Fattori di crescita
Gli organismi pluricellulari hanno la necessità di specificare numero e caratteristiche funzionali delle singole cellule che li compongono, organizzarle in tessuti e organi, e orchestrarne la funzione. Regolatori importanti di questi processi sono i f. di c., che controllano: a) sopravvivenza cellulare, tramite inibizione del programma di morte cellulare definito apoptosi; b) induzione della proliferazione o, al contrario, arresto del ciclo cellulare; c) riorganizzazione del citoscheletro con conseguente cambiamento di morfologia; d) modulazione dell'adesione tra cellula e cellula e tra cellula e matrice extracellulare; e) controllo della migrazione cellulare; f) regolazione dell'espressione genica e conseguente definizione del fenotipo differenziato. I f. di c. sono proteine, rilasciate nel medium extracellulare, che possono agire sulla cellula stessa che le produce (meccanismo autocrino), sulle cellule vicine (meccanismo paracrino), oppure a distanza. Una volta raggiunta la cellula bersaglio i f. di c. si legano a uno o più tipi di recettori esposti sulla superficie cellulare con un'affinità variabile (in genere recettori a bassa affinità legano i f. di c. con una costante di legame nanomolare, vale a dire 10-6 moli/ml, e quelli ad alta affinità con una costante di legame picomolare, 10-9 moli/ml). Dopo la formazione del complesso f. di c.-recettore sono generati all'interno della cellula bersaglio un numero limitato di 'secondi messaggeri', attraverso vari meccanismi. Questi secondi messaggeri controllano una serie di vie biochimiche all'interno della cellula regolando l'attività di enzimi e fattori di trascrizione. La specificità della risposta nei confronti di un determinato f. di c. dipende dall'opportuna combinazione dei segnali attivati da secondi messaggeri. Se da una parte la stessa cellula risponde in modo diverso a differenti f. di c., così uno stesso f. di c. induce risposte diverse in tipi cellulari distinti. Infine ci sono casi in cui f. di c. differenti inducono la stessa risposta nella stessa cellula. Considerando l'importanza dei fenomeni controllati dai f. di c., non sorprende che durante l'evoluzione si siano originati vari meccanismi di regolazione che intervengono in quasi tutti i livelli della produzione e dell'azione dei fattori di crescita. In primo luogo è regolata la loro sintesi e la loro maturazione (molti sono sintetizzati sotto forma di un precursore inattivo che deve essere processato). Spesso è regolata la secrezione nel medium extracellulare e possono intervenire varie modificazioni covalenti che regolano la diffusione e la vita media di f. di c. messi in circolo. Proteine circolanti possono fungere da trasportatori dei f. di c. e regolarne il legame ai recettori. Esistono antagonisti che competono con i f. di c. per il legame ai recettori così come recettori difettivi per la trasduzione del segnale che impediscono l'interazione con recettori funzionali. In cellule polarizzate o con una morfologia complessa (per es., in cellule nervose con vari prolungamenti), i recettori possono essere distribuiti in modo non uniforme sulla superficie cellulare e in questo modo la produzione di secondi messaggeri può essere localizzata in distretti specifici della cellula con importanti conseguenze sulla risposta cellulare. Occorre infine sottolineare che spesso i recettori per f. di c. interagiscono fisicamente e/o funzionalmente con molecole di adesione alla matrice extracellulare quali le integrine, o con molecole di adesione tra cellule quali le caderine. Considerando l'importanza delle risposte cellulari controllate dai f. di c., non stupisce che la loro deregolazione sia causa di gravi patologie, prima tra tutte il cancro. In effetti, proliferazione incontrollata, capacità di sopravvivere ai segnali di morte programmata, motilità e capacità di invadere tessuti circostanti sono caratteristiche tipiche della cellula tumorale e, in particolare, delle cellule cancerose metastatiche. A partire dalla metà degli anni Ottanta del 20° sec., un crescente numero di studi ha dimostrato che nella maggioranza delle cellule neoplastiche sono impropriamente espressi f. di c. o loro recettori, oppure attraverso vari meccanismi sono iperattive le proteine che mediano la trasduzione del segnale dei f. di c. all'interno della cellula. In effetti le cellule cancerose, da cui è spesso facile ottenere in coltura una popolazione omogenea capace di proliferazione illimitata, hanno spesso rappresentato lo strumento d'elezione per lo studio biochimico del meccanismo d'azione dei fattori di crescita. Lo strumento principale per lo studio delle funzioni dei f. di c. è invece la genetica e, più di recente, l'ingegneria genetica nel topo. Di particolare utilità si è rivelato il knock out genico (k.o.), tecnica che consiste nell'inattivazione di un gene, sostituendone la sequenza con una sequenza mutata, non funzionale. Nella sua versione più semplice, questa tecnica ha, tuttavia, un importante limite considerato che non permette di studiare le funzioni di un f. di c. nell'adulto ogni volta che il k.o. risulti letale durante lo sviluppo embrionale. Tale limitazione è stata superata dalla messa a punto di procedimenti più complessi che danno luogo a k.o. inducibili o limitati a particolari tipi cellulari. I concetti delineati nei paragrafi precedenti sono indicazioni generali valide, con alcune eccezioni, per la maggior parte dei fattori di crescita. Qui di seguito sono descritte più approfonditamente alcune famiglie di f. di c. la cui funzione biologica e il cui meccanismo d'azione sono ben conosciuti.
