GUARNERI, Felice
Nacque il 6 genn. 1882 a Villanuova di Pozzaglio, presso Cremona, da Ludovico e Giulia Brugnoli.
Profondamente cattolici, i Guarneri erano un'antica famiglia di agricoltori, ora conduttori, cioè imprenditori agricoli non proprietari, esponenti della nuova borghesia rurale protagonista dello sviluppo agricolo nella Valpadana.
Dopo la laurea in economia a Venezia nel 1906, il G. cominciò a far pratica gratuitamente presso la Camera di commercio di Cremona, e a pubblicare i suoi primi lavori. Nel 1907 fu, quindi, nominato vicesegretario (segretario dal 1910) della Camera di commercio di Genova, dove rimase per sette anni.
A contatto con il variegato ambiente politico-sociale cremonese, il G. si era indirizzato verso posizioni liberali, sintetizzate nella sua opera più significativa di questi anni, La questione agraria nel Cremonese (Cremona 1915), da cui emergono le idee forza alla base del suo pensiero: una convinta concezione paretiana della dinamica sociale come lotta e selezione di élites innovative e vincenti, e l'idea di un'alleanza tra contadini e imprenditori agricoli contro il privilegio fondiario dell'aristocrazia terriera parassitaria e assenteista e contro la riduzione del contadino a salariato puro. Da questa idea di un'alleanza sociale contro la rendita e contro il salario discende la critica del G. al sindacalismo e al socialismo, nonché alla borghesia incapace di esprimere una posizione autonoma. Da qui la sua sintonia con le posizioni di G. Miglioli, anche se l'accento, nel G., è posto non sulla compartecipazione ma sull'appello alla borghesia rurale a farsi soggetto politico attivo e cosciente, dotato di un progetto e di dirigenti capaci di farsi largo in un Parlamento in piena crisi.
Su questa sollecitazione e su questo interlocutore sociale, il G. giocò la carta di una possibile carriera politica nelle elezioni politiche del 1913 e nelle amministrative del 1914, ma il progetto di una sua candidatura nel collegio cremonese di Pescarolo naufragò contro lo scetticismo degli agricoltori e il clericalismo dei cattolici, lasciandogli in bocca non solo l'amaro del fallimento, ma una più generale estraniazione dalla prassi politica del giolittismo.
Liberista in economia, liberale e riformatore in politica, si astenne in seguito dal partecipare attivamente allo scontro tra i partiti, ma fece voti per la vittoria elettorale dell'amico Miglioli, cui riconosceva un ruolo fondamentale nello sviluppo civile e sociale del Cremonese.
Il 3 marzo 1914, proprio a cavallo tra le due candidature annunciate e bruciate, fece domanda di concorso al posto di segretario dell'Unione delle Camere di commercio. Vinse e il 29 maggio accettò la nomina e il trasferimento a Roma, dove giunse nel novembre 1914. Nel giugno 1916 fu nominato sottotenente di fanteria e mandato al fronte. Il 31 ott. 1917, durante la ritirata a Passariano, cadde prigioniero dei Tedeschi.
Fu l'inizio di 14 mesi di prigionia in Germania, prima a Rastatt e poi a Ellwangen, in condizioni dure e umilianti, cui reagì adoperandosi, con iniziative culturali e di denuncia, per migliorare la condizione dei prigionieri.
Rientrò in Italia il 21 dic. 1918, quindi restò ancora, per poco più di un anno, all'Unione delle Camere di commercio, che aveva ricostruito, sollevandola dalla situazione di crisi in cui l'aveva trovata prima della guerra. Nell'estate 1920 fu chiamato a dirigere gli uffici economici della Confederazione generale dell'industria italiana (Confindustria), divenendo anche segretario generale, e poi direttore, dell'Associazione nazionale società per azioni (Assonime), quindi uomo di fiducia e anello di collegamento tra E. Conti e G. Olivetti (presidente e segretario della Confindustria) e G. Volpi (presidente dell'Assonime).
In parte il suo era un lavoro dietro le quinte, di direzione e orientamento di tutte le pubblicazioni, periodiche e non, edite dalla Confindustria e dall'Assonime in quegli anni, e di organizzazione e produzione di cultura economica per conto terzi, il "relazionificio" di tanti disegni di legge e bilanci ministeriali. Nel contempo condusse con grande equilibrio trattative commerciali con l'estero, contemperando le esigenze degli industriali e quelle delle amministrazioni dello Stato.
