FEDELI
Famiglia di pittori attivi in Lombardia - principalmente a Milano - dal secondo quarto del sec. XV alla metà del XVI.
Sebbene alcuni membri della famiglia siano insolitamente ben documentati rispetto agli artisti lombardi di quel periodo, soltanto poche opere di alcuni di loro ci sono pervenute.
Il capostipite fu Antonio di Simone, citato nelle fonti a partire dal terzo decennio del sec. XV; benché venga occasionalmente indicato come "pinctor", nulla conosciamo della sua identità (cfr. Archivio di Stato di Milano, Fondo notarile [da qui in avanti ASMN], Notaio S. Pansecchi, f. 243, 6 ott. 1429, e Not. A. Tosi, f. 484, 7 marzo 1441). Antonio contrasse tre matrimoni: il primo con Isabeta (o Elisabetta) Lazzaroni da Balzamo; il secondo con Margarita Biffi; il terzo con Curtesia Mirofoli da Seregno. Due figli, Stefano e Isabeta, nacquero dal primo matrimonio; uno, Matteo, dal secondo (Ibid., Not. M. Suganappi, f. 1719, 2 marzo 1464; Not. P. Sansoni, f. 613, 3 ott. 1471).
In un documento del 2 marzo 1464, Stefano risulta aver già compiuto vent'anni (aveva cioè raggiunto la maggiore età); probabilmente era nato alla fine degli anni Trenta o ai primi degli anni Quaranta. Matteo risulta adulto al momento della morte di suo padre Antonio, tra l'agosto del 1469 e il marzo del 1470; era quindi nato prima del 1450 (ibid., f. 612, 3 ag. 1469; Not. A. Zunico, f. 1827, 15 marzo 1470; Not. F. Bologna, f. 2584, 2 maggio 1470). Nel 1471 Stefano sposò Ambrosina Teloni da Lignano (Ibid., Not. G. Appiani, f. 1586, 29 luglio 1471). Matteo sposò in seconde nozze nell'ottobre del 1485 Caterina Bonfigli; nulla sappiamo del suo prirno matrimonio (Ibid., Not. P. Sansoni, f. 620, 1º luglio 1486; Not. G. A. Maestri, f. 3259, 17 ag. 1502).
Presumibilmente Stefano e Matteo compirono l'apprendistato col padre Antonio e iniziarono la loro carriera nella sua bottega; dopo di che non lavorarono più insieme. Dal 1466 Stefano fu attivo come artista indipendente: in quell'anno entrò in società con Marcolino Lombardo, probabilmente suo coetaneo, figlio del pittore Giovanni Lombardo; la società durò fino al 1470 (Ibid., Not. D. Busnaghi, f. 1451, 11 giugno 1466).
Nel 1473 Stefano, lavorando con alcuni altri pittori tra cui Giacomo Vismara (noto soprattutto quale socio degli Zavattari), Bonifacio Bembo, e forse Pietro Marchesi, eseguì un sesto delle decorazioni della cappella ducale nel castello Sforzesco di Milano; tali decorazioni, come pure l'ornamentazione del soffitto di una cappella soprastante quella ducale ("quale capella è sopra la soprascripta capella") ed alcuni lavori eseguiti in una delle stanze della duchessa, furono sottoposti alla stima di Vincenzo Foppa, Stefano Maestri, Cristoforo Moretti e Giovanni Battista Montorfano.
Gli affreschi della cappella ducale comprendono la volta dallo sfondo blu chiaro punteggiato di stelle d'oro su cui sono raffigurati Dio Padre e molti angeli, e la Resurrezione di Cristo dipinta sopra i pennacchi della parete nord della cappella; nelle lunette sottostanti la volta, sempre sulla parete nord, un'Annunciazione e nelle altre decorazioni non figurative, nei conipartì sottostanti sono dipinti Santi a figura intera. Non possiamo determinare con precisione la parte avuta da Stefano in quest'opera, ma in generale le decorazioni della cappella sono riconducibili a una sorta di tardo stile internazionale bembesco in qualche misura influenzato dalla maniera di Vincenzo Foppa. Nella camera della duchessa Stefano ricevette un pagamento per la pittura del tcapcelo" (talvolta il termine indica il baldacchino, ma in questo caso si tratta probabilmente della volta) e del fregio sottostante; per la "capella de sopra" Stefano e Giovanni Pietro da Corte dipinsero Dio Padre con quattro angeli e un altro fregio (cfr. Calvi, 1865; Beltrami, 1885, Welch, 1989, pp. 383 s.).