Neurotrofine
Le neurotrofine sono una piccola famiglia di f. di c. che agiscono principalmente, ma non solo, su cellule nervose. Nei mammiferi, la famiglia è composta da quattro membri: NGF (Nerve Growth Factor), BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor), NT3 (neurotrofina 3) e NT4/5 (neurotrofina 4/5). NGF, il primo identificato, è stato descritto nel 1951 da R. Levi Montalcini e V. Hamburger come un'attività rilasciata da un tumore (un sarcoma di topo) in grado di stimolare la crescita di cellule nervose del sistema simpatico e sensoriale dell'embrione di pollo. Durante lo sviluppo del sistema nervoso, le neurotrofine hanno principalmente tre funzioni. In primo luogo sono fattori trofici, ossia fattori che permettono la sopravvivenza di cellule bersaglio, inibendo la morte cellulare programmata. In questo modo le neurotrofine partecipano alla corretta formazione dei circuiti nervosi. Una seconda funzione, che contribuisce alla regolazione fine dei contatti sinaptici, è l'azione tropica, grazie alla quale le fibre nervose crescono direzionalmente lungo un gradiente di neurotrofine verso il punto di maggiore concentrazione. Infine, le neurotrofine esercitano una funzione differenziativa su alcune cellule immature modulandone il repertorio di geni espressi. La loro attività non è limitata al sistema nervoso immaturo. Nell'adulto le neurotrofine regolano, infatti, la funzione di circuiti sinaptici già formati modulando la risposta a neurotrasmettitori.
Da questa prospettiva, la neurotrofina maggiormente studiata è il BDNF, che regola il potenziamento a lungo termine (LTP, Long Term Potentiation), processo che contribuisce alla formazione della memoria. Le neurotrofine, inoltre, agiscono su cellule non neuronali: per es., esse modulano la motilità di cellule di Schwann (cellule gliali che formano la guaina mielinica nel sistema nervoso periferico). È stato anche dimostrato che le neurotrofine hanno un effetto antiapoptotico su cellule del sistema immunitario, quali mastociti e linfociti B, e si suppone che esse regolino funzioni fisiologiche che necessitano di una coordinata risposta del sistema nervoso e del sistema immunitario. Le neurotrofine, che nella forma matura sono proteine di piccole dimensioni (circa un centinaio di aminoacidi per un peso molecolare di poco superiore a 10.000), sono sintetizzate come precursori inattivi, proneurotrofine, processati tramite un taglio a opera di proteasi specifiche presenti nelle vescicole di secrezione. Questo processo avviene con un'efficienza minore del 100% e come conseguenza sia pro-NGF sia pro-BDNF possono essere rilasciati nello spazio extracellulare. La maturazione del pro-BDNF a opera di proteasi extracellulari, quali la plasmina, è un meccanismo che modula l'induzione della LTP. Il pro-NGF esercita una sua funzione indipendentemente dalla forma matura del NGF; in particolare il pro-NGF induce la morte cellulare in sottopopolazioni neuronali che esprimono il recettore p75, un fenomeno che sembra rilevante nella patologia di Alzheimer. Esistono due tipi di recettori per le neurotrofine: un primo recettore, il p75, appartiene alla famiglia dei recettori per il fattore di necrosi per i tumori (TNF, Tumor Necrosis Factor) e lega tutte le neurotrofine con bassa affinità. I recettori TRK (Tropomyosin-Related Kinase) appartengono alla superfamiglia dei recettori con attività di tirosina chinasi (le tirosine chinasi sono enzimi che aggiungono un gruppo fosfato a residui di tirosina presenti nella sequenza di proteine