FALSIFICAZIONE (fr. falsification; sp. falsificación; ted. Fälschung; ingl. falsification)
In questo articolo si parlerà, da un punto di vista esclusivamente storico e tecnico, per il particolare interesse che esse rivestono, delle falsificazioni di oggetti d'arte. Per le questioni sollevate dalla falsificazione di documenti storici, questioni che formano parte integrante della metodologia storica, v. storia.
Da un punto di vista giuridico, per le falsificazioni di monete, atti pubblici, documenti, e per le varie ipotesi di falso considerate come tali dalla legge, v. falso (per la contraffazione e falsificazione di marchi di fabbrica, v. marchio di fabbrica). La falsificazione di opere d'arte non è considerata, in sé, come un reato, mentre è considerato come tale, ed è punito come frode (v.), lo spacciare come autentica un'opera d'arte falsificata.
Falsificazioni di oggetti d'arte. - La loro storia segue passo passo quella del commercio antiquario (v. arte), con tecnica proporzionata alla competenza dei conoscitori. Opere d'artisti celebri furono probabilmente falsificate già nel periodo ellenistico: qualcuno ha dubitato che non sia originale la firma di Boeto (v.) sull'erma di Mahdia. Ma la prima notizia sicura la dà Fedro (V, I) ai tempi di Tiberio: firme apocrife di antichi; maestri greci si mettevano sulle statue, sui quadri e sulle argenterie artistiche. Roma era il grande mercato dove non potevano mancare gli "amatori" ricchi e ignoranti: Trimalcione, che illustra con il suo sproloquio il "bronzo di Corinto" (Petronio, Sat., L, LII), è una bellissima caricatura del tipo. Nel Rinascimento il lavoro ricominciò. Certi levantini che avevano promesso a Ciriaco d'Ancona di procurargli sculture di Policleto, e non riuscirono a concluder l'affare, avevano soltanto la buona intenzione. Invece, verso il 1500, c'era in Italia chi sapeva fabbricare delle magnifiche antichità, specialmente nella statuaria. Che mettesse conto di farle, si può intender dai cento ducati che Giulio Romano ricevette dalla marchesa di Mantova, Isabella d'Este, per una testa romana di marmo. Anche Michelangelo, da giovane, lavorò anticaglie, e un aneddoto famoso è riferito nella biografia del Vasari (ediz. del Milanesi, VII, p. 148; verso il 1495). Bisogna però andar molto cauti nel parlare di "falsi" quando si tratta delle imitazioni di quel tempo. Gli artisti copiavano spesso per loro esercizio, oppure inventavano ispirandosi all'antico senza intenzioni dolose, e la clientela, che ammirava il bello senza troppa critica archeologica, doveva comprar volentieri tal sorta di opere. In parecchi casi si facevano di commissione, come quando bisognava completare una serie iconografica d'imperatori romani: molti busti, riconosciuti del '500 e del '600 dopo essere rimasti contusi per qualche secolo tra gli originali, sono copie o rifacimenti fabbricati per gli appassionati che volevano integrar le raccolte. Così ancora sotto Pio VI si fecero scolpire figure moderne da Franmsco Antonio Franzoni per riempir degnamente la Sala degli animali al Vaticano, dove i pezzi di scavo non bastavano. Qualche esemplare fu riprodotto decine di volte: il creduto Vitellio della raccolta Grimani di Venezia ebbe una celebrità eccezionale, e soltanto il Museo di Mantova ne possiede tre copie. Ma ben raramente la truccatura fa pensare a una vera falsificazione, come in quella del Museo di Parma, che presenta restauri quali si usavano eseguire sugli originali. In massima però, tentando di falsificare, gli artisti della Rinascita hanno prodotto dell'arte genuina: Vittore Camelio (v.) o Giovanni dal Cavino, detto il Padovano (1500-1570), potevano illudersi d'incidere conî romani ma le loro false monete sono semplicemente belle medaglie cinquecentesche (figg. 1 e 2).
