SCHUBERTH, Federico Emilio (Emilio Federico)
– Nacque l’8 giugno 1904 a Napoli, figlio di Gotthelf e di Fortura Vittozzi.
Venne alla luce nel pieno centro storico di Napoli, nel quartiere Vicaria. Respirò ben presto l’energia creativa e l’umanità teatrale che da sempre vivono nel ‘ventre di Napoli’. Sulle sue origini vi sono notizie contrastanti: nelle biografie «la sua nascita, per una serie di equivoci volutamente alimentati, fu collocata in Sassonia e precisamente nel castello Glauchau. Questo luogo generò l’idea di una discendenza nobile» (Giordani Aragno, 2004, p. 87).
Irene Brin, penna arguta e geniale, asserì che a Schuberth capitò di entrare nella leggenda, un po’ come per gli eroi di Omero, non solo da vivo e da giovane, addirittura da bambino (Brin, 1960, p. 7).
In realtà – come riportato nel certificato di nascita – Federico Emilio (noto come Emilio Federico) all’età di 15 anni fu riconosciuto da Gotthelf Schuberth, «un magnate ungherese» (Perrella, 2017, p. 1), che gli diede il proprio cognome tanto evocativo. Convivranno quindi in lui una commistione di caratteri di area tedesca, ispanica da parte di madre (Giordani Aragno, 2004, p. 28) e, chiaramente, partenopea, che avrebbe concorso alla creazione di una personalità originale e vulcanica. Anche la sua formazione è avvolta da un alone di leggenda: si fa riferimento a scuole d’arte frequentate a Vienna e a Shanghai, in aggiunta all’Accademia di belle arti di Napoli, che potrebbero in qualche maniera spiegare l’estro e la versatilità di Schuberth, vero «sarto pittore» (Manzini, 2003, pp. 276-279).
Nel 1929 sposò Maria Jelasi e ben presto i coniugi si trasferirono nella capitale, dove Schuberth cominciò un periodo di apprendistato nella sartoria Montorsi: dalla loro unione nacquero due figlie, Annalise e Gretel. Nel 1938 avviò un piccola modisteria in via Frattina in cui non esponeva cappelli già confezionati, ma li creava volta per volta secondo le esigenze delle sue clienti. Lo venne così a conoscere la contessa Ratti, nipote di Pio XI, che lo incoraggiò a realizzare modelli per abiti femminili, introducendo nel suo atelier donne dell’alta aristocrazia. Nel 1940 costituì la ditta individuale Schuberth Emilio in via Lazio n. 9. La clientela continuò ad aumentare, tanto da trasferire, sempre nello stesso anno, i locali dell’atelier in via XX Settembre n. 4, diventando dal secondo dopoguerra meta fissa degli itinerari nella capitale di regine e di attrici del cinema e del teatro, di signore dell’aristocrazia e della politica provenienti da tutto il mondo. Era infatti chiamato la ‘quinta basilica di Roma’.
L’atelier, costruito sul modello francese, era arredato con poltrone, divani di raso, lumi di vetro di Murano, grandi specchi completi di cornici e alle finestre tende che incorniciavano un ritratto di Schuberth eseguito dall’artista maceratese Aldo Severi.
Nel suo lavoro di grande rigore e ricerca della perfezione si avvalse sin dagli inizi di uno stuolo di disegnatori, come, tra gli altri, Pino Lancetti, Renato Balestra, Lino Pellizzoni, Giulio Coltellacci, Elio Costanzi, Guido Cozzolino.
Erano anni in cui Roma cercava di risorgere dopo le distruzioni e gli scempi che la guerra aveva inferto sul suo corpo urbano, sociale e culturale, anche grazie al cinema. Schuberth, intuendo profondamente i sentimenti e gli ardori del suo tempo, si immerse a pieno titolo in questo processo creando un suo stile, lo stile ‘schubertiano’, e una moderna comunicazione: trasformò l’abito in linguaggio e il corpo in motore di un cambiamento sociale ed estetico. Precursore in tutto «amò circondarsi di leggende, sempre in anticipo coi tempi, alimentò il mito per produrre la sorpresa per rompere i luoghi comuni di una società restia ad una svolta epocale» (Giordani Aragno, 2004, p. 32). Fu eccentrico protagonista della vita mondana romana e delle cronache di costume, immergendosi nella magia della ‘Dolce vita’. Anche le nozze delle due figlie, celebrate a Roma in stile quasi cinematografico, si trasformarono in eventi pubblici trasmessi dai cinegiornali e seguiti dalla stampa.
