FASTI (fasti [dies], cioè sacralmente legittimi e regolari [da fas])
Nel calendario romano (v.) si dicevano fasti ed erano contrassegnati da una F quei giorni in cui era lecito trattare affari civili o giudiziarî senza offesa della religione (sine piaculo: Varr., De lingua lat., VI, 29). Quando oltre alle transazioni legali (lege agere) era permesso anche radunare i comizî (cum populo agere), i giorni si dicevano comitiales e si segnavano C (Macr., Sat., I, 16,14). Dei 365 giorni dell'anno i fasti e i comiziali sommavano a 239.
Si dicevano invece nefasti e si contrassegnavano con N quei giorni di malo augurio, o comunque religiosamente impediti, nei quali non era lecito né compiere i sacrifizî, né iniziare nuove imprese, né trattare affari giudiziarî (Varr., De lingua lat., VI, 29; Gell., IV, 9,5). La maggior parte di questi giorni erano dichiarati tali perché dedicati a purificazioni o riti funerarî o ctonici; ed erano: 1-14 febbraio, riti di purificazione; 5-22 aprile, riti di vegetazione, 5-14 giugno, purificazione del penus Vestae;1-9 luglio, di oscuro significato; in tutto 50. A questi giorni bisogna aggiungere i postriduani cioè quelli seguenti alle calende, alle none e alle idi di ogni mese (Macr., Sat., I, 16,22), e quelli anniversarî di qualche grave disastro pubblico.
Fasti consolari.
Dall'uso di accompagnare la lista dei giorni del calendario, detta senz'altro comunemente Fasti, con la lista dei magistrati eponimi, è sorta la denominazione di Fasti consolari per la serie dei consoli, che ci è conservata per il periodo repubblicano nelle fonti annalistiche o letterarie in genere e nelle liste speciali dei Fasti Capitolini, o parallele a queste (liste del Cronografo del 354, Fasti Idaciani, Chronicon Paschale), le quali pure hanno origine letteraria, ma un lor proprio carattere cronografico. Tra le fonti letterarie le più importanti sono: Diodoro, che nelle parti superstiti della sua Bihliotheca (l. XI-XX) ci conserva la lista dal 480 a. C. al 302 a. C.; Livio, che nel testo a noi pervenuto dà i consoli dal primo anno della repubblica al 293 a. C. (II-X), e dal 218 a. C. al 167 a. C. (XXI-XLV), mentre le periochae e gli epitomatori consentono la restituzione delle lacune; Dionisio d'Alicarnasso che li registra (V-XI) dal primo anno della repubblica al 443 a. C. Molto meno numerose, ma pure importanti sono le registrazioni superstiti di Polibio, Cicerone, Plinio, Dione Cassio (attraverso Zonara). Tra le fonti epigrafiche un posto a parte tengono i Fasti Anziati risalenti alla prima parte del sec. I a. C., dei quali i frammenti conservati si riferiscono agli anni 164-84 a. C. (G. Mancini, in Not. degli scavi, 1921, p. 126 segg.). I Fasti Capitolini, nei frammenti spesso mal ridotti che sono in nostro possesso, dànno la serie degli anni varr. 271-282; 188-304; 332-340; 345-364; 379-396; 404-408; 434-461; 470-487 (frammenti recentemente scoperti); 489-496; 497-532; 536-538; 539-546 (frammenti recentemente scoperti); 547-552; 553-624; 643-646; 655-698; 705-711; 717-718; 728-732; 742; 755-766.
