in Varese, Arch. storico civico, Bibl. municipale, cart. 12, f. 3), per comunicare la sua decisione ed esortare i suoi parrocchiani a eleggersi "un Pastore che abbia la pura e semplice virtù evangelica, e l'anima repubblicana".
Il L. diede un contributo notevole all'attività del Corpo legislativo cisalpino. Gli orientamenti programmatici espressi nei suoi numerosi interventi lo collocano indubbiamente nell'ala più radicale dello schieramento democratico. Degna di nota è la sua posizione favorevole al divorzio. Ma soprattutto egli considerò con grande realismo e concretezza la situazione delle masse popolari, in particolare delle plebi rurali, e si batté con decisione perché l'instaurazione della Repubblica coincidesse con un effettivo miglioramento delle loro condizioni di vita. Convinto della necessità di diminuire "l'enorme disuguaglianza delle fortune, madre funesta di quella del credito e del potere", condannò le imposte indirette che gravano soprattutto sui poveri e propose un'imposizione progressiva su ogni cespite. Riteneva che nello stabilire le tasse si dovesse considerare soprattutto la classe "dei grossi affittuari che sono molto ricchi, e quella, che in Lombardia è considerevole, dei così detti fattori di campagna: gente, che in questi ultimi anni ha accumulato molto denaro". Particolare attenzione riservò al popolo delle campagne. Si oppose ad esempio a un'indiscriminata divisione dei beni comunali, patrimonio essenziale alla sopravvivenza dei poveri che vi "tagliano la legna, vi pascolano i loro armenti". D'altra parte i poveri, non avendo denaro, non avrebbero potuto coltivare le quote loro assegnate e le avrebbero cedute "al ricco per un tenuissimo prezzo". Due suoi discorsi nel Consiglio furono pubblicati: Discorso recitato dal cittadino Latuada nella seduta terza del Gran Consiglio del giorno 2 frimale anno 6. repubblicano (27 nov. 1797), s.l. né d.; Discorso del cittadino Latuada membro del Gran Consiglio, fatto li 19 frimale, seduta vigesima anno 6. repubblicano, s.n.t. (9 dic. 1797; copie dei due opuscoli sono conservate a Milano, nella Biblioteca del Museo del Risorgimento).
Nonostante il radicalismo delle sue posizioni, dopo il colpo di Stato di C.-J. Trouvé il L. fu di nuovo rappresentante nel Consiglio degli juniori. All'epoca del colpo di Stato di Guillaume Brune fu tra coloro che preferirono evitare uno scontro frontale con le autorità transalpine, e il 24 ott. 1798 fu fischiato nel Circolo costituzionale per essersi espresso in favore dell'accettazione della costituzione del Trouvé. Nel dicembre 1798 il colpo di Stato di François Rivaud lo privò della carica di rappresentante. Dal diario di P. Custodi è noto che il 3 dicembre era a Torino con C. Salvador e G. Fantoni; appare plausibile l'ipotesi (Nutini, 1986) di un suo coinvolgimento nella cospirazione antifrancese nata allora in Piemonte. Con l'arrivo degli Austro-Russi si aprì anche per il L. la via dell'esilio: il 30 fiorile anno VII (19 maggio 1799) era a Grenoble, in procinto di partire per Parigi; intanto il governo austriaco gli confiscava tutti i beni. Da Parigi tornò a Milano il 1° luglio 1800 e fu per qualche tempo segretario del Brune, a conferma del legame stabilito nel 1798. Il 29 marzo 1802 scrisse da Lione a Bonaparte primo console nonché presidente della Repubblica Italiana chiedendogli udienza per esporgli un suo progetto di "economato ecclesiastico" ispirato a quello di Giuseppe II, "una delle migliori operazioni che questo Sovrano abbia fatto per proteggere il culto pubblico, e per contenere ne' giusti limiti secondo gli stessi canoni della Chiesa, le pretensioni sempre rinascenti degli ecclesiastici e della curia romana contro i diritti della Sovranità, e della civile libertà del Popolo" (Arch. di Stato di Milano, Vicepresidenza Melzi, cart. 6). Nello stesso 1802 compose il citato memoriale per ottenere "una carica nella Giudicatura", ma a quanto pare i suoi tentativi di entrare nell'amministrazione napoleonica non ebbero buon esito. Stando alla testimonianza del Valeriani, dopo Marengo "si dedicò esclusivamente al foro, ed acquistossi meritatamente la fama di buon giureconsulto".