Nel 1474 Stefano ed altri pittori - tra cui Gottardo Scotto, Giovanni Pietro da Corte e Zanetto Bugatti - furono chiamati a decorare la "sala della Balla"; questo progetto, ritardato a causa dei problemi tecnici presentati dallo stato dei muri della stanza, fu abbandonato dopo l'assassinio di Galeazzo Maria, avvenuto nel 1476 (Beltrami, 1885, pp. 139-43; Id., 1894, pp. 365-371). Nel luglio dello stesso anno Stefano, Giovanni Pietro da Corte, Pietro Marchesi, Raffaele da Vaprio, Melchiorre Lampugnani e Gottardo Scotto, risultati vincitori sui rivali Vincenzo Foppa, Bonifacio Bembo, Giacomo Vismara e Zanetto Bugatti, erano stati incaricati di affrescare il soffitto della cappella delle reliquie nel castello di Pavia; quest'opera non è giunta sino a noi, seppure fu mai completata (cfr. specialmente Ffoulkes-Maiocchi, 1909; Welch, 1989, pp. 378-381). Anche se Stefano in questo periodo portò a compimento molti lavori per il duca, purtuttavia egli non era legato ufficialmente alla corte.
Nel 1473 a un "magistro Stefano", identificato dal Baroni (1940) con Stefano F., fu commissionato dai fabbricieri della chiesa di S. Celso di dorare alcuni elementi architettonici di marmo e di "fare una Nostra Dona depincta drento ad la ferrata"; anche Zanetto Bugatti, col quale Stefano aveva lavorato nella "sala della Balla", fu assunto dalla fabbrica (ibid.). Nell'aprile del 1474 Stefano ordinò una cornice per pala d'altare all'intagliatore Giovanni da Canzo; il documento non indica per chi fu eseguita quest'ancona, alta cinque braccia e larga quattro senza il supporto (ASMN, Not. G. A. Bernardi, f. 2775; Shell-Sironi, 1989, pp. 29 s., 32 s., 41 s.).
Come risulta dal contratto, Stefano dette al da Canzo un disegno su cui lavorare. Uno schizzo per l'ancona, il suo supporto e la cornice architettonica è conservato tra le carte del notaio che stese il contratto. Il complesso risulta chiaramente tardogotico, anche se il contratto specificava che la cornice che doveva essere montata avrebbe dovuto essere "factam ad antiquam".
Alla fine degli anni Settanta Stefano eseguì due pale d'altare per confraternite che avevano le loro cappelle nel duomo di Monza (cfr. Shell-Sironi, 1988, passim; Id.-Id., 1989, pp. 29, 32, 34-41).
La prima di queste gli fu commissionata il 24 maggio 1478 dai membri della Scuola di S. Giovanni decollato; la seconda il 14 febbr. 1480 dai membri della Scuola di S. Antonio abate. A Giovanni da Canzo, che sembra fosse un socio abituale di Stefano, furono commissionate le cornici e le casse per entrambe le pale d'altare che dovevano avere coperte di stoffa dipinta. Le ancone furono smantellate poco tempo dopo (in data imprecisata); non esiste testimonianza di come originariamente si presentassero, ma i quattro pannelli dallo sfondo d'oro conservati nella sacrestia del duomo, la Decollazione del Battista, i Ss. Pietro e Paolo, i Ss. Stefano e Giovanni Battista e la Crocefissione provengono molto probabilmente da una - o da entrambe - le pale d'altare. Sembra verosimile che almeno la Decollazione e i Ss. Pietro e Paolo fossero stati dipinti per l'ancona eseguita per la Scuola di S. Giovanni decollato: questa cappella era dedicata anche ai ss. Pietro e Paolo e alla Vergine. In passato vennero attribuiti al Foppa o alla sua scuola (Berenson, 1932, p. 199; Id., 1968, p. 137; Wittgens [1950], p. 89; Baroni-Samek Ludovici, 1952, p. 151 n. 48; Merati, 1982; Giordano, 1984, p. 409). La Decollazione del Battista presenta più spiccate reminiscenze del Foppa: qui Stefano tentò quel genere di composizione realizzata con miglior risultato da Vincenzo Foppa nell'affresco del Martirio di s. Sebastiano, eseguito per la chiesa di S. Maria in Brera a Milano. Sebbene a Stefano mancasse la conoscenza che aveva Foppa delle leggi della prospettiva, la figura del carnefice del Battista, vista da dietro di tre-quarti è assai riuscita. Il debito di Stefano nei confronti del Foppa è facilmente comprensibile, dato che quest'ultimo era il più influente pittore lombardo, il principale esponente dello stile "moderno", fortemente influenzato dal Mantegna.