Le prime scoperte di questi frammenti furono fatte, insieme con i frammenti dei Fasti trionfali, nel 1546 nella parte orientale del Foro, fra i templi di Faustina e dei castori, e poco dopo essi furono tutti raccolti sotto la direzione di Michelangelo sulle pareti di una sala del palazzo dei Conservatori, dal che derivò ad essi il nome di Fasti Capitolini. Furono pubblicati la prima volta dal Marliani (Roma 1549), poi dal Sigonio (Modena 1550, e con commento, Venezia 1556); dal Robertelli (venezia 1555), dal Panvinio (Venezia 1557 e 1558). Altri frammenti furono scoperti nel 1816 e furono magistralmente pubblicati da B. Borghesi (v.), altri nel 1870, altri più recentemente e tra questi i più importanti furono scoperti da P. Mingazzini nel 1924 e pubblicati nelle Notizie degli scavi del 1925 e si riferiscono agli anni 278-267 a. C. e 215-208 a. C. Questo elenco consolare cominciava col primo anno della repubblica, era contenuto in 4 tavole con 2 colonne ciascuna, e si proseguiva in un intervallo successivo. La IV tavola terminava al 9 a. C. e la continuazione giungeva al 13 d. C. Ogni dieci anni nel margine di sinistra era intercalata la data della fondazione di Roma, secondo l'era catoniana che ha un anno di meno di quella varroniana, e in qualche caso ai nomi dei collegi era intercalata la registrazione di avvenimenti di particolarissima importanza. Le tavole su cui erano incisi i fasti consolari occupavano due delle pareti esterne della Regia nel Foro, e siccome sappiamo che la Regia, distrutta da un incendio, fu ricostruita nel 36 a. c. dal pontefice massimo Domizio Calvino, è certo che l'incisione dei fasti avvenne dopo quell'anno. Il Borghesi, seguito dal Henzen e dal Mommsen, pensò che essa fosse avvenuta tra il 36 e il 30 a. C., spiegando per tal guisa l'erasione del nome del triumviro Antonio agli anni 47 e 37 a. C., e che le registrazioni fossero state continuate in seguito per una serie d'anni. Il Hirschfeld invece sostenne che l'incisione fosse stata fatta al più presto tra il 19 e il 12 a. C., nel quale anno Augusto divenne pontefice massimo. La redazione della lista è generalmente attribuita ad Attico.
Il Cronografo del 354, i Fasti di Idacio e il Chronicon Paschale dànno la serie intera a cominciare dal primo anno della repubblica.
Le diverse liste hanno non poche varianti tra di loro, ma queste sono affatto trascurabili dalla guerra di Pirro in poi (riducendosi per lo più a errori di scrittura e a qualche oscillazione di cognomi), onde da questo momento (olimp. 124,4 = 281/0 a. C.) la serie degli eponimi annui è assodata e la cronologia sicura nei punti essenziali, del che molte sono le prove; ma qui basti ricordare che, se dal consolato di Ti. Sempronio e P. Cornelio, che cade certamente nel 218 a. C. (come risulta, tra l'altro, dalla testimonianza di Polibio), noi, coi fasti alla mano, risaliamo in su, otteniamo per il consolato di Appio Claudio e di M. Fulvio, con cui si aprì la prima guerra punica, il 264 a. C., conformemente all'indicazione di Polibio, che pone la πρώτη διάβασις ἐξ 'Ιταλίας ‛Πωμαίων nell'olimpiade 129ª; e se risaliamo ancora ulteriormente, otteniamo per il consolato di P. Valerio e di Ti. Coruncanio, col quale scoppiò la guerra pirrica, il 280 a. C., conformemente a quanto può dedursi da Polibio stesso per la Πύῤῥον διάβασις εἰς τὴν 'Ιταλίαν. Invece per il tempo precedente alla guerra di Pirro le varianti sono non poche, e le più rilevanti si riscontrano in Diodoro rispetto alle altre fonti: in lui, infatti, mancano i consoli del 482 a. C. e del 367 a. C., mentre è intercalato un anno consolare tra il 457 e il 456 a. C. e uno tra il 428 e il 427 a. C.; sono inoltre saltati al principio del libro XIII gli eponimi degli anni 423/19, mentre al principio del libro XV sono ripetuti i collegi degli anni 394/0 a. C. Livio e Dionisio procedono invece strettamente di conserva, sennonché Livio omette per disattenzione alcune coppie e sostituisce un solo collegio ai due del 507 e del 506 a. C. Si notino inoltre queste altre discrepanze: Diodoro assegna al decemvirato due anni in luogo dei tre di Livio e di Dionigi di Alicarnasso, e mentre in Livio, 13 anni dopo l'incendio gallico, sono registrati cinque anni di anarchia (solitudo magistratuum), in Diodoro all'anarchia è assegnato soltanto un anno; nei Fasti Capitolini, a differenza di tutte le altre fonti, sono intercalati nell'ultima terza parte del sec. IV a. C. i quattro anni cosiddetti dittatoriali, nei quali cioè avrebbe tenuto il potere supremo per un anno intero un dittatore col suo maestro dei cavalieri (sono gli anni corrispondenti al 333, 324, 309, 301 a. C.); nel 434 a. C. Licinio Macro registrava come consoli Giulio e verginio, mentre tutte le altre fonti davano nomi ben diversi (Livio, IV, 23), e Calpurnio Pisone saltava i consolati del 307 e del 306 a. C. (Liv., IX, 44,4). Discrepanze di minore importanza si hanno circa la forma dei diversi nomi, spesso spiegabili con inesatte trascrizioni, gli elementi dei nomi (cognomi, patronimici e nomi degli avi) e il numero dei componenti i collegi dei tribuni militum consulari potestate per il tempo nel quale questi s'intercalarono ai collegi consolari (444-367 a. C.): infatti i tribuni militum in Diodoro sono ora tre, ora quattro, ora sei, una volta sette od otto; in Livio dal 405/6 sono sempre sei, e sei nei Fasti Capitolini superstiti, salvo che per l'anno 389 a. C., nel quale anno sono nove.
Al disopra delle varianti, che le diverse liste presentano, sta il fatto notevolissimo che il numero dei collegi degli eponimi è in tutto identico o differisce di uno al più: 236 sono cioè i collegi di magistrati supremi, consoli, decemviri o tribuni militari, che compaiono nei Fasti consolari prima del principio della prima guerra punica (264 a. C.). E poiché d'altronde le varianti, a parte quelle d'indole cronologica, non sono rilevanti, è certo che la lista degli eponimi esisteva già nel sec. III a. C., e cioè prima degl'inizî dell'annalistica, in una forma sostanzialmente identica a quella nella quale noi la leggiamo, e la critica più autorevole si trova d'accordo oggi nell'affermare che questa lista precedente all'annalistica riposa sostanzialmente su tradizione genuina. Qualche dubbio si fa valere al più per i primi decennî: anche il Beloch, al quale non si può davvero rimproverare una tendenza tradizionalista, conclude l'indagine sui Fasti consolari, che apre la sua Römische Geschichte col riconoscimento della genuinità sostanziale della lista, e limita le interpolazioni appunto alle parti più antiche, fino al 486 a. C., desumendole dall'appartenenza alla plebe di parecchi nomi. "Poi" egli scrive (p. 61) "fino al 364 interpolazioni d'interi collegi si verificano soltanto di rado, mentre più spesso singoli nomi o sono cacciati da altri, o, nel periodo dei tribuni consolari, sono saltati. Da allora in poi interi collegi non sono più interpolati, a prescindere forse da un'unica eccezione, ed anche varianti di semplici nomi appaiono soltanto in casi isolati", nel che concordava egli sostanzialmente col De Sanctis (I, p. 11). E infatti non vi può essere dubbio che molto presto i Romani sentissero per ragioni pratiche (durata del servizio militare, scadenza di contratti, ecc.), il bisogno di una lista di eponimi, che prendesse il posto delle ere dei singoli monarchi, che a quegli scopi avevano potuto soddisfare per tutta la durata del periodo regio. E se quella lista si cominciò a redigere assai presto, è affatto arbitrario l'affermare che essa dovette andare perduta in ogni modo in occasione dell'incendio gallico. D'altronde dell'autenticità sostanziale di essa vi hanno caratteristiche intrinseche nella forma arcaica dei nomi, anteriore al rotacismo, sin verso la metà del sec. IV a. C., nell'essere i gentilizî consolari assai più numerosi e varî nella prima che nella seconda parte dei fasti, e nell'apparire tra i detti gentilizî della prima parte nomi di genti patrizie, poi affatto decadute o addirittura estinte, sì che non sarebbe possibile attribuirne la falsificazione a discendenti interessati.
