VERALLI, Fabrizio
– Nacque a Roma nel 1570, secondogenito di Matteo e di Giulia Monaldeschi della Cervara.
Suo padre aveva ricevuto dalla consorte in dote il feudo di Castel Viscardo, pochi chilometri a nordovest di Orvieto, facendo acquisire al suo status sociale un profilo compiutamente aristocratico. Nel 1566, quindi, era stato uno dei conservatori del Comune romano.
Rimasto orfano di entrambi i genitori quando ancora era fanciullo, Fabrizio fu dapprima affidato a tutori scelti fra i consanguinei, tra cui il cardinale Giambattista Castagna (papa dal 15 al 27 settembre 1590 con il nome di Urbano VII). Nel 1586, entrò nel Collegio romano, ove si dedicò agli studia humanitatis. Fu infine iscritto all’Università di Perugia e conseguì la laurea in utroque iure.
Il 16 marzo 1590 fu ordinato sacerdote e ammesso fra i canonici di S. Pietro in Vaticano, vale a dire nel collegio dei chierici che sovrintendevano alla vita spirituale della basilica. Qui celebrò la sua prima messa. Quindi, nel 1594, fu nominato referendario della Segnatura di grazia e della Segnatura di giustizia. Era la premessa per ulteriori avanzamenti in Curia, ma negli anni Novanta del XVI secolo costante rimase la sua attenzione nei confronti della famiglia d’origine. Restano molte sue lettere al fratello Giovanni Battista, primogenito, nelle quali lo esorta al buon governo di Castel Viscardo e a mantenere una condotta di vita consona allo status sociale raggiunto.
Quindi, il 27 settembre 1600 fu nominato a capo dell’Inquisizione a Malta. Nell’isola, la congregazione del S. Uffizio aveva istituito il 21 ottobre 1561 una sezione di tribunale presieduta, a partire dal 1574, da un delegato apostolico con titolo di Inquisitor generalis. La carica era investita di autorità quasi pari a quella di un nunzio, essendo Malta sottoposta al governo dell’Ordine militare di San Giovanni di Gerusalemme. Tuttavia, proprio la stessa presenza dei cavalieri provocava conflitti di giurisdizione, che non mancarono allorché Veralli iniziò ad agire nel pieno delle sue funzioni: così, Clemente VIII dovette intervenire e – nel caso di un cavaliere (Francesco Pantosa) che aveva aggredito un familiare del tribunale inquisitoriale (Mario de Nicastro) – indirizzò al gran maestro Martin Garzes la richiesta esplicita di «non solum praedictum Fabritium non impedire; verum etiam omne illi auxilium praestare» (cit. in Avvertimenti necessarii a chi legge..., 1705, p. 79). Dopo questo episodio non si verificarono altri incidenti di rilievo. Da notare, nondimeno, la cura di Veralli affinché i religiosi di rito greco comparsi sull’isola, compiuta l’abiura prescritta dal S. Uffizio, passassero ai riti di obbedienza romana e li osservassero con genuino scrupolo.
Rientrato a Roma, il 5 maggio 1606 egli fu nominato vescovo di San Severo, diocesi situata a nord di Foggia. Non ebbe modo di dedicarsi alle cure pastorali, affidate all’abate Carbonesi (di cui non si conosce il nome di battesimo). Entro poche settimane, infatti, fu inviato in Svizzera come nunzio.
Le istruzioni consegnategli dalla Segreteria pontificia, innanzi tutto, ricordavano lo stretto rapporto tra le materie ecclesiastiche e quelle politiche; quindi, erano ricapitolate per sua conoscenza le questioni pendenti: la contesa sul governo di Bienne – dopo l’introduzione in città della confessione riformata – fra il principe vescovo di Basilea, Jakob Christoph Blarer von Wartensee, e la vicina Berna; i contrasti tra la diocesi di Costanza e l’Ordine dei cavalieri di Malta sulle rendite di alcuni locali benefici; l’istituzione di un collegio di padri somaschi a Locarno. Più in generale, a Veralli era data istruzione di favorire il ritorno al cattolicesimo dei predicatori protestanti più avvicinabili, di mantenere il controllo sul clero regolare, ancora fonte di scandali, di incoraggiare l’erezione di seminari diocesani, in esecuzione dei decreti del Concilio di Trento. Invece, dal punto di vista politico, egli avrebbe dovuto mantenersi neutrale tra i filofrancesi e i filospagnoli, promuovendo il mantenimento di buone relazioni fra i Cantoni cattolici e il Ducato di Milano.