I documenti che lo riguardano ci informano che Stefano lavorava velocemente e puntualmente e che i suoi prezzi erano contenuti; queste qualità richiamavano numerosi clienti ed infatti non gli mancavano le commissioni. Nel 1479 gli fu dato incarico di dorare e colorare una pala d'altare lignea - con le figure della Vergine e del Bambino, i santi Cristoforo, Sebastiano. Bartolomeo, Michele Arcangelo e Dio Padre - dai membri della Scuola dei Ss. Maria e Cristoforo per il loro altare nella chiesa milanese di S. Anastasia (Shell-Sironi, 1989, pp. 30, 33, 43).
Nel contratto stipulato tra Stefano e gli "scolari" non compare il nome dell'intagliatore in legno cui fu affidata la scultura di quest'ancona perduta.
Nell'aprile del 1480 Stefano accettò di dipingere una pala d'altare per i canonici della chiesa dei Ss. Siro e Caterina (ora Ss. Siro e Materno) a Desio (Beltrami, 1926, passim; Shell-Sironi, 1989, pp. 30 s., 33 s., 44). È probabile che egli ottenesse questa commissione grazie all'intervento di uno dei canonici dei duomo di Monza, i cui membri fungevano anche come canonici nelle chiese dei Ss. Siro e Caterina.
L'ancona, iniziata da Stefano mentre stava lavorando alla pala d'altare ordinatagli dalla Scuola di S. Antonio, doveva essere simile in misure e concezione alle pale d'altare eseguite per Monza: il contratto specifica che doveva consistere di due registri e una predella con figure, presumibilmente a mezzo busto, di Cristo e degli apostoli. Sia l'ancona di S. Anastasia, sia la pala di Desio sono da lungo tempo scomparse.
Come la maggior parte dei suoi contemporanei Stefano lavorò a soggetti sia profani sia religiosi. Nel 1478 il segretario ducale Bartolomeo Calco registrava un reclamo presentato da Ambrogio Griffi, medico del duca e più tardi segretario apostolico, contro Stefano accusato di non aver rispettato i termini di un contratto che lo obbligava a fornire decorazioni per lo studio del Griffi stesso (Malaguzzi Valeri, 1902, pp. 228 s.). Tale contratto, sfortunatamente perduto, sarebbe stato di grande interesse, se conteneva il programma delle decorazioni.
La mancanza di notizie documentarie relative a Stefano dopo il 1482 - l'ultima è del 14 giugno di quell'anno (ASMN, Not. G. Ferrario) - inducea pensare che sia morto in quel torno di tempo.
Stefano aveva avuto due figli, Bernardino e GiovanniAntonio; quest'ultimo fu pittore, attivo principalmente a Brescia; nessuna sua opera è stata identificata e praticamente nulla sappiamo della sua attività (Ibid., Not. G. A. Maestri, f. 3263, 1º ott. 1506; Not. G. A. Fassati, f. 3420, 1º marzo 1510; Boselli, 1976, 1, p. 127).