Il generale apprezzamento per il suo operato gli valse un ruolo di primo piano nella soluzione dei problemi più spinosi che la crisi mondiale del 1929 pose all'economia dell'Italia fascista, soprattutto quale mediatore nella delicata gestione politica degli accordi industriali.
In occasione del discorso sulla politica degli scambi con l'estero, pronunciato al Consiglio nazionale delle corporazioni l'11 nov. 1931, ottenne la personale approvazione di B. Mussolini, che lo presiedeva. Sempre nel 1931, il G. fu nominato membro del consiglio d'amministrazione e del comitato direttivo dell'Istituto mobiliare italiano appena fondato, rifiutando quindi la carica di direttore generale. Nel 1934, per incarico dell'Istituto per la ricostruzione industriale, presiedette la commissione per la riorganizzazione dei cantieri navali; per due anni e mezzo, inoltre, rappresentò la Confindustria nella commissione ministeriale incaricata di gestire la legge sull'autorizzazione dei nuovi impianti industriali.
Oramai tecnico di indiscusso prestigio, espressione degli interessi confindustriali ma senza chiusure nei confronti della "nuova economia" corporativa, nella crisi degli anni Trenta il G. fu fra i protagonisti della politica finanziaria che, nello specifico, doveva fornire all'Italia strumenti adeguati alla nuova realtà del commercio internazionale; in particolare il G. istituì (maggio 1935) e diresse la sovraintendenza allo Scambio delle valute. Nata come strumento per la difesa e il consolidamento della moneta, la sovraintendenza fu trasformata in organo di gestione per le importazioni ed esportazioni come sottosegretariato per gli Scambi e per le Valute (29 dic. 1935, mentre la nomina del G. è del 2 genn. 1936), poi elevato al rango di ministero degli Scambi e delle Valute (novembre 1937).
La creazione del nuovo ministero si inseriva in una linea di politica economica generale che dalla metà degli anni Trenta affiancò il tentativo di pianificare a fini autarchici la produzione al controllo di alcuni settori chiave del commercio con l'estero, dei cambi e dell'industria di guerra attraverso le partecipazioni statali. Tale linea proiettava in un ruolo di governo un sempre maggior numero di tecnici puri, i quali, come il G., rispondevano direttamente e personalmente a Mussolini, secondo un processo di massimo accentramento, depoliticizzazione e tecnicizzazione della macchina dello Stato.
Sul piano specifico della politica commerciale, il nuovo ministero si rendeva necessario per adeguare l'Italia alla mutata realtà degli scambi internazionali, dominati da nuove forme di protezionismo (divieti, contingentamenti, monopoli, clearings statali e privati) che si erano aggiunti alla forma classica della protezione doganale e che erano, inoltre, condizionati, a partire dall'avventura etiopica e dalle conseguenti sanzioni, da una continua emergenza bellica. Ciò aveva accentuato l'urgenza di porre fine al caos di attribuzioni e competenze che imperava nel settore del commercio con l'estero, accentrando tutta la materia nelle mani del G. e rafforzandone progressivamente il ruolo istituzionale, da sovrintendente a sottosegretario a ministro. Nonostante quello degli Scambi e delle Valute fosse il più piccolo e il meno ricco dei ministeri, il G., in effetti, concentrava nelle proprie mani un notevole potere - da "dittatore delle valute" come Mussolini stesso volle definirlo - quale custode della riserva aurea, difensore del valore della moneta, regolatore della disciplina delle importazioni, delle esportazioni, dei pagamenti internazionali.
Qualsiasi importazione di merci estere da parte di privati o dello Stato, compresi i dicasteri militari, doveva essere sottoposto al benestare preventivo del Guarneri. Per realizzare in breve tempo un meccanismo così delicato e complesso, alla strada dell'accentramento burocratico egli preferì quella del decentramento: con l'ausilio di dieci giunte tecniche, il G. fissava i contingenti globali di importazione per ciascuna classe di merci, mentre le federazioni nazionali di categoria ripartivano dette quote tra gli associati richiedenti, rinviando al ministro solo la decisione sui casi controversi.
