Fantasia e immaginazione
La psicologia cognitiva e le neuroscienze contemporanee hanno introdotto una significativa differenziazione tra due processi mentali, denominati in inglese imagery e imagination. Imagery è il processo di produzione di immagini mentali, generate cioè all'interno della mente senza una fonte esterna di stimolazione (che dà luogo invece a 'ciò che è percepito' o percetto). L'aggettivo mentale viene utilizzato per sottolineare l'origine interna dell'immagine, consentendo di indicare prodotti che non hanno alcun riferimento a oggetti o stimoli della realtà esterna. Imagination è invece il processo di combinazione creativa delle immagini, che spesso viene indicato in italiano con fantasia: un insieme di operazioni mentali implicate nella produzione artistica, ma anche in quelle forme di attività mentale (inclusi il pensiero infantile, il pensiero magico e il pensiero schizofrenico) che deviano dal pensiero discorsivo fondato sulle leggi della logica. In tale articolazione terminologica si riflette la problematica concettuale già insita nel termine phantasía, con cui Aristotele indicava un'operazione intermedia tra un processo che genera prodotti simili agli oggetti esterni e un altro che crea contenuti di origine puramente mentale. Per precisare il significato del termine phantasía Aristotele nel De anima (iii, 429 a 1-4) ne indicava la derivazione da pháos (luce), mettendo in risalto la relazione con una rappresentazione mentale di tipo visivo. Come gli stimoli luminosi generano sensazioni visive, così la mente produce internamente 'fantasmi' (phantásmata) o immagini. Le immagini sono viste da un 'occhio osservatore interno della mente' allo stesso modo in cui una persona osserva un quadro: questa analogia si estende nella tradizione filosofica da Aristotele a tutto il Medioevo e il Rinascimento fino a R. Descartes, si intreccia con la problematica del rapporto esistente fra immaginazione e memoria e arriva fino a giungere al dibattito degli anni Settanta del Novecento (Phantasia-Imaginatio, 1988; Ferraris 1996).
Sebbene vi fossero state, in precedenza, analisi critiche riguardo all'idea di un osservatore 'interno' che produce immagini e le contempla come quadri (per es., quella di G. Ryle in The concept of mind, 1948), solo negli anni Settanta del 20° sec. il concetto di immagine mentale venne considerato nella sua complessità. Infatti, nella psicologia comportamentista del primo Novecento il tema dell'immaginazione non era stato affrontato così come erano stati rifiutati come oggetto di indagine tutti i processi interni alla 'scatola nera' (la mente), noti per introspezione. Negli anni Cinquanta e Sessanta la nuova corrente del cognitivismo decise invece di indagare proprio processi mentali come l'attenzione e l'imagery, che intervengono attivamente nell'elaborazione dell'informazione. Pur all'interno di questa impostazione, nel 1973 Z.W. Pylyshyn pubblicò un articolo sull'imagery mentale rifiutandone la tradizionale interpretazione pittorica e la sua definizione come percezione interna.
La critica di Pylyshyn fu avanzata quando era già diffusa la teoria del 'doppio codice' di A.U. Paivio, elaborata dopo vari esperimenti sulle immagini mentali condotti negli anni Sessanta da Paivio stesso e da altri psicologi (particolare rilevanza ebbero le ricerche di R.N. Shepard e L.A. Cooper del 1971 sulla 'rotazione mentale', l'operazione mediante cui si ruota mentalmente un oggetto nello spazio). Secondo Paivio (1986) la mente è dotata di due sistemi (o codici) di elaborazione e rappresentazione dell'informazione - il sistema verbale e il sistema non verbale - distinti in relazione a varie caratteristiche strutturali e funzionali ma interagenti durante l'attività cognitiva. Il codice verbale è costituito da unità distinte (per es., fonetiche, lessemiche e così via) che si combinano tra loro secondo regole grammaticali e sintattiche per formare parole e frasi, e si sviluppa in modo sequenziale nel tempo, mentre il codice non verbale è formato da unità cosiddette olistiche (per es., l'immagine di un albero è formata da componenti, tronco, rami, foglie ecc., che non si combinano secondo regole definite, pur configurando nel loro insieme tale immagine) e opera in modo parallelo. Furono proposte anche strutture corticali distinte: l'emisfero cerebrale sinistro per il codice verbale e il destro per quello non verbale. Il modello di Paivio fu applicato inoltre per determinare differenze e preferenze individuali nelle modalità di elaborazione dell'informazione esterna, individuando 'tipi verbali' e 'tipi immaginativo-visivi'.