Non sono documentati i primi vent'anni circa della carriera di Matteo. La scarsità delle notizie riguardanti sia la sua vita sia la sua attività artistica può essere dovuta ad una prolungata assenza da Milano, anche se questa ipotesi non trova riscontri oggettivi. Come suo fratello Stefano, dal 1481 fu membro della scuola di S. Luca, la milanese università dei pittori (Motta, 1895, p. 412). Stefano, per quel che ne sappiamo, ebbe soltanto due apprendisti: Giovanni Stefano Micheri, che entrò a far parte della sua bottega nel 1478, e Paolo da Caravate, assunto nel 1480 (ASMN, Not. A. Micheri, f. 3292, 10 febbr. 1478; Not. B. Lombardo, f. 3111, 16 ag. 1480). Sembra invece che Matteo non sia mai rimasto privo dell'aiuto di "garzoni" e assistenti.
Nel 1474 Matteo prese come apprendista Ambrogio Bevilacqua; nel 1479 Guido Antonio da Lovere entrò nella sua bottega, seguito nel 1480 e nel 1481, rispettivamente, da due fratelli di sua moglie, Francesco e Bonfigli, e nel 1482 da Andrea Interminelli (Ibid., Not. G. Sansoni, f. 1807, 11 ott. 1474 e Biscaro, 1914, passim; Notaio M. Agrati, f. 3322, 22 giugno 1479, Not. P. Sansoni, f. 618, 8 marzo 1480 e 19 marzo 1481; f. 625, 25 febbr. 1482). Sembra che di questi apprendisti solo il Bevilacqua divenne un pittore di qualche rilievo.
Nel 1481 Matteo fu coinvolto, in un ruolo tuttora non pienamente accertato, nella commissione della così detta "incisione Prevedari", disegnata da Bramante ed eseguita da Bernardino Prevedari (Ibid., Not. B. Cairati, f. 2184, 24 ott. 1481; Beltrami, 1917, passim; per una recente discussione sull'incisione, cfr. Alberici, 1984, pp. 41-45).
Apparentemente Matteo era il possessore del disegno di Bramante - in ogni caso era in suo possesso al tempo in cui fu steso il contratto per l'incisione - e fu lui il committente del Prevedari. Presurnibilmente le stampe erano destinate alla vendita. Il documento rimastoci non ci informa se il Bramante stesso ne dovesse trarre un qualche profitto, ma è possibile che egli e Matteo avessero stipulato fra loro un precedente contratto, ora perduto.
È molto probabile che l'associazione col Bramante gli aprisse la strada per il successivo incarico ricevuto dai rappresentanti della chiesa di S. Maria presso S. Satiro. Nel 1482, insieme con Marcolino Lombardo, in precedenza socio di Stefano, fu chiamato a dorare e dipingere per la chiesa un elaborato tabernacolo intagliato dallo scultore in legno Pietro da Bussero (ASMN, Not. B. Gira, f. 2509; Biscaro, 1910, pp. III, 132 s.). Nel 1484 Matteo ricevette dal consigliere ducale Andrea de Coriradis (Corradi) un pagamento per un'ancona il cui contratto è perduto, forse destinata a qualche membro della famiglia ducale (Ibid., Not. G.P. Carcani, f 3727, 1º luglio 1484). Intorno al 1487 gli fu commissionata la decorazione "illius camere nuncupate camere de lauro" in casa di Gian Giacomo Trivulzio (Ibid., Not. A. Biraghi, f. 2081, 3 ag. 1487).
Naturalmente i documenti che ci sono pervenuti offrono soltanto un quadro parziale dell'attività di Matteo. Doveva essere certamente molto occupato, a giudicare dal numero di garzoni e di aiutanti che assunse durante gli ultimi anni ottanta e il decennio successivo. Francesco Bresso, di Locarno, entrò nella sua bottega nel 1487; Gerolamo Cagnola da Caravaggio nel 1491; Cesare Cesariano nel 1493; Giovanni Maria da Varese nel 1494; Francesco Tizoni nel 1498 (Ibid., Not. P. Sansoni, f. 621, 21 marzo 1487; Not. M. Agrati, f. 3327, 13 dic. 1491; Not. F. Marliani, f-3185, 4 sett. 1493; Not. M. Agrati, f. 3328, 19 febbr. 1494; Not. G. A. Maestri, f 3255, 27 ott. 1498).
