BELLOTTI, Felice Gaetano Maria
Nacque a Milano il 26 ag. 1786, da Giovanni Pietro, dottore in legge, e da Maria Antonia Vandoni, e, dopo aver studiato nelle scuole dei barnabiti, fu avviato dal padre agli studi di legge presso l'università di Pavia, dove si laureò nel 1805 e dove ebbe occasione di conoscere l'ellenista M. Butturini, V. Monti, che frequentò in seguito a Milano, e A. Mustoxidi, col quale rimase legato da fraterna amicizia. Affascinato dalla cultura classica, abbandonò ben presto l'attività giuridica e si dedicò alle letterature latina e greca. Primo saggio in questo campo fu la traduzione del V° Libro dell'Odissea (Milano 1811). A questo seguì la versione dei tragici greci, che il B. intraprese forse suggestionato dalla lettura delle tragedie dell'Alfieri. Nel 1813, a Milano, uscì la traduzione delle Tragedie di Sofocle, accolta con incoraggiante favore. Mise così mano a Eschilo, che pubblicò a Milano nel 1821 (Tragedie di Eschilo), e pochi anni dopo a Euripide, di cui pubblicò a Milano, nel 1829, Ippolito, Alcesti, Andromaca, Le Supplicanti, Ifigenia in Aulide.Nel 1834 pubblicò una sua tragedia, La Figlia di Jefte, di argomento biblico e di fattura classica. Appassionato cultore di arte, fra il '39 e il '50 fu consigliere straordinario dell'Accademia di Belle Arti di Milano, dove ricoprì temporaneamente la carica di segretario e di presidente. Fece anche parte del consiglio comunale milanese, e proprio nella veste di consigliere il 18 marzo 1848, allo scoppio dell'insurrezione, venne arrestato. Con un'ode, La liberazione di Milano, esaltò la partenza degli Austriaci; il 6 aprile commemorò nella cattedrale i morti delle Cinque Giornate. Prima del ritorno degli Austriaci il B. si rifugiò a Lugano; alla fine dell'anno era di nuovo a Milano, dove riprese la direzione dell'Accademia. Nel 1850, malandato in salute e stremato di forze, si ritirò a vita privata dedicandosi tutto ai suoi studi. Nel 1851 a Milano pubblicò la seconda edizione di Euripide (le cinque tragedie già tradotte nel '29, le altre dodici, più il dramma satiresco Il Ciclope e la tragedia spuria Reso); quattro anni dopo curò la nuova edizione di Sofocle (Milano 1855), che fu assai lodata dal Mustoxidi. Avrebbe dovuto seguire la ristampa di Eschilo, ma la morte lo colse il 14 febbr. 1858, in Milano. Lasciò manoscritte la traduzione dei Lusiadi di L. Camões, in ottave, e quella degli Argonauti di Apollonio Rodio, in versi sciolti, pubblicate postume (rispettivamente, Milano 1862 e Firenze 1873) a cura di G. A. Maggi, amico e biografo del Bellotti.
La fama dei B. è affidata alla sua opera di traduttore, particolarmente dei tragici greci. Questa traduzione, la prima integrale in Italia, si presenta sempre dignitosissima, di buon livello letterario, pur peccando di una certa uniformità che nasconde le profonde differenze dei tre autori, sostanzialmente fedele al testo che il B. studiò con scrupolo e filologica diligenza, tenendo conto delle più recenti lezioni ed interpretazioni che si andavano dando in Inghilterra e in Germania.
Meno nota è la traduzione dei Lusiadi, assai felice per un costante equilibrio tra l'attenta fedeltà al testo e una scorrevole duttilità. Il B., che in teoria aveva superato, in una più ampia idea della poesia, la polemica fra classicisti e romantici intorno ai Lusiadi, nella realtà della traduzione - per un prevalere della perfezione formale sulla libertà di articolazione espressiva - opta per un'interpretazione neoclassica del poema portoghese. Esatta, fedele, ed estremamente dignitosa è pure la traduzione di Apollonio Rodio. Scarso valore hanno invece le opere originali, che non si sollevano molto dal piano di oneste esercitazioni scolastiche.