Schuberth divenne artefice del proprio successo: stravagante, imprevedibile, magnetico, fu il primo a spostare l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica sul creatore di moda, nuovo protagonista della cronaca, del cinema e della cultura.
«Schuberth è stato il primo a esibire anelli vistosi a forma di serpente con occhi di smeraldo avvolgentesi attorno al mignolo. È stato il primo a indossare la pelliccia in persiano al mattino e in visone pastello la sera. È stato il primo a usare il parrucchino, il fondo tinta, il trucco agli occhi [...] Schuberth non si è mai vestito come un uomo ma come un artista, l’artista che era» (Querel, 1984, p. 51).
Fu il primo stilista ad andare in televisione, partecipando a programmi come La via del successo (1958) e Il Musichiere (1959), e ad aprire le porte del suo atelier alle cineprese per diversi film, tra cui Margherita fra i tre (1942) di Ivo Perilli, e Femmina incatenata (1949) di Giuseppe De Martino.
Una delle prime clienti che la contessa Ratti portò nell’atelier di Schuberth fu Maria Francesca di Savoia. Per il matrimonio di Maria Pia, figlia maggiore di Umberto II e di Maria José, con Alessandro di Iugoslavia, Schuberth creò come dono di nozze tre modelli e partecipò ai preparativi dell’evento (Cascais, 12 febbraio 1955).
Oltre a Eva Perón, in visita a Roma nel luglio del 1947, e a Narriman d’Egitto, in viaggio di nozze a Sanremo con re Fārūq nel 1951, furono conquistati dallo stile schuberthiano anche i reali d’Inghilterra, e la regina Sharifa Dina che, qualche settimana prima delle nozze con il sovrano di Giordania Hussein nell’aprile 1955, scelse i modelli dei suoi vestiti nell’atelier di Schuberth.
Ma fu soprattutto Soraya Esfandiary-Bakhtiari, moglie dello scià dell’Iran Mohammad Reza Pahlavi, a consolidare il suo successo. In quegli anni era infatti diventata un’assidua cliente che ordinava abiti tramite telegrafo. Fuggita a Roma dopo il tentato golpe di Mossadeq del 1953, Soraya era scappata da Teheran con il solo vestito che aveva indosso; il 18 agosto si presentò in atelier e Schuberth, in quattro ore, le preparò in emergenza cinque abiti per la giornata. Non appena la situazione in Iran si stabilizzò, Soraya tornò in atelier e ordinò un intero guardaroba che portò con sé a Teheran.
Frequentavano assiduamente l’atelier di Schuberth anche attrici e dive del cinema e dello spettacolo che cooperarono alla costruzione del consenso e alla trasformazione della vita dello stilista in una sorta di palcoscenico girevole a spettacolo infinito. Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Valentina Cortese furono fra le clienti più legate a Schuberth che seppe valorizzarne la bellezza trasformando le loro immagini di dive da vero ‘arbitro di eleganza’. Inoltre, durante gli anni Cinquanta, furono numerosi i film e le riviste alla cui realizzazione la casa di moda Schuberth collaborò o per le cui attrici protagoniste confezionò abiti.
Dalla fine degli anni Quaranta la stampa aveva cominciato a interessarsi a Schuberth e alle sue creazioni, essendo uno tra i protagonisti delle manifestazioni organizzate per la diffusione della moda italiana dall’Ente della moda di Torino. Nel dicembre 1948 al Casino de la Vallée di Saint Vincent ‘l’estroso e discusso Dior d’Italia’ partecipò a una sfilata di abiti, Moda francese? Moda italiana; l’anno seguente, nel mese di settembre, sfilò nel salone delle Stelle del Casinò del Lido di Venezia. La sua partecipazione al gran gala della moda fu continuativa, presentando negli anni modelli come Mi sento audace, Viaggio d’amore, Ho scoperto l’amore.
Accolto l’invito di Giovanni Battista Giorgini, il 12 febbraio 1951 partecipò a Firenze, nella residenza fiorentina di villa Torrigiani, al debutto della moda italiana con la prima sfilata di First Italian High Fashion Show per compratori internazionali e stampa statunitense che riscosse un successo straordinario.