Una volta insediatosi alla sovraintendenza, il G. la organizzò sulla base di tre servizi: valute, scambi con l'estero e commesse statali, affidati rispettivamente ad A. D'Agostino, E. Caravale e G. Bracci. Promosse poi l'attuazione della nuova normativa sul commercio estero emanata dal ministro delle Finanze P. Thaon di Revel nel febbraio 1935, e potenziò le esportazioni tramite incentivi e aiuti diretti e indiretti. Attuò, inoltre, una rapida liquidazione degli arretrati, cioè dei debiti pregressi con Stati esteri.
Fin dall'inizio del suo lavoro al ministero degli Scambi e delle Valute, il G. dovette fare i conti con una situazione valutaria fortemente critica: la riserva aurea, già scarsa, venne ulteriormente decurtata per far fronte alle esigenze dell'impresa etiopica; in conseguenza, il fattore valutario assunse un ruolo preminente nell'attività di controllo espletata dal G. sulle valute e sulle importazioni, in una specie di costante braccio di ferro con le altre amministrazioni, particolarmente in relazione alla politica delle forniture militari.
Nello specifico, rispetto alla linea promossa da Mussolini, che puntava a un ulteriore sviluppo delle produzioni di guerra, il G. adottò una politica di massimo controllo e di massima limitazione degli sprechi, cercando di collegare quanto imposto dalle necessità contingenti con un più vasto obiettivo di sostegno dell'occupazione e tentando di utilizzare le spese per gli armamenti quale strumento anticiclico. Più in generale, e per quanto era in suo potere, accentuò una politica di incoraggiamento delle produzioni industriali e agricole che potessero recare diretto giovamento alla bilancia commerciale soprattutto sotto forma di un incremento delle esportazioni.
Dotato di solido realismo e del senso del limite entro cui il paese poteva muoversi nella specifica situazione dell'economia italiana (senso del limite che Mussolini non possedeva), riteneva che unica via d'uscita, a fronte dello squilibrio della bilancia commerciale e dei pagamenti, dell'emorragia cronica delle riserve auree, della generale contrazione degli scambi internazionali, del progressivo isolamento dell'Italia anche tra i paesi del blocco-oro, fosse, dopo la conquista dell'Impero, la "ricollocazione" del regime in un ruolo pacifico nell'ambito di quel poco che restava della collaborazione internazionale.
Questo realismo non significava che egli non condividesse la politica imperialista e nazionalista del regime: la conquista dell'Etiopia, nonostante i costi pesanti, appariva anche al G. una necessità e un valore che solo la successiva guerra mondiale avrebbe poi impedito di mettere a frutto; la distensione, la pace erano per lui semplicemente lo scenario più adatto tenuto conto della debolezza dell'economia italiana.
Quando il G. capì che Mussolini scivolava ormai verso l'intervento, accettò disciplinatamente la decisione, continuando però con ostinazione e con coraggio a ricoprire il poco gradevole ruolo di Cassandra del regime.
Nel corso di tutti questi anni la collaborazione tra il G. e Mussolini fu stretta (almeno tre incontri a settimana) ed efficace; in genere il duce prendeva le sue decisioni rispettando le posizioni di volta in volta espresse dal G., confortate dall'oggettività e dalla forza delle cifre, tranne nei casi in cui ragioni strettamente politiche prevalevano sulle ragioni pratiche del tecnico.
Oltre all'avversione per l'intervento nella guerra civile spagnola, e i costanti tentativi di diminuirne al massimo gli oneri, in più occasioni il G. mise in atto una politica economica di assoluta autonomia anche, e soprattutto, nei confronti dei Tedeschi: per esempio svincolò l'Italia dall'obbligo di pagare alla Germania la cosiddetta "punta" in divisa libera, cioè in oro, nella misura del 10% dell'ammontare globale delle importazioni da quel paese; nella primavera del 1939, già stipulata l'alleanza con la Germania, sospese la garanzia del cambio nei confronti del marco, preoccupato del congelamento del saldo del clearing a nostro favore: il conseguente freno delle esportazioni italiane in Germania fu denunciato dai Tedeschi come un vero e proprio atto di guerra; in polemica col ministro tedesco dell'Economia, W. Funk, respinse l'ipotesi di intese industriali tra i due paesi, per non mettere l'economia italiana in posizione subalterna a quella tedesca. Dopo lo scoppio della guerra, durante la non belligeranza dell'Italia, favorì invece in ogni modo l'esportazione di materiale bellico in Francia e Inghilterra. Caso raro nelle alte sfere del fascismo, rifiutò di recarsi in visita a Berlino.