substrato). I TRK legano le neurotrofine con affinità maggiore di quanto non faccia p75 e discriminano tra una neurotrofina e l'altra. Ci sono tre distinti recettori TRK: TRK-A, che lega principalmente il NGF e, con minore affinità, NT3; TRK-B, che lega sia BDNF sia NT4/5; TRK-C, che lega specificamente NT3. Animali in cui i recettori TRK sono stati inattivati per k.o. genico mostrano deficit nello sviluppo del sistema nervoso assai più gravi di quelli presenti in animali mancanti di p75. Per questa ragione p75 è generalmente considerato un corecettore che modula l'affinità con cui le neurotrofine si legano al rispettivo TRK. I recettori TRK sono soggetti a splicing alternativo, meccanismo per cui da un singolo gene si producono diversi mRNA e quindi diverse proteine. Si hanno così forme che differiscono per la porzione extracellulare, con conseguente differente affinità per le neurotrofine, e recettori con delezioni nella porzione intracellulare dove risiede l'attività di tirosina chinasi e quindi non in grado di generare una risposta biologica. Il legame delle neurotrofine ai recettori TRK induce la formazione di dimeri o multimeri degli stessi recettori e ne stimola l'attività di tirosina chinasi. Come conseguenza, vengono fosforilati residui di tirosina presenti nella porzione citoplasmatica dei recettori stessi. La fosforilazione di queste tirosine (ne esistono circa una decina nella porzione intracellulare dei recettori TRK) crea siti ad alta affinità per una serie di molecole con varie attività enzimatiche o con proteine adattatrici che a loro volta reclutano proteine in grado di trasdurre il segnale. In altre parole si crea una piattaforma su cui si assembla la macchina molecolare di trasduzione del segnale. Lo specifico insieme delle proteine reclutate contribuisce alla specificità della risposta cellulare. L'analogia spesso utilizzata è quella delle costruzioni fatte con i pezzi del gioco chiamato lego (le tirosine fosforilate esplicherebbero la funzione dei dentini nei mattoncini), le quali possono dare luogo a costruzioni di diverso tipo. Una caratteristica della segnalazione delle neurotrofine alle cellule nervose deriva dalla tipica morfologia dei neuroni, altamente asimmetrica per la presenza di lunghi prolungamenti (ossia assoni e dendriti). Se le neurotrofine sono rilasciate dall'organo bersaglio e legano recettori presenti sulla punta dell'assone, il segnale deve viaggiare per distanze grandi rispetto al diametro cellulare. In questo caso il complesso neurotrofine-recettori-molecole di trasduzione è internalizzato e trasportato in maniera retrograda dalla periferia verso il nucleo. Durante questo processo esistono ampi margini per modulare la risposta cellulare alterando l'assemblaggio delle proteine che trasducono il segnale. Le neurotrofine costituiscono un esempio di f. di c. che agiscono tramite recettori tirosina chinasi. La lista dei fattori che utilizzano un meccanismo simile di trasduzione del segnale comprende: la superfamiglia dell'EGF (Epidermal Growth Factor), costituita da 8 geni EGF-simili e da 4 neureguline (f. di c. che agiscono attivando recettori tirosina chinasi); l'insulina e i fattori insulino-simile (IGF); fattori angiogenetici della famiglia del VEGF (Vascular Endotelial Growth Factor); i 23 componenti della famiglia del FGF (Fibroblast Growth Factor); le eferine, f. di c. ancorati alla membrana che mediano interazioni cellula-cellula e guidano la migrazione cellulare e la crescita direzionale dei prolungamenti nervosi; molte altre ancora.