Nel 1493 e 1494 Matteo lavorò per la Fabbrica del duomo di Milano dorando e dipingendo sculture marmoree di Giovanni Antonio Amadeo per l'altare di S. Giuseppe (Annali, III, 1880, pp. 77 s.; R. V. Schofield-J. Shell-G. Sironi, G. A. Amadeo: The documents ..., Como 1989, p. 15).
L'altare era stato inizialmente patrocinato dal duca Galeazzo Maria Sforza nel 1472 ed era rimasto incompiuto (presumibilmente neppure sistemato in loco) dopo il suo assassinio. Nel 1492 Ludovico il Moro decise di stanziare la somma necessaria per terminarlo; non e chiaro tuttavia se il progetto redatto precedentemente prevedesse l'inserimento degli elementi di scultura eseguiti a metà degli anni Settanta, o se il progetto fu interamente ridisegnato. Tra il 1493 e il 1499 l'Amadeo eseguì numerose sculture per l'altare. Nei documenti relativi ai pagamenti non è specificata esattamente la natura del contributo di Matteo, ma sembra verosimile, anche se non del tutto certo, che il suo intervento fosse limitato alla decorazione di parti puramente ornamentali: la parziale doratura delle vesti di alcune figure e la stesura di pittura blu nelle aree dei pannelli a rilievo per rappresentare il cielo.
Una sola opera certa di Matteo è giunta sino a noi: una piccola Vergine e il Bambino in trono con due angeli che porta l'iscrizione "Matevs. Defidelibvs. Demediolano. Pinsit. MCCCCLXXXXI" (Milano, Pinacoteca di Brera; cfr. Marani, 1988, pp. 155 s. n. 105; Id., 1989, pp. 61 s. n. 3).
Questo dipinto fu pubblicato per la prima volta da Zeri (1983), che vi vide - specialmente nelle figure degli angeli e nella fantastica descrizione del trono della Vergine, in cui è compresa anche un'avvenente sfinge - segni di influenza ferrarese (ibid.); come già detto, è possibile che Matteo all'inizio della carriera avesse trascorso alcuni anni lontano da Milano. Zeri (ibid.) inoltre nota che l'opera è rappresentativa di una maniera pittorica milanese che non deriva dal Foppa, né è influenzata da Leonardo. Sulla base del confronto con la Vergine col Bambino di Brera, ha attribuito a Matteo in modo convincente altre due opere: un S. Cristoforo (Oxford, Christ church) c una Crocifissione (Verona, Museo di Castelvecchio). Romano (1990) avanza dei dubbi sull'autenticità della firma del dipinto di Brera e ritiene improbabile che sia opera di Matteo. Fra le altre cose egli mette in discussione il "trono grottesco", stilisticamente impossibile in un dipinto milanese del 1491 (ibid., p. 87 n. 5). Al contrario e molto probabile che proprio questo esempio abbia influenzato il giovane Cesariano, assistente di Matteo e più tardi considerato un esperto nell'arte dell'ornamentazione grottesca.
Matteo morì nel 1502 (testamento in ASMN, Not. G. A. Maestri, f. 3258, 17 ag. 1502; egli era già morto prima dell'ottobre dello stesso anno). Gli sopravvissero Giovanni Antonio, pittore, figlio della prima moglie; Francesco, figlio della seconda, e le figlie Margarita, Costanza e Susanna. Margarita sposò il pittore Giovanni Giacomo Conigo nel 1508, ma morì entro un anno dal matrimonio (ibid., f. 3264, 28 sett. 1508 e f. 3265, 13 ott . 1509).