In coerenza con tali scelte, il 5 ag. 1939 il G. aveva presentato a Mussolini un promemoria in cui, dopo aver tracciato un rapido bilancio del suo operato dal 1935, delineava crudamente il quadro di un paese sull'orlo della bancarotta, con le riserve auree quasi esaurite, impreparato ad affrontare qualsivoglia emergenza bellica, un paese che per uscire dal baratro avrebbe avuto bisogno di una politica economico-sociale di raccoglimento e di rigide economie, del rinvio dei grandi programmi di armamento, di un lungo periodo di pace durante il quale potenziare al massimo le attività produttive. La coraggiosa presa di posizione del G. non fu certo estranea all'iniziale decisione della "non belligeranza", ma pose anche il suo estensore in rotta di collisione con la radicata convinzione di Mussolini circa l'impossibilità di rimanere a lungo fuori dal conflitto. Fu questa una delle ragioni che portarono il G., logorato dalla permanenza di oltre quattro anni in una posizione di altissima responsabilità e da critiche impietose, ad abbandonare il ministero, su richiesta di Mussolini, alla fine dell'ottobre 1939.
Mussolini lo chiamò subito dopo a presiedere la Commissione per la liquidazione dei beni degli altoatesini che si trasferivano in Germania. Dal 1940 al 1944, poi, il G. fu vicepresidente della Società italiana delle strade ferrate meridionali (Bastogi), gestendo, insieme con il presidente A. Beneduce, il più importante organismo finanziario italiano a capitale privato, cui erano interessati i maggiori gruppi industriali. Contemporaneamente fu anche presidente dell'Italraion e dell'Istituto romano beni stabili, e membro dei consigli di amministrazione di Italcementi, Volta, Montecatini, Pirelli, Società adriatica di elettricità, Ossigeno, ACNA, Riunione adriatica di sicurtà e Società fiduciaria immobiliare. Nell'aprile 1940, il G. era stato, inoltre, nominato presidente del Banco di Roma.
La sua attività nell'ambito della banca può essere distinta in due fasi: nella prima, fin quasi a tutto il 1942, l'istituto seguì una politica estremamente dinamica a sostegno dell'espansione militare italiana verso il Mediterraneo, dal Bosforo a Gibilterra, e di allineamento con l'alleato tedesco: il G. compì allora quel viaggio in Germania che da ministro aveva fatto di tutto per evitare, mettendo l'accento, nel discorso pronunciato il 29 apr. 1941 all'Università di Kiel (poi edito: Autarchia e scambi internazionali, Roma 1941 e pubblicato anche in tedesco, Autarkie und Aussenhandel, Jena 1941) sulla complementarità degli spazi vitali di Italia e Germania, destinate a formare un unico spazio economico e a instaurare in Europa un ordine nuovo. Nella seconda fase, a partire dalla fine del 1942, le sconfitte militari cambiarono radicalmente l'atteggiamento del G. che, dopo il 25 luglio, si avvicinò al maresciallo P. Badoglio e alla monarchia.
Dopo l'armistizio cominciarono nove mesi di vita tormentata e di scelte difficili. L'8 ottobre il ministro delle Finanze della Repubblica sociale italiana, D. Pellegrini Giampietro, gli offrì, a nome di Mussolini, la carica di governatore della Banca d'Italia. Il G. rifiutò, optando per una forma di resistenza passiva che si traduceva nel rifiuto ad abbandonare Roma e trasportare al Nord gli organi direttivi del Banco di Roma, come i Tedeschi pretendevano. Il braccio di ferro durò a lungo, finché l'ostilità del ministro dell'Economia corporativa, A. Tarchi, che aveva posto il veto alla nomina del G. alla guida della Montecatini dopo l'arresto di G. Donegani, lo costrinse il 9 maggio 1944 alle dimissioni dalla presidenza del Banco di Roma.