L’avvio della sua nunziatura coincise con lo scoppio del conflitto per l’Interdetto di Venezia. Veralli si impegnò nel far conoscere a Lucerna le ragioni di papa Paolo V: si fece spedire le opere stampate a Roma dai cardinali Roberto Bellarmino e Cesare Baronio e ne finanziò la traduzione in tedesco. Ricomposta questa crisi, cercò di attuare una riforma dei cistercensi svizzeri, ma non vi riuscì. Più in generale, come scrisse nelle istruzioni che consegnò al suo successore in carica, Ladislao d’Aquino, gli mancò la collaborazione degli ordini monastici elvetici. Riguardo alla prassi ordinaria del suo ufficio, il carteggio con Gaspare Albertini, suo agente a Roma, mostra Veralli ordinariamente occupato nell’istruzione delle richieste di dispense matrimoniali, nella supervisione delle provviste di benefici svizzeri, nella concessione di indulgenze. Restò inoltre per tutto il periodo della carica, cioè fino al luglio del 1608, alle prese con il problema di essere informato su quanto accadeva in Curia, assumendo al suo servizio menanti, cioè redattori di fogli di notizie. Soprattutto, egli appariva continuamente assillato da bisogni finanziari. Occorreva far regali, scriveva ad Albertini, «perché bisogna gratificar queste genti con simili galanterie [...], perché ogni brutta galanteria di Roma è tenuta bellissima qua, perché non ci è altro che monti et boschi et laghi» (lettera dell’11 ottobre 1606, in Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Segreteria di Stato, Svizzera, 10, c. 30r). Le rendite di Castel Viscardo, sulle quali continuava a vantare diritti, gli garantivano, certo, una base minima, ma egli la considerava assolutamente insufficiente. Da Roma aveva sollecitato il pagamento del suo stipendio quasi appena arrivato, ma subito se ne era pentito, temendo «che i padroni restassero mal sodisfatti di me, et che credessero, che io fossi troppo interessato, così anco dell’esser pagato anticipatamente» (lettera allo stesso del 15 settembre 1606, ibid., c. 17r).
Rientrato a Roma, Veralli fu creato cardinale nella promozione del 24 novembre 1608. Ebbe il titolo di S. Agostino. Entrò presto nella congregazione del S. Uffizio. Nel 1609 partecipò ai lavori che portarono alla condanna pontificia delle concessioni fatte da Mattia d’Asburgo ai protestanti austriaci. Presenziò quindi sin dal 1611 alle riunioni che istruirono il processo contro Galileo Galilei.
Fu protettore d’Irlanda e in questa veste proponeva in Concistoro i vescovi da inviare nelle diocesi ibernesi. Riceveva ovviamente dall’isola pressioni per favorire qualche nome, ma – per quello che appare dai candidati da lui presentati – decideva in autonomia. I suoi incarichi di protettorato riguardavano altresì ordini religiosi: i premostratensi, l’Ordine dei Ss. Barnaba e Ambrogio, i servi di Maria, le monache della SS. Annunziata. Riguardo a queste ultime, nonostante il loro Ordine fosse destinato alle ebree convertite, in occasione della redazione delle nuove Constitutioni (1614), Veralli si attribuì, nella sua veste di protettore, il potere di ammettervi anche ragazze cattoliche già alla nascita. Infine, egli era protettore dei catecumeni e neofiti: restano registrazioni notarili dei regali che riceveva da quel collegio due volte l’anno.
Dal 1618, ebbe il titolo di abate commendatario di S. Agnese fuori le mura, a Roma. Fece costruire due nuove cappelle laterali e la scalinata in marmo che dalla chiesa conduce al monastero. I nuovi ambienti furono decorati a fresco, fra il novembre del 1618 e il gennaio del 1619. Nell’arco absidale si vedevano scene (oggi scomparse) che prendevano a soggetto l’Incoronazione di Maria, il Martirio di s. Agnese e il Martirio di s. Emerenziana; autore, probabilmente, Marco Tullio Montagna, di cui restano attestazioni di pagamento per le pitture sopra la scalinata. Importanti lavori furono fatti eseguire anche nel vicino mausoleo di S. Costanza nel 1620, con il rifacimento del tetto e la realizzazione, per mano sempre di Montagna, di un nuovo complesso di opere a fresco, in sostituzione dei mosaici della cupola, in gran parte rovinati. Furono sostituite anche le specchiature del tamburo, in marmo.
