FEDERIGO di ser Geri d'Arezzo
Nacque probabilmente ad Arezzo tra il secondo e il terzo decennio del sec. XIV dall'avvocato, professore di diritto civile e preumanista Geri d'Arezzo.
Il padre, in una lettera diretta a Cambio da Poggibonsi, anch'egli uomo di legge e letterato, racconta di avere tre figli in tenera età, tutti nati dal suo secondo matrimonio. La lettera però, non databile, non può offrire notizie cronologiche. Un punto di riferimento è invece rintracciabile in un protocollo notarile aretino del 1349 che cita F. come testimone di un atto riguardante la famiglia degli Ubertini, una delle notabili della città. Nulla si sa con certezza della sua professione, anche se la sua attività letteraria potrebbe far presumere che possa essere stato, come il padre, uomo di legge. Il Weiss, che per primo ha citato il protocollo aretino, ha riportato l'indicazione del nome come "Dominus Fredericus olim domini Gerii ser Frederici de Aretio", inferendo dal titolo di "dominus" la professione legale di Federigo. Ciò è inesatto. In realtà il nome vi è segnato semplicemente come "Federico olim ..."; né in altri documenti F. viene fregiato di alcun titolo. Sicuramente, invece, suo fratello Giovanni abbracciò la professione di notaio, come attesta un atto privato fiorentino che lo registra come tale già nell'anno 1339.
Di certo F. partecipò alla vita politica di Arezzo, travagliata alla metà del secolo dalle lotte interne della nobiltà guelfa e ghibellina che sarebbero terminate nel 1384 con la sottomissione della città al dominio di Firenze. Nell'ottobre del 1351 egli prese parte, assieme ai suoi fratelli Giovanni e Bandino, a una congiura organizzata dalle famiglie ghibelline, tra le quali quelle dei Brandaglia, Pazzi e Ubertini, con l'appoggio di Bartolomeo Casali, signore di Cortona, per rovesciare la supremazia guelfa nel governo di Arezzo. Il tentativo falli; i congiurati furono banditi, e solo con la pace tra l'arcivescovo di Milano, Firenze e altre città toscane, conclusa il 31 marzo 1353, furono riammessi in città. Nel documento, che elenca per esteso i nomi dei cittadini riammessi ad Arezzo e risarciti dei beni confiscati, figurano anche i nomi dei tre figli di Geri.
Rimangono oscuri gli avvenimenti successivi della vita di F.; di lui ignoriamo anche la data di morte.
Se è lui il "Federigus Arretinus" cui Petrarca diresse due epistole senili, possiamo aggiungere un ulteriore dato biografico. In una di esse, la settima dell'ottavo libro, non precisamente databile ma risalente almeno al 1367, Petrarca elogia il suo interlocutore per aver tratto un saggio profitto dalla serena accettazione della propria povertà: aver cioè abbandonato la città ed essersi ritirato in campagna. La lettera offre un'immagine dei suo destinatario perfettamente congruente con la maturità che F. doveva aver raggiunto all'epoca della sua composizione. Essa getta inoltre una pur fioca luce sugli anni precedenti della vita del destinatario, durante i quali egli dovette fare a meno delle "molestie delle cittadine onoreficenze", pagando così lo scotto del fallimento politico giovanile.
Meno congruente è l'altra epistola petrarchesca, la quinta del quarto libro, che, dietro sollecitazione di un Federigo, tratta il tema dei significati allegorici dell'Eneide. Anchequesta lettera, che porta solo la data del 23 agosto, non è databile con precisione; comunque fu composta probabilmente tra il 1364 e il 1366. Risulta singolare il fatto che Petrarca definisca sé vecchio e Federigo giovanissimo, mentre la differenza d'età fra i due non doveva superare i venti, venticinque anni d'età. Se si esclude l'eventualità che si tratti di un altro Federigo d'Arezzo, l'apparente aporia va risolta nei termini dell'artificio oratorio che amplifica i due ruoli del maestro e del discepolo.
L'attività letteraria, cui è legata la memoria di F. e della quale sono rimasti pochi sonetti e un'epistola metrica, è svolta tutta sotto l'ideale magistero petrarchesco.