La superfamiglia del TGF β
I componenti di questa famiglia, comprendente il TGF β (Tumor Growth Factor), le activine e le proteine BMP (Bone Morphogenic Protein o fattore della maturazione dell'osso) segnalano attraverso l'attivazione di recettori serina/treonina chinasi. Nei mammiferi la famiglia è composta da 29 membri e ha due tipi di recettori: 7 di tipo i e 5 di tipo ii, e il complesso recettoriale funzionale è composto dall'associazione tra un omodimero di recettori di tipo i e uno di recettori di tipo ii (35 possibili combinazioni). Questi f. di c. esercitano una pletora di effetti durante il differenziamento dell'animale dall'induzione del mesoderma alla determinazione dell'asse destro-sinistro e antero-posteriore nell'embrione, alla morfogenesi dell'osso. A livello cellulare essi controllano processi quali proliferazione, sopravvivenza cellulare, cambi di morfologia e, infine, migrazione e differenziamento cellulare. Il membro della famiglia maggiormente studiato è il TGF β, originariamente isolato dal terreno di coltura di cellule tumorali. Contrariamente a quanto suggerito dal suo nome, il TGF β ha spesso un'azione citostatica e apoptotica almeno su cellule epiteliali. Questo fenomeno è stato osservato sia su cellule coltivate in vitro sia in vari modelli animali transgenici. Per es., la sovraespressione di TGF β nelle cellule della ghiandola mammaria, nelle cellule β del pancreas (quelle che producono insulina), nel fegato o nella prostata, induce arresto della divisione cellulare e/o morte cellulare in vivo. Allo stesso modo il TGF β esercita una funzione citostatica su cellule del sistema immunitario, in particolare su linfociti T, tanto che, nel topo, il k.o. del gene per il TGF β provoca la morte subito dopo la nascita a causa di una severa infiammazione conseguente all'iperattività del sistema immunitario. Più ambigua è la risposta di cellule endoteliali: se da una parte il TGF β è chiaramente citostatico e pro-apoptotico per le cellule endoteliali in vitro, esso è necessario per la formazione della vasculatura e l'angiogenesi durante lo sviluppo e, nell'adulto, l'iniezione di TGF β induce neoangiogenesi in vivo. Una possibile spiegazione per questi risultati è fornita dal fatto che cellule endoteliali esprimono contemporaneamente due diversi recettori di tipo i, ALK1 e ALK5; il primo induce un segnale di proliferazione e migrazione, mentre il secondo induce un segnale antagonista. Considerando che i complessi recettoriali legano il TGF β con affinità differenti, è possibile che la risposta cellulare vari secondo la concentrazione di questo fattore. In considerazione degli effetti citostatici del TGF β non sorprende che esso eserciti una funzione di soppressore tumorale e che in alcuni tumori si abbiano mutazioni a carico di questo fattore o a carico di componenti della traduzione del suo segnale. Paradossalmente, in altri tumori il TGF β è sovraespresso. Una possibile spiegazione nasce dal fatto che elevati livelli di TGF β possono agire su fibroblasti, cellule del sistema immunitario e cellule endoteliali che sono presenti in prossimità del tumore, e indurle a creare un microambiente favorevole alla crescita di quest'ultimo. Per es., l'inibizione dei linfociti T e la promozione dell'angiogenesi possono da soli spiegare il ruolo del TGF β nel promuovere la progressione del tumore e la formazione di metastasi. I f. di c. della famiglia del TGF β agiscono inducendo la formazione di un complesso contenente una coppia di recettori di tipo I e una coppia di recettori di tipo II. Quest'ultima fosforila una regione regolatrice nella porzione intracellulare della sequenza dei recettori di tipo I, che, così attivati, a loro volta fosforilano e attivano i componenti di una famiglia di proteine chiamate Smad, associate alla porzione citoplasmatica dei recettori. Nelle cellule di mammiferi sono presenti 8 Smad distinti. Una volta fosforilate Smad1, Smad2, Smad3, Smad5 e Smad8, dette R-Smad, si associano con Smad4 e, insieme, traslocano nel nucleo dove regolano la trascrizione genica. Smad6 e Smad7, dette I-Smad, sono invece inibitori che competono con gli R-Smad per il legame ai recettori, e in questo modo ne impediscono la fosforilazione, e competono per il legame a Smad4 prevenendo la formazione di complessi trascrizionalmente