Affermata l'autenticità fondamentale della lista, resterebbe naturalmente da stabilire quale ne fosse l'originale, come e dove esso si conservasse, quale rapporto corresse tra esso e le successive trascrizioni, e quali rapporti reciproci tra queste ultime; ma tutti questi problemi, nonostante i grandi sforzi che sono stati fatti, non possono avere risposte soddisfacenti, dato lo stato dei materiali conservati dalla tradizione, e il carattere complessivo che essa ha per quanto si attiene alla più antica storia di Roma.
Il tentativo più laborioso a questo proposito è quello di G. Costa, che fa discendere tutte le fonti a noi pervenute dalle Cronache dei pontefici, attraverso però due tramiti distinti, gli Annali massimi e i libri lintei; la lista degli Annali massimi sarebbe stata riprodotta con maggiore o minore rielaborazione erudita, nelle fonti di carattere cronografico: Cornelio Nepote, Attico e Varrone, e sarebbe rappresentata per noi dai Fasti Capitolini, dal Cronografo del 354, e anche dai Fasti Diodorei, i quali però conterrebbero una quantità di alterazioni e di deformazioni, mentre il Cronografo del 354 ci conserverebbe una tradizione ufficiale precedente a quella dei Fasti Capitolini. Dai libri lintei discenderebbero le fonti annalistiche. Tutto ciò non è che congettura, né si deve dimenticare che i problemi che abbiamo indicato hanno più attrattiva di erudizione che vera importanza storica, dinnanzi al fatto, tirmai incontrovertibile, dell'autenticità fondamentale della lista. Ed è assai probabile, del resto, che di originali dei fasti ve ne fossero sin dall'origine più d'uno: i libri lintei p. es. più che come un tramite, possono essere considerati come un originale, parallelo a quello delle Cronache dei pontefici, per le quali resta problematico quando vi cominciassero le registrazioni autentiche.
Compito meno disagevole, sebbene sempre difficile, è quello di studiare le varianti che, come abbiamo veduto, si riscontrano nei rami superstiti della tradizione, per cercare di darne ragione e di giudicarne il valore, ma a questo proposito noi dobbiamo limitarci a dire che le varianti d'indole cronologica dipendono da questo: che il numero di 101 collegi di eponimi tra le guerre di Pirro e l'incendio gallico doveva essere inferiore al numero effettivo degli anni, e che di ciò si accorsero annalisti e cronografi, probabilmente perché conobbero presto che la data fissata per l'incendio gallico dalla cronografia greca era il 387-6 a. C. (olimp., 98,2; Pol. I, 6 e Diod. XIV, 110-117) o il 388-7 (olimp. 98, 1; Dionys., I, 74, 4; cfr. App., Celt., 2, 1), mentre coi 101 collegi si sarebbe giunti al 382. Ne discendeva la necessità di allungare la lista per ristabilire il sincronismo, e a tal fine chi pensò a prolungare l'anarchia da uno a cinque anni, e chi pensò ai quattro anni dittatoriali; anzi avvenne che il redattore dei Fasti Capitolini, anziché scegliere tra l'uno o l'altro di questi espedienti cronologici, li adottò entrambi, e in tal guisa anticipò di quattro anni la data della presa di Roma sul sincronismo cui si mirava. Donde derivasse l'ammanco dei collegi registrati nei fasti rispetto al numero effettivo degli anni, è incerto. Qualcuno pensò che tale ammanco fosse conseguenza degli spostamenti del giorno di entrata in carica dei consoli e degli interregni, ma non pare verosimile che queste evenienze avessero effetti cronologici di tale portata, e pare invece probabile che gli interregni fossero, sin da principio, computati nell'ambito dell'anno consolare precedente o successivo. Altri pensa a un'effettiva e piuttosto lunga sospensione della costituzione dopo la presa di Roma ad opera dei Galli; altri finalmente opina che parecchi collegi fossero saltati nelle trascrizioni successive delle liste, e la distribuzione dei tribuni militum in collegi annui fosse alterata per lo spostamento dei segni divisorî di un collegio dall'altro.