Esente da complicazioni polemiche e scolastiche, il B. si vantava di non essere né classicista né romantico: "Classici e Romantici sono parole e non idee" scriveva. In relazione con tutti gli ambienti culturali della penisola e coi più noti letterati classici e romantici, fu insieme tra i protagomisti e i cooperatori del movimento intellettuale italiano della prima metà dell'Ottocento. Amicissimo del Monti, che lo chiamava il suo "alter ego" e che in più di una lettera gli manifestava riconoscenza per gli aiuti datigli nella traduzione dell'Iliade, il B. ne pronunciò l'allocuzione funebre e promosse una raccolta di fondi (come risulta dal carteggio con G. B. Niccolini) per erigergli un monumento. Amico del Niccolini, gli inviava in esame le traduzioni e ne riceveva in lettura le tragedie. Col Mustoxidi tenne corrispondenza in italiano e in greco, e ne corresse la tradikzíone italiana di Erodoto. Ebbe anche relazione col Berchet, col Papadopoli, col Gherardini, col Viesseux, con Isabella Albrizzi, colla Mojon.
Bibl.: Per un elenco completo delle opere del B. vedi A. Vismara, Bibl. del dott. F. B. con cenni biografici e ritratto, Milano 1899; V. Monti, Lettere inedite e sparse, a cura di, A. Bertoldi e G. Mazzatinti, II, Torino 1896, passim; B. Bicindelli, Allocuzione letta sul feretro di F. B. il 16 febbr. 1858, Milano 1858; C. Tenca, Cenno commemorativo intorno a F. B., in Il Crepuscolo, IX, 8 (1858), pp. 126 s.; F. Pavesi, Cantica in morte di F. B., in Appendice alla Gazzetta di Milano, 11 marzo 1858; G. Todeschini, in Gazzetta di Venezia, 25 febbr. 1858 (articolo sui funerali del B.); A. Mauri, Il libro dell'adolescenza, Milano 1859, p. 393; G: Al Maggi, Della vita e degli scritti di F. B., Milano 1860; A. Vannucci, Ricordi della vita e delle opere di G. B. Niccolini, I-II, Firenze 1866, passim; G. Anselmi, Biografie di illustri Italiani, Milano 1873, I, pp. 41-44; G. Zanella, I Lusiadi di L. Camoens tradotti da F. Bellotti, in Nuova Antologia, XXVII, 12 (1881), pp. 569 s.; P. Petrocchi, La letteratura a Milano, in Mediolanum, II, Milano 1881, p. 220; Lettere d'illustri Italiani ad A. Papadopoli, a cura di G. Gozzi, Venezia 1886, pp. 13-42 (14 lettere dal 1828 al 1836); G. Carcano, Opere complete, V, Memorie di grandi e di amici, Milano 1894, pp. 359-364; L. Nofri, Di F. B. la vita, gli amici, in Rass. naz., CLXXXVI, a. XXXIV (1912), pp. 387-392, 467-476; G. Bustico, Una lettera inedità di F. B. aStefano Grosso, in Il Marzocco, XXXIII(1928), p. 4; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano pp. 206, 339, 372, 400, 407 s., 119-49, 166, 819, 825, 934; R. Ciampini, G. Vieusseux. I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, Torino 1953, p. 110; A. Martinengo, La fortuna di L. Camoens in Italia, in Riv. di studi mediolatini e volgari, II, Bologna 1954, pp. 9, 10, 11, 13, 22, 24, 25; S. Timbanaro, La filologia del Leopardi, Firenze 1955, p. 32, nota; M. Rosi, Diz. del Risorgimento naz., II, pp. 227 s.; Encicl. Ital., VI, p. 572.