GAJO, Felice
Nacque a Canegrate, nei pressi di Legnano, il 5 nov. 1861 da Natale e Amalia Taglioretti.
Benché la famiglia di origine non fosse di così umili condizioni come asserito da molti biografi (in effetti nell'atto di battesimo i genitori erano definiti "possidenti"), il G. interruppe presto gli studi per entrare come operaio in una piccola tessitura; più tardi fu assunto come magazziniere al Cotonificio Candiani e ancora giovanissimo, prima del lungo servizio militare, divenne viaggiatore per varie ditte di Busto Arsizio, ottenendo un discreto successo e ampliando la sua conoscenza dei mercati per i prodotti tessili.
La vera svolta della sua vita fu rappresentata tuttavia dal matrimonio con la ricca legnanese Ida Lampugnani, sorella dell'ingegnere Adolfo.
Quest'ultimo aveva fondato nel 1885 la Società in accomandita semplice Lampugnani & C. (dal capitale di 80.000 lire e con la partecipazione degli industriali liguri-piemontesi Delle Piane nonché dei legnanesi fratelli Banfi), che aveva eretto a Villastanza di Parabiago, lungo il canale Villoresi e la ferrovia, una tessitura meccanica. Questa, inserita in un edificio a due piani composto da otto grandi locali, era dotata, una decina d'anni dopo, di circa 200 telai, oltreché di un proprio impianto per la produzione di energia elettrica a scopo di illuminazione, e dava lavoro a circa 130 operai.
Nel giugno del 1898, dopo che era venuta a scadenza la ditta precedente, il Lampugnani decise di associarsi al cognato e di costituire la Società in nome collettivo ing. Lampugnani e Gajo, con un capitale di 400.000 lire: l'ingresso ufficiale del G. nell'azienda si rivelò particolarmente propizio, perché da allora in poi la società conobbe una continua espansione. Già nel 1899 Lampugnani e il G. acquisirono metà del capitale (50.000 lire su 100.000) della Società in accomandita semplice G. Abbiati & C. (già Abbiati e Gardella), una tintoria e stamperia creata a Nerviano nel 1895; nel 1904, il G. fu nominato presidente con pieni poteri della Società anonima cotonificio di Parabiago (dal capitale di 800.000 lire e nata come ditta Carlo Gadda nel 1890), proprietaria di una tessitura a Legnano e di una tessitura con filatura a Parabiago. Infine nel 1905, dopo l'assorbimento della Abbiati, diede vita all'Anonima manifatture riunite ing. Lampugnani e Gajo - G. Abbiati & C. (poi semplicemente Manifatture riunite di Parabiago), con un capitale di 4 milioni.
Il G. era dunque riuscito a realizzare la piena integrazione verticale di tutte le fasi della fabbricazione cotoniera, dalla filatura alla stamperia. La nuova società venne subito quotata in borsa e trovò facilmente consistenti affidamenti presso le principali banche "miste" italiane, la Banca commerciale e il Credito italiano, ma anche presso un operatore "prudente" come la Cassa di risparmio delle provincie lombarde.
La politica di crescita dell'impresa, attuata attraverso l'acquisizione di aziende in difficoltà, si manifestò pienamente ancora una volta nel 1910, in occasione delle trattative intercorse con il Cotonificio Muggiani.
Tale società, fondata nel 1903 dai fratelli Muggiani, costituiva un poderoso complesso aziendale (filatura, ritorcitura, tessitura meccanica, stamperia con stabilimenti a Rho, Busto Arsizio, Intra, Trecate e Baveno), ma si era trovata poi in cattive acque, sia per gli effetti della crisi cotoniera, iniziata nel 1907, sia per veri e propri errori di gestione. Tra il maggio e il giugno 1910 il Cotonificio Muggiani riduceva il capitale da 10 a 4 milioni (per poi riaumentarlo a 11, di cui inizialmente versati 8), e modificava la ragione sociale in Unione manifatture; nel contempo le Manifatture riunite di Parabiago venivano liquidate e il G., che aveva apportato i suoi stabilimenti alla Unione manifatture in conto capitale, assumeva la presidenza e i pieni poteri nella nuova società, provvedendo immediatamente a far allontanare i fratelli Muggiani. Si formava così un'aggregazione di undici unità produttive tra Piemonte e Lombardia, dove erano installati 170.000 fusi di filatura e ritorcitura, 2.800 telai meccanici e 15 macchine da stampa.