I sonetti che le fonti manoscritte gli attribuiscono sono quattro in tutto: "Gli antichi e bei pensier convien ch'io lassi", "In ira al cielo, al mondo e alla gente", "Solo soletto ma non di pensieri", "Se Silla in Roma suscitò 'l romore". I primi tre sviluppano aspetti della tematica amorosa secondo il modello ideologico e stilistico del Petrarca volgare: basti citare a riprova alcuni sintagmi del primo dei sonetti citati: "e 'l vago rimirar e i dolci passi" (v. 4), "e 'l ragionar di lei" (v. 11), "e le lagrime ancor ch'io sparsi tanto" (v. 12). Il quarto è invece un'invettiva contro Firenze condotta attraverso il confronto con Roma antica, rispetto alla quale la città toscana risulta essere una potenza molto più misera, anche se non meno devastata da conflitti interni. Il sonetto non risente soltanto dell'influsso petrarchesco, ravvisabile nell'elogio retorico della grandezza romana, ma anche e soprattutto del piglio politico e municipale della poesia toscana due-trecentesca. Il manierismo dei sonetti è sottolineato anche dal fatto che una cospicua tradizione manoscritta h attribuisce al Petrarca "extravagante". "Solo soletto" è attribuito da due codici a un terzo autore, Marchionne Torrigiani. Allo stesso modo "Se Silla" è tramandato adespoto, attribuito a Petrarca, Niccolò Soldanieri e a non meglio identificabili messer Annibale e Scricca. L'epistola "Si petis assiduis sotium dilecte querelis" è diretta a Tancredi de' Vergiolesi, pistoiese, titolare di cariche pubbliche in varie città toscane e corrispondente di Coluccio Salutati, e svolge il tema tipicamente medievale della fortuna instabile e della forza morale necessaria per sopravviverle. L'autore vi si dichiara esplicitamente poeta, sensibile al "Pyerius ... amor" e all'"otium" letterario, testimoniando una coscienza quasi umanistica della propria attività intellettuale. Ulteriori elementi caratteristici di questa attività possono ricavarsi dalle due Seniles ricordate, una volta accettato che ne sia lui il destinatario. Oltre a far postulare l'esistenza di due sue epistole, oggi perdute, dirette a Petrarca (le cui lettere sono in forma di risposta), esse ci informano degli interessi letterari classici dell'autore, anche se diretti a un testo divulgatissimo come l'Eneide (IV, 5), della sua prosa epistolare "arguta, graziosa, faceta e retta nei giudizi" e di una frequentazione col grande poeta più ampia di quella registrata (VIII, 7).
La scarsa documentazione critica su F. prende l'avvio dalla menzione nei Comentarij del Crescimbeni, per rimanere poi in un ambito squisitamente erudito, a causa sia di una tradizione manoscritta che non permette di attribuirgli con sicurezza una produzione già di per sé oggettivamente esigua, sia di notizie biografiche scarse e contraddittorie, come l'onionimia congetturata da Mazzuchelli tra F. e Federico dell'Ambra, autore di un sonetto di stampo siculo-toscano. o la sua paternità sbrigativamente attribuita da Carducci a Geri del Bello, cugino del padre di Dante. Notizie biografiche relativamente più precise si sono avute in questo secolo dagli studi del Weiss su Geri d'Arezzo, che trattano tangenzialmente anche del figlio Federigo. La recente attribuzione a F. di ventisette sonetti del codice Vat. lat. 3213 proposta dal Carboni è da considerarsi una svista, essendo quei sonetti inequivocabilmente assegnati dal codice stesso a Matteo Frescobaldi.