Si cominciarono a spalancare così le porte dei mercati internazionali e, in particolar modo, di quelli statunitense e tedesco. Nel mese di settembre del 1951, accanto alle collezioni francesi come Dior, Balmain, Lavin, Balenciaga, Schiaparelli, furono acquistati dai grandi magazzini Bergdorf Goodman di New York e presentati alla stampa statunitense dieci modelli (tra cui Cifrario segreto, Molto amata, Oggi ho venti anni, Celeste orizzonte) di Schuberth. Nel 1952 la ‘Carovana volante della moda’, composta da Fercioni, Vanna, Marucelli, Tizzoni, Antonelli, Carosa, Gabriellasport e Schuberth, fu accolta a New York nel Grand Central Palace con servizi radiofonici e televisivi nel quadro delle manifestazioni New York Fair of Italian manufacturers. Nel 1953 gli abiti di Schuberth, accanto a quelli di Carosa, Mirsa, Elza Volpe, furono scelti dal buyer australiano, David Jones, che volle organizzare la ‘Italian Parade’ a Sydney.
Tra i suoi viaggi non mancava di fare ritorno nella sua città natale: nel 1953, al Circolo della stampa, durante uno spettacolo dedicato alla canzone napoletana, andarono in scena abiti di Schuberth ispirati ai celebri motivi napoletani, mentre il 2 aprile del 1954, pochi mesi dopo l’inaugurazione, il teatro S. Ferdinando ospitò una passerella di abiti di Schuberth dai titoli tanto suggestivi: Come una volta, Incontro con destino, Cuore in vacanza, Via dell’ingenuità (Mondo libero, M138, Cinegiornale dell’Istituto Luce del 2 aprile 1954). Sempre nello stesso anno, fu invitato a partecipare al I Congresso della moda e dell’abbigliamento e del tessile, promosso dal Centro mediterraneo della moda e dell’artigianato, sede Mostra d’Oltremare.
Schuberth, «ciclonico e inesauribile» (Brin, 1958, p. 15), seppe in effetti coniugare mirabilmente la grande perizia sartoriale di tradizione napoletana, che nel tempo reinventava e riproponeva, con l’assemblaggio di tecniche diverse e l’utilizzo di nuovi tessuti. Eccelse nell’arte del ricamo, realizzato con conterie e perline di fiume, corallini, strass, pietre preziose incastonate con fili metallici. Creò colori di tessuti sfumati, utilizzò tessuti stampati e tessuti nuovi prodotti in laboratorio: dai rhodia al nylon, «agli acrilici, al tulle artificiale, abbinato a materiali preziosi e tessuti poveri ma naturali» (Giordani Aragno, 2004, p. 94).
Nel maggio del 1954 fu organizzata dal Comitato italiano del Congresso internazionale dei tessili artificiali e sintetici e ospitata a Venezia, a Palazzo Grassi, dal Centro internazionale delle arti e del costume, la mostra del tessuto «I tessili dell’avvenire»: la collezione di Schuberth di quell’anno spaziava dai rasi ai modernissimi tessuti Rhodiatoce, «fondata – sottolineava Gianna Manzini, Vanessa per i lettori – sul presupposto di conciliare l’inconciliabile e cioè il desiderio di novità ad oltranza che rende temerarie le donne e il desiderio» (2003, pp. 362 s.). In quegli anni si dedicò anche all’insegnamento presso l’Accademia Koefia di Roma, fondata nel 1951 dalla contessa Toni Alba Koefia.
Nel 1953 Schuberth, insieme alle sorelle Fontana, Ferdinandi, Fabiani, Giovannelli-Sciarra, Mingolini-Gugenheim, Garnett e Simonetta, fondò a Roma il Sindacato italiano dell’alta moda (SIAM), sancendo la centralità di Roma in questo ambito. Dopo un tentativo non andato a buon fine, il 20 luglio del 1954, il SIAM organizzò la prima Rassegna di alta moda italiana nella cornice di Castel Sant’Angelo. Schuberth fu accolto come il ‘re dei re’ per la linea Fanfara e per i suoi cinque abiti da sera di morbidissima seta, denominati Porcellane di Sassonia.