Il G., che era riuscito con le sue Manifatture riunite a passare indenne attraverso la citata crisi cotoniera (continuando a distribuire dividendi fino al 1909), fu capace di risollevare le sorti della vecchia Muggiani, di effettuare forti ammortamenti e nuovi investimenti in impianti, e persino di riottenere crediti presso le banche, nonostante i turbamenti creati al commercio internazionale dalla guerra italo-turca, cosicché al momento dell'entrata in guerra dell'Italia, nel maggio del 1915, i telai erano diventati 3500 mentre gli operai toccavano le 5000 unità. Si noti che allora il valore della produzione annua toccava i 20 milioni di lire. Se il conflitto bellico ridusse il flusso di esportazione - per la quale in precedenza la società si era brillantemente distinta in direzione specialmente dell'Oriente, del Nordeuropa e del Sudamerica - ora pingui profitti provenivano dalle ordinazioni militari e, nel 1917, si raggiunsero quasi 3 milioni di utili dichiarati.
In seguito l'andamento dell'azienda non risentì, a differenza di molte altre imprese cotoniere, né delle difficoltà della fase di ristrutturazione dell'immediato dopoguerra (va solo osservato che nel 1921 il G. decise di staccare dalla Unione manifatture il candeggio e la tintoria di Nerviano, erigendo una società formalmente autonoma, di cui peraltro assunse la presidenza), né dei formidabili ostacoli creati all'esportazione, nel 1926, dalla decisione del governo Mussolini di rivalutare la lira. Anzi, proprio nel 1928, seguendo la linea politica che aveva sperimentato in precedenza, il G. assorbì il Cotonificio di Trobaso nel Novarese. Soprattutto, e per ragioni che la disponibilità di fonti non ci consente di appurare, l'Unione manifatture non soffrì che di sfuggita della "grande crisi" iniziata nel 1929: l'azienda del G. continuò a incamerare utili, seppure in tendenziale lieve flessione fino al 1934 (in lire, rispettivamente: 1930, 6.373.000; 1931, 6.242.000; 1932, 5.853.000; 1933, 5.793.000; 1934, 4.973.000; 1935, 6.193.000), e ad accrescere in modo eccezionale le riserve, a tal punto che, nel 1934, fu necessario portare il capitale da 30 a 40 milioni.
Nonostante le ingenti risorse, anche personali, accumulate, non pare che il G. si impegnasse molto sul piano finanziario al di fuori della sua impresa. Fu vicepresidente della Banca di Legnano, presidente della SAME (editrice de Il Secolo sera e de L'Ambrosiano), membro del Consiglio di amministrazione delle Imprese per la distribuzione di energia elettrica e del Cotonificio Valle Ticino. Nel 1905 aveva anche fondato, insieme con il Lampugnani, una piccola società immobiliare. Fu inoltre attivo nell'organismo di categoria, l'Associazione cotoniera, e nelle sue derivazioni, come l'Istituto cotoniero o, a cavallo della prima guerra mondiale, l'Ente trasporto cotoni, di cui acquistò molte azioni ma con il quale fu sempre in rapporti tesi e polemici, in particolare con il suo presidente, il barone C. Cantoni che, a parere del G., non gestiva in modo efficiente la delicata opera di rifornimento del cotone greggio.
Notevole fu la sua attività politico-amministrativa: tenne la carica di sindaco di Parabiago nel 1900-01 e nel 1903-06. Sconfitto alle elezioni amministrative di Nerviano del 1920, fu eletto di nuovo sindaco di Parabiago con una forte connotazione politica antisocialista (si era iscritto al partito fascista nell'agosto 1921), dal 1923 al 1926; nel 1927 fu quindi nominato podestà, carica che ricoprì sino alla morte.
