FATALISMO
È la credenza nel fato, che determina una condotta ad essa conforme nella vita. Il fatalismo ha perciò in comune con la religione il sentimento di dipendenza assoluta da una forza suprema che domina l'universo, e con la morale la rassegnazione a tutto ciò che per necessità nell'universo avviene. Ma dalla religione differisce, perché non ammette il sentimento di confidenza filiale verso la causa suprema, e perché, negando ogni possibilità che si possa cambiare il corso degli avvenimenti, stima inutili le preghiere, che Seneca, fatalista stoico, chiamava aegrae mentis solacia (Quaest. natur., II, 35); dalla morale, perché non ammette la libertà e quindi esclude la responsabilità.
Ma pure, poiché nella storia il fato è stato avvicinato da una parte alla divinità e dall'altra alla legge naturale, ne sono venuti varî tentativi di conciliare il fatalismo tanto con la morale quanto con la religione. Tolto cioè al fato il cieco arbitrio delle sue determinazioni, e identificato, come nello stoicismo, con la legge razionale della natura, è rimasta invero la dipendenza assoluta dell'uomo dai fatti del mondo esteriore, ma tanto più pura si è fatta la libertà interiore del suo spirito; ovvero, identificato il fato con la sovranità intangibile dei voleri divini, se è rimasta la necessità di una quieta rassegnazione ai mali del mondo presente (di un valore religioso a volte superiore alla pretesa che si debba cambiare con la preghiera la faccia della natura a proprio vantaggio), tanto più forte si è fatta la confidenza nella vittoria finale del Bene.
Non si può negare però la grande difficoltà, anche per le persone colte, di conciliare l'una cosa con l'altra, come dimostrano le interminabili questioni fra i teologi sulla predestinazione, sia nel cristianesimo sia nell'islamismo. Per questo avviene spesso, specialmente tra il volgo e a preferenza nelle classi di quelli che sono più esposti a perdere casualmente la vita, come i guerrieri e i naviganti, che il fatalismo vive accanto, senza alcuna mediazione, alla religione: nello stesso tempo che si spera e si prega, si presta fede e soggezione ai capricci ineluttabili del destino e della sorte.
Bibl.: v. fato.