In seguito, S.M. Kosslyn ipotizzò che la produzione di immagini richiedesse una sorta di schermo mentale (visual buffer) su cui scorrono le immagini stesse, le quali, a loro volta, sono basate sulle informazioni conservate nella memoria a lungo termine in forma analogico-visiva o verbale. Kosslyn indicò una serie di operazioni relative all'imagery: come le immagini vengono generate e 'proiettate' sullo schermo; ispezionate o scandagliate da una sorta di occhio o telecamera interni; trasformate, per es., ruotandole in senso orario o antiorario; utilizzate per risolvere un problema geometrico.
Secondo la critica di Pylyshyn, queste operazioni non sono proprie di un processo autonomo, ma, di fatto, dipendono da un sistema di elaborazione fondato su modalità e procedure di tipo proposizionale e simbolico. Per fare un esempio, quando una persona immagina il percorso che va dalla propria casa al posto di lavoro non si verificherebbe un'osservazione diretta di una sorta di mappa interna, ma verrebbe prodotta una rappresentazione mentale in funzione dei luoghi noti ed essenziali. L'immagine sarebbe un epifenomeno conseguente di questa antecedente e inconsapevole conoscenza depositata in memoria nel formato proposizionale.
Nonostante queste critiche, la teoria pittorica dell'imagery mentale ha avuto un'ulteriore diffusione grazie ai risultati ottenuti con le tecniche di neuroimmagine (risonanza magnetica funzionale; PET, Positron Emission Tomography) e alle ricerche su pazienti cerebrolesi. Il fatto che durante la produzione di immagini vi sia effettivamente un'attivazione delle aree primarie della corteccia visiva ha fatto supporre che queste regioni corticali rappresentino il visual buffer su cui si visualizzano sia i percetti causati da stimoli esterni sia le immagini mentali prodotte sulla base di informazioni contenute nella memoria a lungo termine (Kosslyn 1994). Nuovi studi hanno fatto ipotizzare che la sede della produzione di immagini sia localizzata nei lobi temporali (Bartolomeo 2002). Pylyshyn (2003) ha criticato l'interpretazione di questi risultati nei termini di una teoria pittorica in quanto l'attivazione di determinate aree corticali non spiegherebbe di per sé la genesi e il formato di tali prodotti mentali.
Un nuovo impulso alle ricerche sull'imagery deriva dalla teoria secondo cui la percezione non è una sorta di fotografia del mondo esterno, ma un processo attivo di ricognizione e individuazione di unità di informazione esterna in funzione degli interessi dell'osservatore (O'Regan, Noë 2001). Non vi sarebbe quindi prima lo stadio della percezione e poi quello dell'attenzione che filtra ciò che è stato percepito e lo trasferisce agli stadi successivi per un'ulteriore elaborazione cognitiva. L'attenzione guiderebbe l'esplorazione del mondo esterno e verrebbe percepito solo ciò che corrisponde agli schemi e alle aspettative. Questa teoria, detta dell'attività percettiva, è stata applicata da N.J.T. Thomas (1999) ai due distinti concetti di imagery e di imagination. Gli schemi conservati nella memoria per esplorare determinate figure o scene nella realtà esterna vengono attivati anche quando queste sono immaginate. Secondo Thomas, questa concezione costruttiva della imagery consente anche di vederne la relazione con l'imagination, l'immaginazione creativa o fantasia. Nella teoria pittorica il prodotto creativo è dato dalla ricombinazione originale di elementi preesistenti, una sorta di riassemblaggio figurativo, mentre nella teoria dell'attività percettiva la fantasia si manifesta nella diversa prospettiva con cui si vedono gli stessi elementi. Riferendosi alla creatività scientifica, Thomas fa l'esempio della rivoluzione copernicana, che portò alla visione di una diversa immagine del mondo nonostante gli elementi (pianeti e stelle) rimanessero gli stessi e la loro interazione non corrispondesse a quanto un astronomo come T. Brahe poteva percepire con i propri occhi. Rimane ancora aperto il problema di quale sia la fonte di questa immaginazione creativa che riorienta la percezione. Il rapporto fra immaginazione creativa e pensiero, pur studiato nell'ambito della creatività scientifica (Miller 1984), resta ancora un'area della psicologia da approfondire.
bibliografia
Z.W. Pylyshyn, What the mind's eye tells the mind's brain: a critique of mental imagery, in Psychological bulletin, 1973, 80, pp. 1-24.
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