Nel 1955 Schuberth fece produrre da Adam, ditta parmense produttrice di essenze, il profumo Schu Schu, il primo di una serie; seguiranno poi le fragranze Coquillages e Taffetas. Tale profumazione fu suggellata anche dalla collaborazione tra Schuberth e René Gruau. L’immagine pubblicitaria ritraeva, sotto al titolo del profumo in alto a sinistra, l’araldica aquila schuberthiana, e l’indicazione della internazionalizzazione del prodotto, New York, Roma, Berlino.
Durante una tournée in Germania, sempre nel 1955, fu padrino di Arwa Stretch, marca tedesca di calze estensibili che, dopo aver entusiasmato il pubblico berlinese, conquistò le donne italiane. Nel campo delle calze per signora, collaborò poi negli anni Sessanta anche con il Calzificio del Mezzogiorno di Latina.
Nel settembre del 1957 Schuberth si recò in Germania, prima a Düsseldorf poi a Wiesbaden, per una sfilata di modelli per l’inverno e per definire il piano produttivo e distributivo dei modelli di pronto moda con la ditta Italmodell GmbH: per il suo arrivo inventò un evento mediatico, lanciando la promessa di regalare un abito della nuova collezione alle cacciatrici di autografi (Emilio Schuberth..., 1956). All’alta moda affiancò dal 1957 alcune linee di moda pronta – Miss Schuberth, e in seguito, Lady X, Signorinella – stringendo un accordo con Delia Soldaini Biagiotti, per l’esportazione negli Stati Uniti e in Germania.
Nel 1958 prese parte – insieme a numerose altre case di moda – alla costituzione a Roma della Camera sindacale della moda italiana (Archivio della Camera nazionale della moda italiana, b. 1, f. 2), di cui fu nominato presidente del collegio dei revisori; il 29 settembre del 1962 tale Camera fu ribattezzata con il nome di Camera nazionale della moda italiana.
Nel gennaio 1960, per il XIX compleanno della moda a Palazzo Pitti, la collezione di Schuberth, battezzata International look e dedicata alle donne di tutto il mondo, provocò scalpore nel pubblico e nella stampa: le indossatrici sfilarono con i capelli rasati (Pezzi, 1960, p. 2). A marzo dello stesso anno inaugurò una nuova boutique nel prestigioso palazzo Torlonia di via Condotti, destinata anche a una clientela medio-borghese che poteva scegliere capi ideati da Schuberth e confezionati dalla ditta di confezioni Stylbert di Arezzo.
Oltre che su occhiali, biancheria intima, biancheria da tavolo, cravatte, costumi da bagno, nel 1965 il suo nome apparve legato alla bambola Jenni, realizzata dalla Italo Cremona, ambasciatrice del made in Italy. Nell’aprile 1967 all’Esposizione universale di Montréal fu allestita una sezione ‘costumi’ in cui, insieme a creazioni di note case di moda, vi erano anche modelli Schuberth (Paris, 2006, pp. 260 s.).
Durante la sua carriera, furono tanti i riconoscimenti conferitigli: trofeo Sanremo, 1950; Maschera d’argento, 1955; Primo Oscar nazionale della moda (insieme a Enzo Zoen), 1956; Lion d’or, 1957; Coppa Cortina d’Ampezzo, 1958; premio Venere, 1959; premio Gemelli del Tevere, 1964.
Nei primi anni Settanta, con il declino dell’alta moda, Schuberth aveva cominciato a produrre prêt-à-porter «ma era stato il suo dolore più grande, assicurano i suoi collaboratori» (Madeo, 1972, p. 11). Nel 1967 partecipò al filmato promozionale, Vedette 444, per il battesimo della prima locomotiva del gruppo E.444 delle Ferrovie dello Stato, avvalorando un curioso parallelismo: la costruzione meccanica della locomotiva venne paragonata alla creazione di una vedette della moda nell’atelier di Schuberth.
Schuberth si spense a Roma il 4 gennaio 1972 a causa di un collasso cardiocircolatorio.
La sua moda ha irrorato la contemporaneità «per contrasto – come lui affermò – creando un mondo fittizio, in opposizione alla realtà: un mondo basato sull’illusione che alimenta le illusioni di tutti i poeti: quella della dolcezza e della grazia femminile. Anche se fosse una leggenda, non sarebbe del tutto inutile a temperare la brutalità della vita odierna. Considerate dunque la mia moda come un contro-veleno e sarete nel vero» (Vanessa, 1946, p. 5).