Le composizioni di F. si trovano manoscrittenei seguenti codici: Firenze, Bibl. Riccardiana, cod. 1088 (O. IV. 42), sec. XIV ex., cc. 65v ("Se Silla", adespoto), 66v ("In ira"); Ibid., Bibl. naz., cod. II, II, 40 (Magliabech. cl. VII, 1010; ex Strozzi 640), sec. XIV, c. 164r ("Se Silla", adespoto), 164v ("In ira"); Ibid., Bibl. Riccardiana, cod. 1270, secc. XIV-XV, c. 4r ("Se Silla", adespoto); Ibid., cod. 1100 (O. II. 12), sec. XV in., c. 66r ("Li antichi"); Ibid., Bibl. Laurenziana, cod. Gaddiano pluteo 90 inf. 13, sec. XV in., c. 26r ("Si petis"); Ibid., Bibl. Riccardiana, cod. 1156, sec. XV, c. 43r ("Se Silla") 490rv ("In ira") : il sonetto "In ira" è attribuito da altri due codici vaticani, il Vat. lat. 5187 (c. 10r) e il Rossiano 18 (c. 380), a Petrarca (F. Carboni, Incipitario della lirica italiana dei secoli XIII e XIV, Città del Vaticano 1980, p. 105); Ibid., Chigiano L, IV, 131 (580), secc. XV-XVI, cc. 332r ("Se Silla", attribuito a "Scricha"), c. 455r ("Se Silla", attribuito a "messer Annibale"), c. 367v ("Solo soletto", attribuito a Marchionne Torrigiani: a c. 335rv il sonetto è dato a F; il cod. Capponi 183, c. IV, lo riporta adespoto: F. Carboni. Incipitario…, I, Citta del Vaticano 1977, p. 135); Bologna, Bibl. univ., 1773 , sec. XVII in. (copia di mano di G. G. Amadei di un codice di G. G. Trissino contenente rime del sec. XIV), c. 230v ("Solo soletto"; il sonetto, dato a F., è invece attribuito a Petrarca dal ms. 1289, c. 75r, che faceva un tempo corpo unico col codice prima menzionato: P. Lamma, Il codice di rime antiche di G. G. Amadei, in Giorn. stor. della lett. ital., XX [1892], pp. 149-185); Arezzo, Bibl. della Fraternita dei Laici, 276, sec. XIX (raccolta di rime di poeti antichi aretini compilata da O. Gamurrini: G. Mazzatinti, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, VI, Forlì 1896, p. 223), c. 133 ("Si petis" attribuita a Federigo).
Edizioni: G. M. Crescimbeni, Comentarij intorno alla storia della volgar poesia, II, 2, 4, Venezia 1730, p. 177, pubblica "Gli antichi" dal cod. Chigiano, seguito poi da G. Carducci, Rime di Cino da Pistoia e d'altri del sec. XIV, Firenze 1862, p. 421, e Antica lirica italiana, Firenze 1907, p. 363 (nella stessa pagina è pubblicato "Solo soletto" attribuito a Marchionne Torrigiani); G. Lami, Catalogus codicorum qui in Bibl. Riccardiana adservantur..., Liburni 1756, p. 187, riporta "In ira" e "Gli antichi"; i vv. 1-3 e 8-10 dell'epistola metrica sono stampati da L. Melius, Ambrosii Traversarii... vita, I, Florentiae 1759, p. 251; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1971 p. 471, pubblica "Solo soletto" riportando, tra le diverse attribuzioni, anche quella a Federigo; i tre sonetti sono editi da A. Solerti, Rime disperse di F. Petrarca o a lui attribuite, Firenze 1909, pp. 154, 159, 204 (a p. 151 si riferisce infondatamente al Lami, Catalogus, un'attribuzione a F. del sonetto "Credeami star in parte omai dov'io").
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Protocollo notarile antecosimiano 10.910 (G837), Guido di Rodolfo (anno 1349), c. 44r (il doc. è citato, insieme con altri riguardanti Geri e la sua famiglia, in appendice al saggio di R. Weiss, Geri d'Arezzo in Il primo secolo dell'Umanesimo. Studi e testi, Roma 1949, p. 105; Roma, Bibl. Corsiniana, ms 33. E. 27, cc. 102r-104r (lettera di Geri a Cambio da Poggibonsi, interamente edita da Weiss, ibid., pp. 112-115); Arch. di Stato di Firenze, Capitoli, reg. XIII, cc. 94r-126r (edito, per la parte riguardante Arezzo, da U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo, III, Firenze 1937, pp. 117, 122; tradotto integralmente da C. Guasti, Icapitoli del Comune di Firenze, II, Firenze 1893, pp. 311, 321); F. Petrarca, Lettere senili, a cura di G. Fracassetti, I, Firenze 1869, pp. 240, 487-493.
Oltre ai contributi citati sopra a proposito delle opere di F. si veda: F. S. Quadrio, Storia e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 189; G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 2 , Brescia 1753, pp. 601, 1024; Arch. di Stato di Arezzo, F. A. Massetani, Diz. biografico degli aretini, Arezzo 1936-42 (dattiloscritto), II, p. 382; E. H. Wilkins, Petrarch's correspondence, Padova 1960, pp. 15, 97, 100.