Il fallimento è la principale procedura concorsuale prevista dall’ordinamento italiano; alla sua disciplina rinviano spesso le altre procedure concorsuali, quali la liquidazione coatta amministrativa o l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. Al pari delle altre procedure concorsuali, e a differenza dell’espropriazione forzata singolare, la procedura di fallimento coinvolge l’intero patrimonio del debitore (cosiddetta universalità attiva) e mira alla soddisfazione di tutti i creditori del debitore stesso (cosiddetta universalità passiva).
Presupposti. - Vi può essere assoggettato l’imprenditore in dissesto economico-finanziario, qualora ricorrano i seguenti presupposti: deve trattarsi di imprenditore commerciale, che versi in stato di insolvenza e abbia superato almeno uno dei limiti dimensionali fissati dall’art. 1, 2° co., r.d. 267/1942 (cosiddetta fallimento legge fallimentare), nel testo oggi vigente. Non sono di ostacolo alla dichiarazione di fallimento né la cessazione dell’attività d’impresa, né la morte dell’imprenditore, purché lo stato d’insolvenza si sia manifestato prima di tali eventi o entro l’anno successivo, e la declaratoria di fallimento sia stata invocata entro un anno dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese.
Procedura. - La procedura si apre con la sentenza dichiarativa di fallimento, pronunciata dal tribunale competente su iniziativa del debitore, di uno o più creditori, o del pubblico ministero. La fallimento dichiarazione di fallimento produce una molteplicità di effetti, sostanziali e processuali, che investono il fallito, i suoi creditori e i terzi che hanno intrattenuto rapporti col fallito. Gli effetti riservati al fallito si possono distinguere in patrimoniali, personali e penali. Il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni esistenti, nonché la legittimazione processuale per tutte le controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento.
Per quanto riguarda i creditori, questi debbono essere soddisfatti secondo il principio della par condicio creditorum, senza con ciò frustrare le legittime cause di prelazione vantate, quali pegno, ipoteca e privilegio; l’effetto più rilevante è il divieto di azioni esecutive o individuali (ex art. 51). A tal fine, i creditori si distinguono in chirografari e privilegiati. I primi partecipano alla ripartizione dell’attivo fallimentare non gravato da vincoli, in proporzione del loro credito e per pari misura percentuale. I secondi, invece, fanno valere i loro diritti in via preferenziale sul ricavato della vendita del bene oggetto di garanzia, e per l’eccedenza di partecipare alla ripartizione del residuo fallimentare alle stesse condizioni dei chirografari. Esiste infine una terza categoria di creditori, detti della massa, quali quelli sorti in occasione o in funzione della procedura di fallimento, che non risentono della par condicio creditorum, in quanto debbono essere soddisfatti per intero e prima di qualsiasi altro creditore.
Si hanno poi importanti conseguenze sugli atti pregiudizievoli ai creditori, i quali possono ottenere dal giudice la cosiddetta azione revocatoria fallimentare, una dichiarazione di inefficacia applicabile a una serie di atti compiuti dal debitore prima della dichiarazione di fallimento. Nei confronti dei terzi il fallimento comporta infine una diversa sorte dei contratti in essere, che può andare – a seconda del tipo di contratto – dallo scioglimento di diritto, alla continuazione del rapporto o altrimenti alla sospensione, lasciando in quest’ultimo caso al curatore la facoltà di risolvere o di proseguire il rapporto.
Dopo la dichiarazione di fallimento la procedura si articola essenzialmente in tre fasi: a) giudizio di accertamento del passivo, che mira ad accertare non solo l’esistenza e la misura dei crediti che devono essere soddisfatti, ma anche dell’attivo, giacché in questa fase vanno anche decise le domande di coloro che vantano diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del fallito; b) liquidazione dell’attivo, che consiste nella vendita forzata dei beni appartenenti al patrimonio del debitore (art. 104-ter e seg.); c) ripartizione dell’attivo (art. 110 e seg.), ossia delle somme disponibili, e soprattutto di quelle derivanti dalla liquidazione, tra i creditori, secondo il progetto presentato dal curatore e dichiarato esecutivo dal giudice delegato.
Organi del fallimento. - Allo svolgimento della procedura provvedono quattro organi, ciascuno dotato di specifiche funzioni: il tribunale fallimentare; il giudice delegato; il curatore; il comitato dei creditori. Al tribunale fallimentare è rimesso il compito di dichiarare, con sentenza, il fallimento e di sovraintendere al corretto svolgimento dell’intera procedura. Il tribunale nomina inoltre sia il giudice delegato sia il curatore; al primo è affidato il compito di nominare o revocare i componenti del comitato dei creditori, formare lo stato passivo del fallimento e renderlo esecutivo con proprio decreto, autorizzare il curatore a stare in giudizio, decidere sui reclami proposti contro il curatore o il comitato dei creditori; al curatore spetta il compito di amministrare, in qualità di pubblico ufficiale, il patrimonio fallimentare. Il comitato dei creditori è composto da 3 a 5 membri scelti fra i creditori dell’imprenditore ammessi al f. e rispecchia per quanto possibile la proporzione dei diversi crediti accertati. La funzione del comitato è normalmente consultiva, con parere perlopiù obbligatorio, ancorché non vincolante, salvo in alcuni casi particolari (art. 87 bis, 104, 104 bis, 104 ter, l. fall.). Se a fallire è una società, falliscono con essa anche tutti i soci illimitatamente responsabili, siano essi palesi od occulti al momento della dichiarazione di fallimento. Dal 2006, inoltre, possono essere dichiarate fallite anche le società occulte.
Esdebitazione del fallito e presupposti: la parola alle sezioni unite della cassazione di Francesco Fradeani