Una nuova fioritura del "falso" comincia nel sec. XVIII, specialmente favorita dall'indirizzo classicheggiante dell'arte, e soprattutto in Italia, perché qui era il mercato centrale. Con le scoperte di Pompei e d'Ercolano il commercio a Roma fu invaso da una quantità di pitture che ingannarono da prima parecchi competenti (Caylus, Barthélemy, Contucci), finché non fu sbugiardato il manipolatore, un certo Guerra. Probabilmente è da ascrivere a quella produzione la Musa tanto discussa del Museo di Cortona, dipinta a encausto su lastra d'ardesia, sorella d'una Cleopatra che ancora una trentina d'anni fa si conservava a sorrento presso privati. Il Parini, nel Giorno, parla di gemme incise che i signori comperavano come opere greche, lavorate senza dubbio da quei meravigliosi incisori neoclassici ch'erano spesso anche antiquarî: sappiamo che il Winckelmann fu tratto in inganno da un intaglio del Pichler. La numismatica, naturalmente, fu pure coltivata da artefici specializzati: il più fine di tutti fu Carl Wilhelm Becker (1772-1830), abilissimo incisore di conî, il quale fece miracoli più che altro nella serie greca e romana (fig. 3). Giova dire che la reazione venne anzitutto dagli stessi italiani: Apostolo Zeno inaugurò il buon metodo di difesa, facendo una raccolta di falsi per esercitare l'occhio. Nella scultura si lavorò abbastanza, ma lì s'incontra la zona grigia del falso: il restauro. Tradizionale era il metodo integrativo, e le vecchie collezioni romane lo insegnano: nelle figure completate si ripassavano le superficie per intonare il vecchio col nuovo. Perciò, se talvolta si costruiva con frammenti scompagnati e talaltra sopra un frammento solo, si poteva, occorrendo, far senza di quello. Ma quando s'incontra una statua antica fatta di sana pianta, ad esempio, dal Cavaceppi (fig. 5), vien voglia di credere ch'egli abbia voluto compiere una bravura per mostrare la padronanza che credeva di possedere nello stile classico, piuttosto che per imbrogliare qualcuno di proposito. Con il progresso delle cognizioni storico-artistiche nel sec. XIX, anche i falsarî dovettero raffinarsi e sorsero produzioni specializzate per i varî tipi di oggetti, giungendo a quella sistemazione del lavoro che vige tuttora. Ma lo sviluppo dell'economia industriale ha fatto decadere la tecnica e parecchie branche prima fiorenti, come la glittica, sono quasi scomparse, perché i processi di lavorazione tendevano a diventare sempre più grossolani meccanici: ormai un vero artista non fa più "imitazioni" come ne facevano i suoi pari della rinascita o del periodo neoclassico.
Seguendo la mentalità dei compratori, dotti e dilettanti, si sono create persino ex novo delle categorie di antichità. L'interesse per i rozzi monumenti delle civiltà primitive ha facilitato più volte l'industria. Così a Cagliari, verso il 1850, vennero al mondo in uno stile bambinesco gli idoli sardo-fenici di ottone o bronzo (fig. 7), riprodotti nel Voyage en Sardaigne di Alberto La Marmora e illustrati da Odoardo Gerhard con ampia dottrina: certo Cara dirigeva la fabbricazione. Una ventina d'anni dopo, a Gerusalemme, un arabo analfabeta modellò in creta altri pupi (fig. 8) che entrarono solennemente nel museo di Berlino come antichità moabite. La tecnica degli ultimi artigiani di pietre da fucile trovò da fare imitando le armi preistoriche di selce, venute di moda dopo la scoperta delle palafitte svizzere. Discreti modellatori, verso il 1880, creavano invece a Parigi le terrecotte d'Asia Minore (figg. 4,6), che oggi fanno sorridere per il loro accademismo un po' insipido, ma allora furon prese sul serio da tutti, compreso il Furtwaengler. L'archeologia cristiana aveva messo in auge nella Roma di Pio IX i vetri dorati delle catacombe, ed ecco delle raccolte di fondi di bottiglie antiche, segati e riappiccicati con uno scarabocchio moderno in mezzo.
Numerosissimi falsi di Salvator Rosa furono posti in circolazione, allorché sulla metà del secolo scorso lo studio di Lady Morgan aveva rivelato agl'Inglesi il piacevole paesista italiano; febbrile fu la ricerca di primitivi italiani, e quindi la loro ampia falsificazione, quando la corrente dei preraffaelliti indirizzò il gusto del pubblico e gli studî dei critici verso l'arte italiana dal secolo XIII al XV; alcuni "Leonardi" - di cui un esempio famoso, ancora visibile nel Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino, è rappresentato dalla cera della Flora, acquistata nel 1908, di cui poté documentarsi autore uno scultore inglese di nome Lucas - furono fabbricati allorché le esperienze scientifiche e un certo movimento letterario-filosofico svilupparonU circa il 1880 tutto un ordine di studî intorno al vinci. Al dilagare del collezionismo, sul finire del secolo scorso, tenne dietro l'attività degli imitatori; quadri, miniature, mobili, armi, sculture d'ogni stile, rilegature di libri e quant'altro si poteva smerciare. Ora si falsifica tutto, dall'arte micenea a quella degli autori viventi di qualche celebrità.