Come massimo responsabile della Società italiana delle strade ferrate meridionali dopo la morte di Beneduce, il G. si oppose anche al trasferimento al Nord dei titoli azionari e dell'organizzazione amministrativa di questa società; il 29 maggio fu arrestato, insieme con il direttore generale C.A. Miranda, e rilasciato a tarda sera. Finse, allora, di organizzare la partenza per il Nord, ma si nascose invece presso amici fino all'ingresso a Roma il 4 giugno, delle truppe anglo-americane.
Nel dopoguerra, prosciolto nel procedimento penale per "atti rilevanti" di fronte alla Commissione per l'epurazione, il G. riprese in pieno il suo ruolo quale punto di riferimento dei grandi gruppi privati, chiamato spesso a mediare i conflitti tra i vari gruppi industriali (come nel caso dei conservieri, dei birrai, dei cementieri). Tornò anche a ricoprire numerose cariche quali presidente dell'Istituto romano beni stabili, vicepresidente delle Strade ferrate meridionali, presidente della Società italiana industria degli zuccheri, vicepresidente della Meridionale di elettricità, consigliere di Cogeco, Italmobiliare, Ente finanziamenti industriali, Montecatini, Italcementi, Cementerie siciliane; inoltre seguì lo sviluppo di una nuova società petrolifera, la Condor.
Dal 1948 al 1952 si dedicò all'elaborazione delle sue memorie, pubblicate in due volumi col titolo Battaglie economiche tra le due grandi guerre (Milano 1953; riproposte in una nuova edizione critica, a cura e con introduz. di L. Zani, Bologna 1988), testo considerato fonte autorevole per la storia non solo economica ma anche politica del regime fascista, e fonte essenziale per ricostruirne la politica commerciale e valutaria per quanto concerne il labirinto dei cambi, della circolazione e del credito.
Il G. morì a Roma il 3 apr. 1955.
Degli scritti e discorsi del G. si ricordano ancora: Le Camere di commercio e i fittabili, Cremona 1906; Le basi della rendita ricardiana ed il progresso agricolo, Verona-Padova-Cremona 1907; Questionario per la raccolta degli usi commerciali marittimi della piazza di Genova, Genova 1908; Sulla istituzione di un corpo di pesatori ufficiali nei maggiori porti del Regno, ibid. 1909; Norme sul contratto di locazione d'opera, ibid. 1909; Il commercio di Genova in relazione al commercio del Regno nel periodo 1871-1908, in Commercio di Genova negli anni 1907-1908, ibid. 1910; La Marina libera a s.e. L. Luzzatti, ibid. 1910; Il recente rincaro delle carni e il problema della minuta vendita, ibid. 1910; Lotte e armonie di classe, Cremona 1911; Il problema del lavoro nel porto di Genova, Genova 1912; A proposito delle linee celeri dell'Egitto, ibid. 1912; La politica degli scambi con l'estero, Roma 1931; Politica monetaria e del credito (con G. Bottai), in Lo Stato e la vita economica, Padova 1934; La politica economica dell'Italia nei rapporti internazionali. Discorso pronunciato alla Camera il 22 marzo 1938, Roma 1938; Politica commerciale e politica valutaria. Discorso pronunciato al Senato il 6 apr. 1938, ibid. 1938; Autarchia e commercio estero. Discorso pronunciato al Convegno per l'autarchia a Torino il 30 ott. 1938 (s.l. né d., ma 1938); La politica commerciale e valutaria del governo fascista. Discorso pronunciato alla Camera il 12 maggio 1939, Roma 1939; La politica delle relazioni economiche internazionali dell'Italia fascista. Discorso pronunciato al Senato il 26 maggio 1939, ibid. 1939.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del Banco di Roma, Carte Felice Guarneri; Ibid., Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Polizia politica, f. G. F.; Ibid., Arch. stor. della Banca d'Italia, Archivio Azzolini, cart. 5, f. Corrispondenza con il ministero degli Scambi e delle Valute; cart. 25, f. G. F.; L. Zani, Il trasferimento al Nord degli organi direttivi del Banco di Roma nel diario di F. G., in Storia contemporanea, XVIII (1987), pp. 813-849; Id., Fascismo, autarchia, commercio estero: F. G., un tecnocrate al servizio dello "Stato nuovo", Bologna 1988; A. Staderini - L. Zani, F. G.: esperienza di guerra e di prigionia (1916-1919), Milano 1995.