Nominato senatore il 24 febbr. 1934, aveva tuttavia già raccolto numerose onorificenze sia da parte dello Stato italiano sia da parte della Santa Sede, per la sua opera di sostegno a istituti ed enti religiosi, nella capitale e nella diocesi di Milano. A tale proposito va ricordato che il testamento del G., redatto fin dal 1926, incaricava la moglie di far costruire a Parabiago un ricovero per anziani (che non fu realizzato) e una chiesa dedicata al martire cristiano s. Felice. La "mastodontica inconfondibile mole" del santuario di S. Felice - progettato da G. Maggi e inaugurato nel 1946 dal cardinale I. Schuster arcivescovo di Milano - sovrasta ancora oggi la città di Parabiago, benché la grande cupola sia stata ricostruita su strutture più stabili e snelle dopo il rovinoso crollo avvenuto nel gennaio 1950. Il nome del G. è, infine, legato alla nota patera d'argento di Parabiago, importante reperto archeologico del II secolo dopo Cristo, da lui rinvenuta nel 1907 durante i lavori di sistemazione della sua "ricchissima" (Bricchi) villa di Parabiago: il G. la tenne per sé e l'importante scoperta rimase ignorata da tutti. Tuttavia nel 1929 l'archeologa Alda Levi ne ebbe notizia e, riuscita a vederla, ne volle chiedere, data la rilevanza storica e artistica, l'avocazione allo Stato. Il G. si oppose fermamente e ne nacque una lunga vertenza, finché, nel 1934, il prezioso reperto poté finalmente essere assicurato al patrimonio artistico nazionale.
Il G. si spense improvvisamente a Parabiago il 31 dic. 1935. Non avendo avuto figli, l'avvocato G. Labus assunse la presidenza della società che venne guidata dall'ingegner G. Riva, marito dell'amata nipote del G., Raffaella Lampugnani.
Al momento della scomparsa del G. l'Unione manifatture contava 14 stabilimenti, 213.000 fusi di filatura, 20.252 fusi di ritorcitura, 4921 telai e una potenza installata di 6500 HP. La gamma della produzione era assai vasta, in particolare per i tessuti, che andavano dagli articoli più semplici e di uso popolare a quelli più raffinati come i satin, i cachemire, i calicò, senza contare prodotti di tipo particolare come i tessuti per ombrello, le garze mediche o le tele per ricamo. Oltre che in Italia, la produzione, mercé una fitta rete di agenti e di rappresentanti, era venduta abbondantemente in Europa, in Africa, in Medio Oriente e in Sudamerica.
La straordinaria vicenda imprenditoriale del G., che partendo da un fortunato matrimonio fu in grado, grazie alla sua abilità - non v'è dubbio che la gestione dell'impresa fu sempre saldamente nelle sue mani e che al Lampugnani fossero destinate questioni prettamente tecniche -, di trasformare una modesta tessitura del Legnanese in uno dei principali cotonifici italiani, sfugge a un'analisi approfondita proprio per l'assenza di documentazione aziendale, la sola che ci permetterebbe di cogliere nelle sue sfumature le tattiche e strategie di gestione che consentirono di ampliare gradatamente la compagine produttiva e di posizionarsi in maniera sempre positiva di fronte all'avversa congiuntura economica, per quanto devastante e generale fosse. Né ci aiutano le relazioni del consiglio di amministrazione, che accennano genericamente a una sua "opera assidua e prudente" (come nel bilancio per il 1922) o a "risultati veramente insperati, dato l'andamento generale dell'industria cotoniera" (come nel bilancio per il 1933). L'unico elemento che è possibile sottolineare è la tempestiva e accorta acquisizione di complessi aziendali in crisi, che gli permise di accrescere notevolmente, a costi molto bassi, la potenzialità produttiva, senza impegnarsi in onerosi investimenti ex novo in stabili e impianti (ma ciò naturalmente non spiega come il G. potesse poi aumentare senza conseguenze negative la produzione in fase di contrazione della domanda o di eccesso di offerta).
Per quanto riguarda i rapporti con la manodopera, egli si attenne in generale al tipico comportamento delle imprese della zona, indirizzandosi cioè verso una politica oscillante tra autoritarismo, beneficenza e paternalismo (promuovendo ad esempio diverse istituzioni assistenziali per gli operai). Va peraltro osservato che questo sistema di relazioni industriali non impedì del tutto il sorgere di conflitti di lavoro talora assai aspri: si ebbero così scioperi nel 1898, nel 1907-08, nel 1910, nel 1911 e persino in epoca fascista, quando, nel novembre 1927, le operaie di Legnano effettuarono una fermata simbolica del lavoro in segno di protesta contro la riduzione delle paghe decisa dall'azienda.