Sono famosi alcuni casi di falsi, che hanno tenuto in scacco parecchi conoscitori facendo nascere complete letterature. Basterà ricordare un pezzo celebre acquistato dal Museo del Louvre nel 1896, la tiara di Saitaferne, una specie di πίλος in lamina d'oro sbalzata e rifinita a cesello (fig. 9), dono degli abitanti di Olbia al regolo scita, secondo l'iscrizione greca appostavi. Dette assai da fare alla critica finché se ne rivelò autore - con ampia documentazione - il polacco Chonroumonsky.
Alcuni oggetti, come il "trono di Boston" o i medaglioni in oro di Abusir (ora a Berlino) non sono ancora giudicati in modo definitivo.
Ogni paese ha la sua "industria". L'Egitto fabbrica antichità locali; Bagdad ha spedito un po' da per tutto cilindri di tipo caldeo, assiro ecc.; in Asia Minore si fanno tappeti "classici"; la Cina ricalca i suoi bronzi antichi, mettendovi però quasi sempre il bollo del fonditore moderno, che tuttavia in Occidente ben pochi guardano e intendono. A Roma si lavora "scultura di scavo" e altra roba del genere, a Firenze quadreria, mobilia e altre cosarelle del Rinascimento, Napoli dà bronzi "pompeiani" e affini. Dalla Germania giungevano prima della guerra commessi viaggiatori col campionario più o meno medievale. La produzione è adeguata alla clientela: le lucernette "romane" di terracotta posson bastare per il "turista" che esce dal Foro; per i grandi musei dell'estero si scolpisce persino il porfido.
Oggi si cerca di ricalcare l'antico e si dà una speciale importanza alla "truccatura" per simulare l'opera del tempo e degli agenti chimici e fisici. La corrosione dei marmi si ottiene con un bagno d'acido cloridrico, le patine con sostanze coloranti. Da ultimo è venuta in uso la fiamma ossidrica per calcinare le superfici, e in qualche caso di maggiore importanza si ricorre persino alla cottura in forno elettrico. Le incrostazioni calcaree che si formano in certi terreni vengono eseguite con cemento, e s'è tentato persino di segnare l'impronta delle radici, il che si ritiene l'indizio più sicuro d'un secolare interramento. Le patine dei bronzi son manipolate chimicamente, e qualcuna riesce abbastanza bene: ottimi saggi si possono vedere su riproduzioni di piccoli oggetti che la ditta Chiurazzi di Napoli vende lealmente come riproduzioni. L'oro, che non subisce alterazioni, è la materia che i falsarî preferiscono.
Per la falsificazione degli oggetti e delle opere d'arte medievali e del Rinascimento la chimica reca prodigiosi aiuti all'intelligenza dei truccatori. Negli ultimi anni, con la caseina trattata a caldo, si sono imitate certe screpolature delle pitture su tavola del '300 e del '400. Il permanganato di potassa tinge il legno nuovo e l'acido nitcico ne brucia la scorza esterna, il solfato di potassa invecchia l'oro ed incrosta l'argento, il cloruro d'ammoniaca patina il bronzo, e il vetriolo scolora le stoffe. Cosi che anche gli oggetti un tempo immuni da pericolo, come le placchette del Rinascimento italiano, lungamente inimitabili specialmente per la lo10 meravigliosa patina, sono oggi falsificate in serie.
Tra coloro che scientemente o inconsciamente hanno incoraggiato il commercio delle falsificazioni dell'antico, è tipico il caso dello scultore Bastianini, specializzatosi nelle sculture in marmo e in terracotta del Rinascimento: si rese famoso con i busti di Girolamo Benivieni, poeta fiorentino, acquistato dal Louvre, di Girolamo Savonarola, di Giovanna Albizzi, di Lucrezia Donati; a lui, artista singolare, il British Museum ha dedicato una saletta dove si possono vedere le stupefacenti imitazioni di terrecotte robbiane.