GiovanniAntonio lavorò con suo padre Matteo fino alla morte di costui. Come il padre Matteo, ebbe un'attiva bottega: nel 1504 assunse Giovanni Maria Bevilacqua (cugino di Ambrogio) come suo assistente; nel 1505, con la stessa mansione il pittore francese Jean Parenot entrò nella bottega (ibid. f. 3260, 4 ott. 1504 e f. 3261, 15 maggio 1505; cfr. inoltre Motta, 1895, p. 425). Sembra che fosse specializzato nell'esecuzione di bardature di cavalli: nel 1504 dipinse un paio di "barde" per il francese ‟chavalero da Loya"; nel 1513 eseguì un lavoro simile per il marchese Ceva; nel 1518 e nel 1519 gli fu commissionato un gran numero di barde per il maresciallo Odet de Foix visconte di Lautrec, per le quali egli e i suoi soci ricevettero pagamenti ammontanti alla cifra sbalorditiva di 2.800 scudi (13.720 lire imperiali; cfr. ASMN, Not. G.A. Maestri, f. 3261, 2 dic. 1504; Not. B. Bossi, f. 3155, 19 luglio 1513; Not. M. Castelfranco, f. 7191, 8 giugno e 10 luglio 1518; Not. L. Zavattari, f. 6787, 6 nov. 1518; Not. C. Visconti, f7381, 2 marzo 1519). Giovanni Antonio fu membro attivo della scuola di S. Luca; nel 1510 vi servì come "canepario" (Ibid., Not. A. Carcani, con documenti del 18 maggio 1510, Not. B. Carnago, f. 5674). L'ultima notizia riguardante Giovanni Antonio è del 14 maggio 1521; non gli sono attribuite opere di pittura (Ibid., Not. L. Ponzana, f. 6565, 14 maggio 1521; per documenti di minore importanza cfr. Shell, 1987, pp. 671 ss.).
Fonti e Bibl.: per Stefano: Monza, Biblioteca capitolare, F. Borromeo, Status materialis Ecclesiae Collegiatae et curator insignis S. Ioannis Baptistae oppidi Modoetiae, ms. [1621], passim; Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. I 128 sup.: G. B.Burocco, Fragmenti memorabili dell'imperiale città di Monza, ms. [1731], passim; Ibid., cod. V 17 sup.: G. M. Campini, Descriz. dell'insigne real basilica colleggiata di S. Giovanni Battista di Monza, ms. [1767], passim; A. F. Frisi, Mem. stor. di Monza e sua corte, Milano 1794, passim; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo Varisco, cod. n. 193 inf.: C. Aguilion, Della reale basilica monzese, per il cav. prof. don Cesare Aguillon, pubblicata[sic] a cura del prof. Achille Varisco, ms. [fine XIX secolo], passim; G. L. Calvì, Notizie sulla vitae sulle opere dei principali architetti scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, II, Milano 1865, p. 66; L. Beltrami, Il castello Sforzesco di Milano sotto il dominio degli Sforza, Milano 1885, pp. 117 s., 122 ss., 139-43, 160 s.; Id., Il castello Sforzesco sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, Milano 1894, pp. 283 s., 297-301, 318, 335-41, 365-71, 385; E. Motta, L'università dei pittori milanesi nel 1481, Con altri docum. d'arte del Quattrocento, in Arch. stor. lomb., XXII (1895), 1, p. 412; F. Malaguzzi Valeri, Pittori lombardi del Quattrocento, Milano 1902, pp. 227-29; C. J. FfouIkes-R. Maiocchi, V. Foppa, London-New York 1909, pp. 93-113; L. Beltrami, La commissione della pala per la chiesa di S. Siro in Desio a Stefano de' F., Milano 1926, pp. 7 ss.; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 199; C. Baroni, Documenti per la storia dell'architettura a Milano nel Rinascimento e Barocco, I, Firenze 1940, p. 223; F. Wittgens, V. Foppa, Milano s.d. [1950], p. 89; C. Baroni-S. Samek Ludovici, La pittura lombarda del Quattrocento, Messina 1952, pp. 104, 151; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. Central Italian and North Italian schools, I, New York-London 1968, p. 137; A. Merati, Il duomo di Monza e il suo tesoro, Monza 1982, pp. 160 s.; L. Giordano, in Storia di Monza e della Brianza. L'arte, IV, 2, Milano 1984, pp. 408 s.; J. Shell, Painters in Milan, 1480-1530, diss., New York University 1987, passim epp. 671 ss.; Id-G. Sironi, I dipinti del Quattrocento, in Monza. Il duomo e i suoi tesori, a cura di R. Conti, Milano 1988, pp. 94-101, 104 ss.; J. Shell, F., famiglia, in Diz. della Chiesa ambrosiana, II, Milano 1988, pp. 1193 s.; E. S. Welch, The processof Sforza patronage, in Renaissance Studies, III (1989), pp. 370-386; J. Shell-G. Sironi, Stefano F. at the Monza duomo and some other documents forhis activity as a painter, in Studi monzesi, IV (1989), pp. 29-44.