Fonti e Bibl.: Materiale sulla vita e sull’opera di Schuberth è conservato presso: la società EMI, titolare del marchio Emilio Schuberth; l’Archivio storico della Camera di commercio di Roma; l’Archivio storico della Camera nazionale della moda italiana; l’Archivio dell’Istituto Luce. Presso il Centro studi e Archivio della Comunicazione, Università degli studi di Parma, si trova il fondo archivistico Emilio Schuberth, che consta di 2949 opere (figurini, disegni e schizzi) donati da Gretel Schuberth nel 1990.
Vanessa, Un sarto ci illude, in Fiera letteraria, I (1946), 32, p. 5; I. Brin, Corriere da Roma, in Bellezza, III (1947), 15, pp. 10-13; Abiti scuri cappelli chiari, ibid., IV (1948), 29, pp. 46 s.; Corridoio fra primavera-estate, ibid., 28, pp. 21-23; M. Contini, Autunnale di Schubert, in Epoca, II (1951), 56, pp. 40 s.; I. Brin, Trenta abiti per Soraya, in Bellezza, XIII (1953), 7, p. 40; G. Lollobrigida, Ho cenato con la Regina, in Epoca, V (1954), 213, pp. 71-74; Skilful sketches chart wardrobe: Lollobrigida draws key to her clothes, in Life, XIX, 15 novembre 1954, pp. 18-22; E.F. Schuberth, Ho vestito le donne più nobili e più belle, in Oggi, XI (1955), 29, pp. 20-23; M. Quiriglio, Schuberth veste le dive, in Cinema, IX (1956), vol. 15, pp. 286-288; Emilio Schuberth. Konfektion für Kleinstädte, in Der Spiegel, X (1956), 49, p. 66; I. Brin, Stato civile della moda italiana 1959, in Bellezza, XVIII (1958), 9, pp. 14 s.; S. Morriconi, Schuberth rivela i segreti delle sue più famose clienti, in La Stampa, 4 agosto 1959, p. 3; E. Robiola, Concerto schubertiano, in Bellezza, XIX (1959), 3, pp. 110 s.; I. Brin, Moda bella e gentile, in Corriere d’informazione, 21-22 luglio 1960, p. 7; M. Pezzi, La donna chic è “internazionale”, ibid., 22-23 gennaio 1960, p. 2; L. Madeo, Stroncato da collasso Schuberth il sarto di dive e di principesse, in La Stampa, 6 gennaio 1972, p. 11; Emilio Schuberth, a couturier in high-fashion, dies in Rome, in The New York Times, 6 gennaio 1972, p. 41; D. Querel, Schuberth 1951, in Il genio antipatico. Creatività e tecnologia della moda italiana 1951/1983, a cura di P. Soli, Milano 1984, pp. 51-57; La moda italiana. Le origini dell’Alta moda e la maglieria, a cura di G. Bianchino, Milano 1987, pp. 53 s., 74, 99, 114, 152, 159, 188, 205, 247, 257 s.; G. Manzini, La moda di Vanessa, Palermo 2003, pp. 91-101,155-160, 276-279, 361-365, 403, 412; B. Giordani Aragno, Lo spettacolo della moda. Emilio Federico Schuberth, Napoli 2004; I. Paris, Oggetti cuciti. L’abbigliamento pronto in Italia dal primo dopoguerra agli anni Settanta, Milano 2006, pp. 192 s., 260 s.; R. Buckley, Glamour and the Italian female film stars of the 1950s, in Historical Journal of film, radio and television, 2008, vol. 28, n. 3, pp. 267-289 (in partic. pp. 273-281); Pasquale De Antonis. La fotografia di moda, 1946-1968, a cura di M.L. Frisa, Roma 2008, pp. 15, 19, 34-39, 144, 148; Dizionario della moda 2010, a cura di G. Vergani, Milano 2009, p. 1068; C. Capalbo, Storia della moda a Roma. Sarti, culture e stili di una capitale dal 1871 ad oggi, Roma 2012, pp. 133 s., 143-145, 149-153; S. Gnoli, Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi, Roma 2015, pp. 127-131; E. Perrella, Emilio Federico Schuberth: il ritorno di un marchio storico, Napoli 2017.