MARTINI, Fausto Maria
Scrittore, nato il 14 aprile 1886 a Roma, dove morì il 13 aprile 1931. Giovanissimo, fece parte di quel piccolo gruppo di scrittori che si raccolse intorno a S. Corazzini, e che, morto lui, si sbandò. Il M. raccontò poi (Si sbarca a New York, Milano 1930) di quel sodalizio e come egli stesso e altri due amici rimanessero, alla morte del Corazzini, così spiritualmente disorientati, da indursi a romperla con il vecchio ambiente, e a tentare l'avventura in America. Di ritorno dalla sfortunata avventura, il M. entrò nel giornalismo, occupandosi di critica drammatica prima nella Tribuna (1909-1925) e poi nel Giornale d'Italia (1925-1929; cfr. i tre voll. di Cronache, Roma 1923; Firenze 1924; Roma 1928). Nel 1916 era stato ferito in guerra, onde restò gravemente mutilato; fu anche decorato al valore.
Del primo periodo crepuscolare dell'attività del M. sono frutto e documento alcuni volumetti di versi (Le piccole morte, Torino 1906; Panem nostrum, Roma 1906; Poesie provinciali, Napoli 1910) e, assai significativa, una traduzione da G. Rodenbach (Bruges-La-Morte, Roma 1907). Ma presto egli lasciò i versi per il romanzo e il racconto, a fondo quasi sempre autobiografico, e soprattutto per il teatro; ma naturalmente recò anche qui la predilezione per il mondo provinciale e borghese, e insieme l'ansia di evaderne, e l'amara coscienza dell'impossibilità dell'evasione: caratteristici motivi crepuscolari approfonditi dalla dolorosa esperienza di guerra. Il M. fu il maggiore rappresentante italiano del teatro cosiddetto "intimista", e riuscì talvolta, anche con argomenti tenuissimi (I drammi dell'insignificante, Firenze 1928; Teatro breve, Milano 1929), a far opera artisticamente riuscita e teatralmente viva. Egli forse diede il meglio della sua arte nella commedia Il fiore sotto gli occhi (Milano 1922), in cui meglio che in altri lavori il motivo dell'evasione dal mondo borghese è portato al suo sviluppo naturale, diventando l'ansia vana dell'evasione da sé stessi, e venendo così a coincidere con un tipidco motivo pirandelliano; ma la tragica logica del Pirandello resta sempre nel M. crepuscolare rassegnata malinconia. Meno bene il M. riuscì nel romanzo e nel racconto, nei quali non si liberò mai compiutamente da un lirismo talvolta un po' verboso d'origine dannunziana (cfr. Verginità, Firenze 1920), se non forse in qualcuno degli ultimi racconti (cfr. per es. il vol. postumo Il Silenzio, Milano 1932).
Tra le altre opere del M. cfr.: Il giglio nero, Firenze 1921; Il fanciullo che cadde, Firenze 1920; la trilogia Aprile, 1917; Ridi, pagliaccio, Bologna 1919; L'altra Nanetta, Milano 1923; Il cuore che m'hai dato, romanzo, Milano 1925; e i voll. di racconti: La porta del Paradiso, ivi 1920; La vetrina delle antichità, ivi 1923; I volti del figlio, ivi 1928.
Bibl.: N. D'Aloisio, F. M. M., Milano 1919; A. Tilgher, Studi sul teatro cont., 2ª ed., Roma 1923, pp. 128-133: id., Ricognizioni, Roma 1924, pp. 150-161; S. d'Amico, Il teatro italiano, Milano-Roma 1932, p. 170 segg.