Quanto alle varianti circa il numero dei componenti i collegi dei tribuni consolari non sono possibili induzioni sicure, ma non è dimostrato affatto che tra Livio e Diodoro la preferenza debba essere data a quest'ultimo. Se infatti Livio dal 405 a. C. in poi dà costantemente il numero di sei componenti, d'accordo, in genere, coi Fasti Capitolini, mentre Diodoro ne dà tre o quattro, è molto più probabile che in Diodoro siano caduti o siano stati saltati dei nomi, anziché ne siano stati interpolati sistematicamente in Livio e nei Fasti Capitolini.
Quanto, infine, alle varianti negli elementi dei nomi, si crede da alcuni che cognomi, patronomici e nomi degli avi siano tutte aggiunte posteriori e addirittura falsificazioni; ma molto meglio è attenersi alle conclusioni del Beloch (p. 46 segg.), secondo cui non sono ammissibili dubbî circa i patronimici e circa i cognomi dei consoli patrizî nemmeno per le parti più antiche della lista, mentre è da ritenersi che i nomi degli antenati per le parti precedenti al 200 circa a. C. siano stati aggiunti in seguito, ma derivino pur sempre dalla tradizione genealogica delle famiglie.
Per il periodo imperiale le fonti più importanti per la ricostruzione delle liste degli eponimi sono quelle del Cronografo del 354, che giungono fino al detto anno e i Fasti Idaciani che giungono sino al 468, mentre quelle parallele del Chronicon Paschale si arrestano al 394. Vengono poi quelle liste che il Mommsen ha raggruppato sotto il nome di Consularia Italica (fasti Vindobonenses, Anonymus Valesianus, Epitome Barbari Scaligeri, ecc.) e le cronache che le usarono. Tutti questi materiali sono stati pubblicati magistralmente dal Mommsen nei tre volumi dei Chronica Minora nei Monummta Germaniae Historica (Auct. antiquiss., IX, I, 1 e 2; II). A ciò si debbono aggiungere le notizie degli scrittori e gl'innumerevoli documenti epigrafici con nomi di consoli ordinarii o suffecii.