Spesso si adopera materiale invecchiato naturalmente affinché esso presenti indizî sicuri d'autenticità: pittura falsa su tela genuina, mobile nuovo di legno tarlato, e via dicendo. Si rifanno, copiando da altri esemplari, le pitture scomparse su vasi attici a fondo bianco calcinoso, si ricalcano incisioni antiche su specchi etruschi che non ne hanno, a bulino o con il processo dell'acquaforte (fig. 10). Per riconoscere i falsi giova unicamente l'occhio lungamente allenato dello specialista, il quale tuttavia può talvolta esser tratto in errore. Quando il falsario "inventa", si tradisce sempre perché la sua cultura non basta per evitare incongruenze stilistiche o anacronismi d'ogni sorta, senza contare che l'arte vera egli non la possiede mai. Pericolose sono le copie testuali, se tratte da originali sconosciuti: qualche antiquario disonesto ha nascosto il pezzo genuino mettendo in vendita il doppione moderno. L'esame del materiale e delle sue alterazioni può aiutar molto: la pittura etrusca d'un sarcofago del museo di Berlino ha rivelato all'analisi i colori d'anilina; certi quadri, prosciugati da poco, si tradiscono anche per la pastosità della crosta che non si screpola piantandovi uno spillo. Il mezzo più efficace di combattere il falso è la pubblicazione: chi fa conoscere un tipo, liquida spesso tutta la fabbrica, che ripete le singolarità tecnico-stilistiche di quello. La repressione giudiziaria, se è efficcace in teoria, è nella pratica assai malagevole.
L'orientalista A. M. Ceriani (v.) raccontava che verso il 1870 fu discussa da un tribunale americano una contraffazione a penna dell'edizione rarissima delle Lettere di Colombo: si concluse che la faccenda era troppo vecchia per poterne raccapezzare qualcosa. Sentenza che può dirsi fondamentale: i magistrati non possono decidere per cognizione propria, e le contraddizioni dei periti rendono verosimile l'affermazione di buona fede che il venditore pone sempre come pregiudiziale. Larga eco ebbero anni sono in Italia le vicende di un falso Ruysdael (fig. 11).
Oggi tutta una scienza nuova per il riconoscimento dei falsi si sta organizzando su basi più specialmente fisiche, perché l'analisi chimica, che potrebbe dare eccellenti risultati pratici - poiché basterebbe ad esempio trovare del bleu di Prussia in un Raffaello per poterlo dichiarare falso - non si può praticare normalmente per la quasi impossibilità di poter staccare particelle coloranti da sottoporre all'analisi. Vasta applicazione trovano da più anni la fotografia e i suoi derivati, come la microfotografia e la fotografia a luce radente. La prima, praticata dal prof. A.P. Laurie con un apparecchio di sua invenzione che permette fortissimi ingrandimenti, consente di studiare nei più minuti particolari la tecnica della pennellata; la seconda, scoperta ed usata dal dott. Fernando Perez, arriva non solo a rivelare la pennellata, ma anche il modo con cui son sovrapposti gli strati coloranti e il sistema d'impasto. A queste ricerche deve aggiungersi l'applicazione dei raggi X che, se sono principalmente utili per i restauri, le ridipinture, i ritocchi, le collaborazioni, sono ugualmente preziosi allorché il falso è stato praticato su una tela o una tavola già usata, o quando si tratta di un falso su spunto autentico.
V. tavv. CXIX e CXX.
Bibl.: In generale: P. Endel, Fälscherkünste, Lipsia 1909; J. Diggelmann, Die Fälschung von Sammlungsobjekten und die strafrechtliche Bekämpfung derselben, Zurigo 1916 (con riferimento a molte pubblicazioni anteriori); A. Neuburger, Echt oder Fälschung, Lipsia 1927; É. Bayard, L'art de reconnaître les fraudes, Parigi 1925. - Per la preistoria: R. Munzo, Archaeology and false antiquities, Londra 1905. - Per la parte archeologica classica: A. Furtwaengler, Neuere Fälschungen von Antiken, Berlino 1897; C. Albizzati, Analecta Grueneisiana, in Historia, 1927; Nuove e vecchie trovate dei fabbricanti di antichità, ivi 1929; Casi inopinati, ivi 1930; G. M. Richter, Sculpure and sculptors in ancient Greece, Oxford 1929. - Per la numismatica: F. H. Hill, Cavino, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, 1912, p. 236; Becker the counterfeiter, Londra 1924; G. Cornaggia, in Rivista italiana di numismatica 1924, p.37 segg. (buon riassunto bibliografico). - Per l'egittologia: L. Borchardt, in Zeitschrift für aegypt. Sprache, 1930, Suppl. 66, I. - Per le pitture italiane: I. F. Joni, Memorie d'un pittore di quadri antichi, S. Casciano 1931.