Nel marzo del 1615 cedette la diocesi di San Severo a Vincenzo Caputo, riservandosene i frutti, eccettuata una pensione già esistente e 1000 scudi annui per il vescovo subentrante. Partecipò ai conclavi del 1621 e del 1623. Aderiva alla fazione borghesiana. Il cardinale Scipione Caffarelli Borghese lo indicò fra i candidati papabili, all’avvio del conclave che avrebbe eletto Urbano VIII.
Morì a Roma il 17 novembre 1624. Fu seppellito nella chiesa di S. Agostino, in una cappella dedicata al suo monumento funebre e a quello dello zio Girolamo, databile agli anni a cavallo tra i Venti e i Trenta del Seicento. Vi lavorò Montagna, eseguendo opere in pittura e doratura.
Nel suo testamento del 1624, Veralli lasciò 5000 scudi ai membri della sua corte, tanto gentiluomini, quanto famiglia ‘bassa’. Si trattava di una cifra molto consistente, pari circa a 147 kg di argento. Non ricordò affatto, invece, il fratello Giovanni Battista.
Ottenuta la porpora, aveva acquistato il palazzo di via del Corso, di proprietà degli eredi di monsignore Cosimo Giustini. Subito, acquisiti altri immobili adiacenti, lo sottopose a lavori di ingrandimento e abbellimento, diretti da Francesco Peparelli. A lavori ancora in corso, Veralli affidò ad Antonio Pomarancio la decorazione a fresco della galleria, destinata a diventare il luogo per l’esposizione di una discreta collezione di statuaria antica e di pittura moderna. Accanto a ritratti, nature morte e paesaggi, spiccavano sette opere di Agostino Tassi e una di Paolo Brill. Nella stessa galleria si potevano vedere, murati, i prestigiosi bassorilievi romani ritrovati durante i lavori a S. Agnese fuori le mura (oggi a palazzo Spada-Capodiferro).
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Segreteria di Stato, Svizzera, 10.
Avvertimenti necessarii a chi legge l’istoria del commendatore fra Bartolomeo Del Pozzo veronese, Colonia 1705, pp. 78 s.; M. D’Amelia, «Una lettera a settimana». Geronima Veralli Malatesta al Signor Fratello 1575-1622, in Quaderni storici, XXVIII (1993), 83, pp. 381-413; Ead., Orgoglio baronale e giustizia. Castel Viscardo alla fine del Cinquecento, Roma 1996, passim; Genealogien zur Papstgeschichte, a cura di Ch. Weber, IV, Stuttgart 2001, p. 947; Le Istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici. 1605-1621, a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad ind.; M.B. Guerrieri Borsoi, I restauri romani promossi dal cardinale F. V. in Sant’Agnese e Santa Costanza e la cappella in Sant’Agostino, in Bollettino d’arte, XCI (2006), 137-138, pp. 77-98; U. Fink, Die Luzerner Nuntiatur unter Paul V. als Ausnahmeerscheinung?, in Die Aussenbeziehungen der römischen Kurie unter Paul V. Borghese (1605-1621), a cura di A. Koller, Tübingen 2008, pp. 432, 451-456; L. Nussdorfer, Brokers of public trust. Notaries in early modern Rome, Baltimore 2009, ad ind.; L. Buccino, Sculture esibite e sculture ritrovate a Piazza Colonna, in La Galleria di piazza Colonna, Torino-Roma 2011, pp. 217 s., 224 s., 227; S. Feci, «Educazione» e mantenimento di nobili orfani nella Roma del Seicento, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, 2011, n. 123-2, pp. 386 s.; A. Lirosi, Monacare le ebree. Il monastero romano della SS. Annunziata all’Arco dei Pantani. Una ricerca in corso, in Rivista di storia del cristianesimo, X (2013), 1, pp. 153 s., 160-164, 166; V. Lavenia, Quasi haereticus. Lo scisma nella riflessione degli inquisitori dell’età moderna, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, 2014, n. 126-2, p. 312; E. Gambuti, Porticus Ecclesiae Sanctae Agnetis: lo scalone di accesso alla basilica onoriana, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, n.s., LXIII (2014-2015), pp. 11, 13 s., 16, 18; H.H. Schwedt, Die römische Inquisition. Kardinäle und Konsultoren 1601 bis 1700, Freiburg 2017, ad indicem.