Bibl.: C. Cichorius, De fastis consularibus antiquissimis, in Leipziger Studien, IX, 1887, p. 171; G. Schön, in Wiener Studien, XXIV, 1902, p. 325 segg., e articolo Fasti in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 2015 segg., specie 2023; G. Sigwart, in Klio, VI (1906), p. 209 seg.; T. Giorgi, in Rendiconti dell'Accademia dei Lincei, XX (1911), p. 315 segg.; G. Costa, I Fasti consolari romani, Milano 1910; id., L'originale dei fasti consolari, Roma 1910; W. Soltau, Die Anfänge der römischen Geschichtsschreibung, Lipsia 1909, p. 264; E. Pais, Sui fasti consolari, in Ricerche sulla storia e sul diritto pubblico di Roma, s. II, Roma 1916. Per le liste degli eponimi, quanto all'epoca repubblicana si veda soprattutto Th. Mommsen nel Corp. Inscr. Lat., I, 2ª ed., p. 81 segg.; per l'epoca tra il 44 a. C. e il 284 d. C.: I. Klein, Fasti consulares inde a Caesaris nece usque ad imperium Diocletiani, Lipsia 1881; per l'età più recente le discussioni di G. B. De Rossi nel I volume delle Inscript. Christianae Urbis Romae, Roma 1857, nel quale poi è dato a p. 587 segg. l'elenco per gli anni 71-589 d. C., e l'indice del Mommsen al II volume dei Chronica Minora, p. 497 con l'elenco dal 44 al 613. Utile e maneggevole l'edizione di W. Liebenam, Fasti consulares Imperii Romani, Bonn 1910, con le liste dal 30 a. C. al 656 d. C. Particolarmente importante l'articolo Consules di D. Vaglieri nel vol. II del Dizionario Epigrafico di Antichità Romane di E. De Ruggiero (p. 869-1181), nel quale si dànno gli elenchi dei consoli disposti in ordine alfabetico in tre distinte sezioni cronologiche, la prima del periodo repubblicano, la seconda del periodo imperiale sino all'anno 398, la terza dell'età successiva sino al 632. L'ordine alfabetico consente di comprendere quei numerosi consoli, di cui non si può indicare esattamente l'anno, ed anche quelli dei quali non è ricordato espressamente il consolato, ma questo può indursi dagli uffici poscia occupati. L'articolo si chiude con un utilissimo elenco cronologico che va dal 509 a. C. all'anno 613 d. C.
Fasti trionfali.
Si dà questo nome alle liste dei trionfatori romani, specialmente a quella di cui molti frammenti vennero alla luce nel foro romano nel 1546 e parecchi altri in seguito, insieme coi frammenti dell'altra lista gemella dei fasti consolari. Ma, a vero dire, questa denominazione di fasti, se è legittima per la lista dei magistrati eponimi, in quanto che simili liste accompagnavano spesso i calendarî, che si solevano appunto chiamare fasti, legittima non è per la lista dei trionfatori, che né si soleva accompagnare coi calendarî, né comprendeva spazî annuali, procedendo, al contrario, a tappe irregolari e accidentali. Nomi più appropriati sono quelli che troviamo anche in fonti antiche di acta triumphorum (Plin., Nat. Hist., XXXVII, 13) e di tabulae triumphorum (Atil. Fortunat., VI, 625, Keil).
La lista dei trionfatori era incisa sui 4 pilastri di una delle facciate della Regia, nel foro romano, e conteneva tutti i trionfi da Romolo sino a quello di Cornelio Balbo del 19 a. C., ma i frammenti conservati lasciano parecchie lacune. Le registrazioni comprendono il nome del trionfatore, con l'indicazione del padre e del nonno, l'anno del trionfo, il nome del popolo o dei popoli vinti, il giorno e il mese della celebrazione, così: C. Duilius M. f(ilius) M. n(epos) co(n) s (ul) primus an(no) CDXCIII navalem (triumphum) de Siculi(is) et classe Poenica egit K(alendis) interkalar(ibus). L. Cornelius L. f. (ilius) Cn. n(epos) Scipio co(n)s(ul) anno CDXCIV de Poenis et Sardin(ia) Corsica V. id(us) Mart(ias): cfr. Corp. Inscr.Lat., I, 2ª ed., p. 47.
L'era della fondazione di Roma adottata in questa lista è la stessa dei fasti consolari, cioè il 752 a. C., con diminuzione di un anno rispetto a quella varroniana, e nei nomi degli eponimi vi è precisa corrispondenza tra le due liste. È certo che alla loro redazione ed esposizione si pensò contemporaneamente, e cioè con molta probabilità già quando nel 36 a. C. Domizio Calvino pose mano alla ricostruzione della Regia. Ma andata distrutta in un incendio mentre per i Fasti consolari è sommamente probabile che essi siano stati incisi prima del 30 a. C., i Fasti trionfali, secondo l'opinione prevalente tra gli epigrafisti, furono incisi solo tra il 19 e il 12 a. C.