attivi. I complessi di R-Smad e Smad4 sono di per sé in grado di legare il DNA solo con bassa affinità e, per essere attivi, devono reclutare altri fattori di trascrizione sequenza-specifici e una serie di coattivatori o corepressori. Il fatto che i complessi R-Smad/Smad4 necessitino di partner per regolare l'espressione genica, spiega come differenti tipi di cellule, che hanno distinti repertori di fattori trascrizionali, rispondano in modo diverso al TGF β. Esistono numerosi meccanismi che regolano la segnalazione di fattori della famiglia del TGF β. In primo luogo l'espressione dei recettori di tipo i e ii è tessuto specifico e la loro localizzazione in determinati distretti della superficie cellulare, così come la loro internalizzazione e la degradazione, sono regolate dall'associazione con specifiche proteine. Inoltre, se le R-Smad e Smad4 sono proteine ubiquitarie, l'espressione delle I-Smad è cellula specifica e regolata in risposta a vari segnali. La vita media delle R-Smad è modulata dall'associazione con le proteine Smurf1 e Smurf2, enzimi della famiglia delle ubiquitina ligasi, che modificano covalentemente i loro bersagli indirizzandoli per la via della degradazione. Tra l'altro Smurf1 può essere reclutata sui recettori attraverso l'interazione con Smad7 e può controllare l'internalizzazione e la degradazione del complesso recettoriale. Infine, altre chinasi sono in grado di modificare con fosforilazioni attivatrici o inibitorie i complessi Smad. Queste chinasi comprendono serine/treonine chinasi a loro volta attivate dalla segnalazione di recettori tirosina chinasi. In questo modo f. di c. quali EGF, FGF, IGF e altri modulano la risposta cellulare al TGF β. Infine, i recettori per la famiglia del TGF β trasducono il segnale anche attraverso meccanismi, ancora in parte da chiarire, che sono indipendenti dalla funzione delle proteine Smad. Come conseguenza di questa segnalazione non canonica del TGF β, si hanno, tra l'altro, riorganizzazione del citoscheletro e modulazione dell'adesione cellulare.
La famiglia Wnt
I f. di c. Wnt costituiscono una famiglia composta nei mammiferi da 19 proteine distinte che sono modificate post-traduzionalmente con l'aggiunta di un lipide a una specifica cisteina. Il significato funzionale di questa modificazione non è del tutto chiarito, ma la rimozione del lipide porta a perdita di attività. Il nome della famiglia è stato coniato quando si è riconosciuto che il gene Wingless, originariamente identificato nel moscerino della frutta Drosophila melanogaster per il suo ruolo nel differenziamento, è l'omologo del gene int-1, un proto-oncogene attivato dall'inserzione di un virus in un tumore mammario nel topo. Le proteine Wnt sono potenti regolatori della proliferazione e del differenziamento e la trasduzione del loro segnale è in gran parte mediata da una proteina intracellulare, la β catenina, che è anche direttamente coinvolta nel regolare l'adesione tra cellule. Da questo punto di vista, quindi, la trasduzione del segnale delle proteine Wnt è l'esempio più diretto della cooperazione funzionale tra f. di c. e molecole di adesione. Le proteine Wnt sono essenziali nella crescita di cellule staminali embrionali, promuovendone la capacità di rinnovarsi e mantenere uno stato pluripotente. Un ruolo simile è esercitato da proteine Wnt su cellule staminali dell'adulto in vari organi e tessuti quali l'intestino, la pelle e il sistema ematopoietico, tanto da aver risvegliato un interesse biotecnologico nell'ipotesi di poter utilizzare questi f. di c. per espandere una popolazione di cellule staminali da usare in terapie cellulari. Per quanto riguarda il sistema nervoso, disfunzioni di Wnt1 portano a severe malformazioni del mesencefalo, del cervelletto e del midollo spinale, mentre l'inibizione della funzione di Wnt3A provoca la scomparsa dell'ippocampo. Queste malformazioni, che si osservano nei topi mutanti, sono probabilmente da ascrivere alla ridotta proliferazione di cellule staminali o di precursori neuronali. Probabilmente proprio per la loro capacità di promuovere l'espansione di popolazioni di cellule staminali, le proteine Wnt e le proteine che ne trasducono il segnale all'interno della cellula sono spesso implicate nella formazione e nella progressione di alcuni tipi di tumori, quali