Per Matteo: Annali della Fabbrica del duomo di Milano, III, Milano 1880, ad Ind.; Motta, L'università dei pittori milanesi nel 1481, 1895, cit., p. 412; Malaguzzi Valeri, Pittori lombardi, 1902, cit., pp. 229 s.; G. Biscaro, Le imbreviature del notaio Boniforte Gira e la chiesa di S. Maria di S. Satiro, in Arch. stor. lomb., XXXVII, (1910), 2, pp. 111, 132; Id., Il maestro del pittore Ambrogio de' Bevilacqui, ibid., XLI (1914), 1, pp. 337 s.; L. Beltrami, Bramante e Leonardo praticarono l'arte del bulino? Un incisore sconosciuto: Bernardo Prevedari, in Rassegna d'arte, XVII (1917), pp. 190 ss., 194; W. Suida, Bramante pittore e il Bramantino, Milano 1953, pp. 14 s.; C. Baroni, Documenti per la storia dell'architettura a Milano nel Rinascimento e nel Barocco. II, Roma 1968, p. 114; C. Alberici, L'incisore Prevedari, in Atti della Tavola rotonda tenutasi nella sala della balla del castello Sforzesco per illustrare l'incisione di Bernardo Prevedari da disegno di Donato Bramante del 1481, in Rassegna di studi e notizie, VI (1978), pp. 37-55; Id., Notizie ined. su Bernardo Prevedari e aggiunte alla 'fortuna' della sua incisione da disegno di Bramante nella pittura rinascimentale, ibid., VIII (1986), pp. 37-55; F. Zeri, Matteo de' F., in Paragone, XXXIV (1983), 401-403, pp. 60-63; C. Alberici, Incisioni derivate da Bramante, in Leonardo e l'incisione. Stampe derivate da Leonardo e Bramante dal XV al XIX secolo (catal.), Milano 1984, pp. 41-45; Asta dell'arredamento antico di una villa varesina (Luvinate di Varese), Venezia 1985; P. C , Marani, Idocumenti del 1496 e 1499 per le commissioni al Lippi e al Perugino, in Perugino, Lippi e la bottega di S. Marco alla certosa di Pavia, 1495-1511 (catal.), a cura di B. Fabjan, Firenze 1986, p. 334; B. Fabjan, Le ancone quattrocentesche sugli altari della certosa di Pavia, ibid., pp. 23-32; Shell, diss. cit., 1987, passim e pp. 671 ss.; P.C. Marani, Matteo de' F. (scheda), Pinacoteca di Brera, Scuole lombarda e piemontese, 1300-1535, Milano 1988, pp. 155 s.; Shell-Sironi, cit., 1988, pp. 97, 106; Shell, cit., 1988, pp. 1194 s.; P. C. Marani, Acquisizioni. La pala di Camuzzano e la Madonna di Matteo F., in Brera. Notizie della Pinacooteca, 1989; Id., Ambrogio Bergognone: Acquisizioni, scoperte, restauri (catal.), a cura di P. C. Marani-J. Shell, Firenze 1989, pp. 61 s.; G. Romano, Per un documento sul Bramantino, in Quaderno di studi sull'arte lombarda dai Visconti agli Sforza per gli 80 anni di G. A. Dell'Acqua, a cura di M. T. Balboni Brizza, Milano 1990, pp. 85 ss.
Per Giovanni Antonio di Stefano: C. Boselli, Regesto artistico dei notai roganti in Brescia dall'anno 1500 all'anno 1560, I, Brescia 1977, p. 127; Shell, diss. cit., 1987, passim e pp. 671 ss.; Id., cit., 1988, p. 1194.
Per Giovanni Antonio di Matteo: Motta, cit., 1895, pp. 412, 425; Malaguzzi Valeri, cit., 1902, pp. 229 s.; Shell, diss. cit., 1987, passim e pp. 671 ss.; Id., 1988, pp. 11-95.