Credibilità e fonti dei Fasti trionfali. - I Fasti trionfali prendono le mosse, come già si è detto, da Romolo, ma naturalmente nessuno può credere alla genuinità delle registrazioni né per il periodo regio, né per il periodo repubblicano più antico. Da quale momento cominci la genuinità delle registrazioni e quale abbia a ritenersene la fonte, è problema arduo, che s'inserisce in quello generale delle fonti e della credibilità della storia romana più antica. Qui basti dire che, secondo le recenti indagini, anche le più caute e le più diffidenti, le notizie dei Fasti trionfali debbono ritenersi genuine a partire, per lo meno, dal principio del sec. III a. C. Il Beloch stesso ha dimostrato che tra il 300 e il 264 a. C. in un numero complessivo di 29 trionfi registrati, se ne possono ritenere interpolati appena 6, cioè circa il 20%, ed egli riconosce che anche le singole date addotte per questi trionfi non offrono il fianco a sospetti. Diversamente invece stanno le cose per il sec. IV, per il quale alcuni moderni sono più e altri meno scettici. Tra i primi si schiera il Beloch, il quale afferma che dei 17 trionfi registrati tra il 326 e il 301, otto soltanto sono superiori a ogni dubbio. Lasciando quindi in sospeso la questione per quanto riguarda il sec. IV, è già assai importante il riconoscimento dell'autenticità sostanziale della registrazione dei Fasti a partire dal 300 a. C.: da questo riconoscimento discende che la fonte prima delle registrazioni non può ricercarsi nella storiografia, ma in notazioni contemporanee, fatte in qualche documento ufficiale, il quale altro non può essere se non la cosiddetta "cronaca dei pontefici", della quale è ricordo in un noto frammento del libro IV delle Origines di Catone (77, Peter): non lubet scribere, quod in tabula apud pontificem maximum est, quotiens annona cara, quotiens lunae aut solis lumine caligo aut quid obstiterit (cfr. Serv., Ad Aen., t, 373). Quest'uso, che vigeva al tempo di Catone il Vecchio, era durato sino al tempo del pontefice massimo P. Mucio Scevola, secondo che testimonia Cicerone in un passo del De orat., II, 12,52, dal quale si è indotto a ragione che questo pontefice non soltanto avesse soppresso quella consuetudine, ma avesse raccolto tutte le annotazioni precedenti del collegio pontificale negli Annales maximi, che erano una compilazione in cui alle registrazioni autentiche era certamente premessa una ricostruzione per i tempi più antichi, come anche eran fatte interpolazioni d'ogni genere per i tempi successivi. Gli Annales maximi dovettero appunto essere la fonte dalla quale derivò la nostra lista di trionfi, così nelle parti sostanzialmente genuine come in quelle inventate e interpolate. Se essi fossero poi fonte immediata o mediata si discute. Un tempo prevalse l'idea che il rapporto tra gli Annales maximi e i nostri Fasti fosse assai intimo, poi quella che lo fosse meno e che nella nostra lista fossero state accolte tutte le più spudorate falsificazioni dell'annalistica più tarda: recentemente si è tornati alla prima di queste opinioni dalla parte donde meno ce lo saremmo attesi, dal Beloch cioè, il quale così concludeva la sua indagine in proposito: "I dati dei Fasti trionfali derivati dagli Annales maximi poggiano, a partire dal 296 a. C., su documenti contemporanei e meritano quindi piena fiducia, a prescindere da qualche più tarda interpolazione, che possa essere o dimostrata o qualificata come verosimile. Invece i dati dei Fasti sui trionfi precedenti a quest'anno non hanno più nessuna simile garanzia documentaria, nessun valore maggiore di tutta la restante tradizione annalistica, soltanto che si tratta di tradizione dell'epoca graccana, mentre tutti gli altri annali che ci restano derivano dall'età di Cesare o di Augusto... Ogni vittoria romana, alla quale nei Fasti Capitolini non corrisponda alcun trionfo, è sospetta al massimo grado, e fino a dimostrazione della sua genuinità va cancellata dalla storia". E qui vogliamo ricordare che le date dei Fasti Capitolini, per la parte che risale sostanzialmente a registrazioni autentiche, cioè dal 300 circa a. C. in poi, hanno somma importanza nello studio del calendario romano, in quanto c'informano su alcune intercalazioni e ci fanno constatare alcuni spostamenti dell'anno ufficiale rispetto a quello calendariale.