carcinomi del colon e del retto, medulloblastomi, tumori del polmone, melanomi e leucemie. Le proteine Wnt, però, possono anche promuovere il differenziamento di cellule staminali a spese della loro proliferazione e influenzare il tipo di cellule prodotte. Per es., cellule staminali della cresta neurale, in cui si abbia un'elevata attività di β catenina, danno luogo soltanto a cellule nervose sensoriali invece di produrre una progenie composta da diverse cellule quali melanociti, cellule gliali e vari tipi di neuroni. È stato dimostrato che Wnt3A favorisce la neurogenesi non solo durante lo sviluppo ma anche nell'individuo adulto. Wnt3A, infatti, promuove la proliferazione della popolazione staminale neurale nell'ippocampo nel ratto adulto e ne canalizza il differenziamento verso un fenotipo neuronale. La risposta delle cellule a Wnt è dipendente dal contesto e appare essere modulata dall'azione di altri f. di c., quali quelli che attivano recettori tirosina chinasi (per es., FGF), o membri della famiglia del TGB β. La trasduzione del segnale delle proteine Wnt è piuttosto complessa e sono stati individuati altri meccanismi di segnalazione accanto a quello canonico che è mediato dalla β catenina. Questa proteina è stata inizialmente identificata come partner delle caderine, molecole transmembrana che mediano l'adesione tra cellule. La β catenina nei complessi di adesione funziona collegando la porzione intracellulare delle caderine al citoscheletro e così stabilizzando l'interazione cellula-cellula. Le molecole di β catenina non legate alle caderine vengono rapidamente degradate in assenza di segnale di Wnt. Quando un fattore di crescita Wnt si lega a uno dei suoi recettori, chiamati Frizzled (piccola famiglia di proteine che nell'uomo è costituita da 10 membri), e a uno dei due corecettori LRP5 e LRP6, la degradazione della β catenina viene inibita, quest'ultima si accumula ed è traslocata nel nucleo dove lega il fattore di trascrizione TCF/LEF. Questo, che da solo funziona come repressore, a seguito del legame con la β catenina diventa un attivatore della trascrizione e induce l'espressione dei geni bersaglio della segnalazione di Wnt. Vi sono almeno due modi attraverso i quali f. di c. che regolano l'adesione tra cellule modulano la trasduzione del segnale di Wnt: 1) l'attivazione di recettori tirosina chinasi può promuovere la dissociazione della β catenina dai complessi di adesione e renderla quindi disponibile per partecipare alla via di segnalazione di Wnt; 2) l'attivazione di recettori tirosina chinasi, come pure l'azione del TGF β, spesso porta a una minore espressione delle caderine in quanto induce la sintesi di repressori della loro trascrizione. Diminuendo il numero di molecole di caderina espresse dalla cellula cresce il livello di β catenina libera.
Principi generali
Lo studio dei f. di c., che pur dura da più di mezzo secolo, è ancora in evoluzione, e nuove conoscenze si aggiungono di anno in anno. Tuttavia alcuni principi generali sembrano ormai essere chiaramente definiti e difficilmente andranno incontro a revisione in tempi brevi: 1) nel corso dell'evoluzione duplicazioni e diversificazioni dei geni che codificano per i f. di c. e i loro recettori hanno accresciuto il repertorio delle funzioni dei f. di c.; 2) una volta che si è stabilito un modulo funzionale costituito da un f. di c. e dal suo recettore, questo tende a essere utilizzato in più circostanze sia durante il differenziamento sia nell'adulto; da questo punto di vista un tale modulo può essere paragonato a un hardware utilizzato in più programmi distinti; 3) la risposta a un f. di c. è contesto cellulare dipendente; 4) a valle del recettore attivato le vie biochimiche che trasducono il segnale tendono a divaricarsi per cui di rado la risposta a un f. di c. può essere rappresentata da una cascata lineare di eventi, ma essa somiglia piuttosto a un network; generalmente alla risposta trascrizionale si accompagnano risposte non trascrizionali quali riorganizzazione del citoscheletro, modulazione dell'adesione, regolazione dei primi eventi del processo apoptotico; 5) f. di c. distinti, così come f. di c. e proteine di adesione, interagiscono tra loro funzionalmente e si influenzano reciprocamente.
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