Dalla stessa fonte risulta che il L. morì nel 1817.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Culto, p.a., cart. 1400, f. 4 (notizie sulla carriera ecclesiastica del L.); Uffici civici, cartt. 159-161 (notizie sull'attività del L. come municipalista); Studi, p.a., b. 110, f. 4 (alcuni progetti di legge manoscritti e l'opuscolo Lettere filosofico-politiche); Milano, Arch. storico civico, Dicasteri, cartt. 260-261 (sul L. come municipalista); Varese, Arch. storico civico, Biblioteca municipale, cart. 12, f. 3 (copia manoscritta di una lettera al canonico della Collegiata di S. Vittore di Varese G.B. Gattico, senza data ma del maggio 1796); F. Becattini, Storia del memorabile triennale governo francese e sedicente cisalpino nella Lombardia. Lettere piacevoli ed istruttive, Milano 1799-1800, I, pp. 22, 150-152; F. Coraccini [G. Valeriani], Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, p. XCVII; P. Verri, Storia dell'invasione dei francesi repubblicani nel Milanese nel 1796, in Lettere e scritti inediti di Pietro e Alessandro Verri, a cura di C. Casati, IV, Milano 1881, pp. 407 s.; Assemblee della Repubblica Cisalpina, I-XI, Bologna 1917-48, ad indices; Un diario inedito di Pietro Custodi (21 ag. 1798 - 3 giugno 1800), a cura di C.A. Vianello, Milano 1940, pp. 53, 82, 84; L. Mantovani, Diario politico-ecclesiastico, a cura di P. Zanoli, I, Roma 1985, pp. 66, 125, 164, 178, 241; Termometro politico della Lombardia, a cura di V. Criscuolo, I-IV, Roma 1989-96, I, p. 28 e passim; Giornale de' patrioti d'Italia, a cura di P. Zanoli, I-III, Roma 1989-90, ad indices; G. Manacorda, I rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800 sulla scorta del diario di V. Lancetti e di documenti inediti degli archivi d'Italia e di Francia, Torino 1907, pp. 68 s.; M. Roberti, Milano capitale napoleonica. La formazione di uno Stato moderno 1796-1814, Milano 1946, I, p. 435; L. Giampaolo, Varese dall'avvento della Repubblica Cisalpina, alla fine del Regno Italico, Varese 1959, ad ind.; M.C. Zorzoli, Le tesi legali dell'Università di Pavia nell'età delle riforme, Milano 1980, p. 118; S. Nutini, L'esperienza giacobina nella Repubblica Cisalpina in Il modello politico giacobino e le rivoluzioni, a cura di M.L. Salvadori - N. Tranfaglia, Firenze 1984, pp. 115 s., 128; S. Nutini, La formazione di un giacobino: F. Lattuada, in Rivista italiana di studi napoleonici, XXIII (1986), pp. 43-53; L. Ambrosoli, Per una biografia del giacobino F. Lattuada, in Id., Educazione e società tra rivoluzione e Restaurazione, Verona 1987, pp. 47-65; Id., Il Gran Consiglio della Repubblica Cisalpina: gli interventi di F. Lattuada, ibid., pp. 67-113; C. Tosi, Famiglia e divorzio dalla Repubblica Cisalpina alla Repubblica Italiana: polemiche pubblicistiche e tentativi di legislazione, in Critica storica, XXV (1988), p. 13; Diz. della Chiesa ambrosiana, III, Milano 1989; VI, ibid. 1993, ad indices; L. Guerci, Istruire nelle verità repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna 1999, pp. 252 s., 274 s.