fato [plur. fata]
Nel linguaggio dantesco il termine perde la connotazione pagana di ‛ inesorabile e misteriosa forza che regge il corso delle cose ' sovrapponendosi alla volontà stessa degli dei, e si piega al senso cristiano, più volte e unanimemente precisato dagli antichi commentatori: " profundum decretum vel iudicium divinum " (Benvenuto); " ordine fatale che dipende da la providenzia di Dio " (Buti); " Fato è una disposizione divina, intorno alle cose mobili, per lo quale la provvidenza ogni cosa annoda nel suo ordine " (Anonimo).
Da tale concezione prendono luce le parole del messo divino ai diavoli di Dite: Perché recalcitrate a quella voglia / a cui non puote il fin mai esser mozzo, / e che più volte v'ha cresciuta doglia? / Che giova ne le fata dar di cozzo? (If IX 97); e quelle di Virgilio a Malacoda: Credi tu, Malacoda, qui vedermi / ... sicuro già da tutti vostri schermi, / sanza voler divino e fato destro? (XXI 82; fato destro vale " prospera predestinazione " [Landino]); simile l'esempio di Pg XXX 142, dove si fa esplicita la specificazione: Alto fato di Dio; cfr. del resto s. Agostino Civ. V 1 e 8, e anche Boezio Cons. phil. IV pr. VI 9-10, e s. Tommaso Sum. theol. I 116 4.