Fonti e Bibl.: Necr. in Bollettino della Cotoniera. Riv. tessile mensile, XLIII (1936), 1, pp. 2 s.; L. Sabbatini, Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Milano, Milano 1893, pp. 296, 451, 455; Milano, Archivio notarile distrettuale, atto n. 664, 30 giugno 1898, notaio G. Serina (Milano); Ministero di agricoltura, industria e commercio. Direzione gen. della statistica, Statistica industriale. Lombardia, Roma 1900, pp. 412 s.; Id., Statistica industriale. Riassunto delle notizie sulle condizioni industriali del Regno, pt. I, Roma 1906, pp. 75, 120; Parabiago, Archivio municipale, Verbali del Consiglio comunale e Registro delle deliberazioni di Giunta, 1900-35; Notizie statistiche sulle principali società per azioni quotate nelle Borse del Regno. Marzo 1908, Milano 1908, p. 47; Milano, Archivio storico della Banca commerciale italiana, ETC, cc. 4, 11, 66; CpEC, copialettere n. 6; Bil. Micro, bilanci Unione manifatture, 1910-35; Ibid., Archivio storico della Camera di commercio, bobb. 166, 180, 217, 226; Ibid., Archivio storico diocesano, Canegrate, Battesimi, n. 72; Associazione fra gli industriali cotonieri e Borsa cotoni (poi Associazione cotoniera italiana, poi Associazione italiana fascista degli industriali cotonieri), Annuario dell'industria cotoniera in Italia (poi Annuario dell'industria cotoniera italiana), Milano 1908, 1912, 1923, 1926, 1930; Credito italiano (poi Associazione fra le Società italiane per azioni), Notizie statistiche sulle principali Società italiane per azioni (poi Società italiane per azioni. Notizie statistiche), Milano (poi Roma) 1910-36; Banca commerciale italiana, Cenni statistici sul movimento economico dell'Italia…, Milano 1915, p. 281; F. Bartolotta, Parlamenti e governi d'Italia dal 1848 al 1970, I, Roma 1971, p. 316; Prefettura di Milano, Foglio degli annunzi legali, 1905-10; A. Bricchi, Parabiago, in Illustrazioni di Lombardia, s. 2, II (1910), 15, pp. 5 ss.; C. Di Nola, La crisi cotoniera e l'industria del cotone in Italia, in Giornale degli economisti e Rivista di statistica, s. 3, XXIII (1912), vol. 44, pp. 548, 550 s.; R. Bachi, L'Italia economica nell'anno 1912, IV, Torino 1913, p. 81; Id., L'Italia economica nell'anno 1913, V, ibid. 1914, p. 72; A. Levi, La patera d'argento di Parabiago, Roma 1935, passim; Il santuario di S. Felice in Parabiago, Milano 1946, passim; M. Ceriani, Storia di Parabiago. Vicende e sviluppi dalle origini ad oggi, Milano 1948, pp. 13 ss., 152-158, 238-241; P. Rossi, Dall'Olona al Ticino. Centocinquant'anni di vita cotoniera. Profili, Varese 1954, pp. 73 ss. (fonte molto imprecisa, anche se l'autore conobbe personalmente il G.); A. Confalonieri, Banca e industria in Italia 1894-1906, Milano 1975, I, p. 385; II, p. 353; M.C. Cristofoli - M. Pozzobon, I tessili milanesi. Le fabbriche, gli industriali, i lavoratori, il sindacato dall'Ottocento agli anni '30, Milano 1981, pp. 58, 168; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia dalla crisi del 1907 all'agosto 1914, Milano 1982, I, pp. 173 s., 187, 325, tavv. XXVII, XXXIV s., LII; II, p. 144; A. Bernard, Storia dell'Associazione cotoniera italiana, Milano 1982, p. 140; E. Gianazza, Profilo storico di Nerviano, Nerviano 1990, pp. 280-302; Id., Uomini e cose di Parabiago, Parabiago 1990, pp. 18, 174 s., 190; P. Macchione, Una provincia industriale. Miti e storia dello sviluppo economico tra Varesotto e Alto Milanese, II, Varese 1991, pp. 319 s.; R. Romano, L'industria cotoniera in Lombardia dall'Unità al 1914, Milano 1992, pp. 159, 194, 331; A. Confalonieri, Banche miste e grande industria in Italia 1914-1933, I, Milano 1994, p. 987; Chi è? Diz. degli Italiani d'oggi, Roma 1931, ad vocem.