Se è da ritenersi certo che la lista trionfale capitolina risalga nella massima parte agli Annales maximi, resta completamente incerto il nome dell'autore immediato, ma, tenendo conto del fatto che è sommamente probabile che essa sia stata incisa parecchi anni dopo quella consolare, è lecito credere che il redattore dell'una fosse diverso da quello dell'altra, e se per i Fasti consolari si pensa generalmente ad Attico, che morì nel 32 a. C., per i Fasti trionfali è meglio pensare ad altro autore, che abbia ripreso il lavoro del primo, forse a Verrio Flacco.
Per il completamento dei frammenti superstiti della lista, come anche per la restituzione dei trionfi che in essa mancano, si deve ricorrere al confronto con tutti i resti della tradizione letteraria, e mediante tale confronto è stato possibile ricostruire la lista completa, a prescindere dalle date dei giorni (v. Corp. Inscr. Lat., I, 2ª ed., p. 168).
Che copie dei Fasti trionfali fossero esposte in qualche municipio, come le copie analoghe di Fasti consolari e di elogi, era già probabile di per sé, ed è stato dimostrato dal piccolo frammento scoperto a Tolentino sino dal 1819 e da quello molto più cospicuo scoperto in questi ultimi anni in Urbisaglia, e pubblicato dal Moretti, in Notizie degli Scavi, 1925, p. 114 segg., contenente la registrazione degli stessi trionfi, compresi nei Fasti Capitolini tra il 176-5 e il 159-8 a. C., con notevoli varianti però di forma e di caratteri epigrafici. Entrambi i frammenti fanno parte di una stessa tabula, nella quale l'editore vuol vedere una copia, che sarebbe stata fatta per la città di Urbsalvia da una redazione ufficiale romana dei Fasti trionfali, che, per le varianti accennate, sarebbe alquanto più antica di quella contenuta nei Fasti Capitolini. Se così fosse, rimarrebbe sminuita l'importanza della redazione, donde derivò la lista capitolina, e risulterebbe che già prima dell'epoca augustea esisteva in Roma una lista epigrafica di Fasti trionfali, in redazione ufficiale canonica.
Bibl.: Th. Mommsen, Römische Forschungen, II, Berlino 1879, p. 58 segg.; id., Römisches Staatsrecht, 3ª ed., I, Lipsia 1887, p. 488, II, p. 755 segg.; H. Matzat, Römische Chronologie, Berlino 1883, I, p. 335 segg.; C. Cichorius, De fastis consularibus antiquissimis, in Leipziger Studien, IX, p. 171 segg.; G. Schön, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 2943 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 1 segg.; E. Pais, Storia di Roma, 3ª ed., Roma 1926, I, p. 15 segg.; id., Fasti triumphales populi romani, Roma 1920; id., I fasti trionfali del popolo romano, Torino 1930; K. J. Beloch, Röm. Gesch., Berlino e Lipsia 1926, p. 86 segg. L'edizione dei Fasti trionfali Capitolini si ha nel Corp. Inscr. Lat., I, 2ª ed., in G. Schön, Das capitol. Verzeichnis der röm. Triumphe, Vienna 1893, e nelle due citate opere del Pais (nella seconda anche la traduzione).